
A partire dal IV secolo, è attestato a Roma, presso la basilica di San Giovanni in Laterano, uno scrinium della Chiesa romana, che aveva la duplice funzione di biblioteca, per conservare i libri, e di archivio per i documenti. Seguendone la storia dai suoi albori, il presente volume si focalizza soprattutto sulla sua trasformazione in Biblioteca dei Papi, dopo il loro definitivo trasferimento in Vaticano nel xv secolo. Una prima sede della Biblioteca Vaticana, all'interno del Palazzo Apostolico presso San Pietro, venne predisposta dal fondatore Niccolò V (1447-1455); dopo un secolo, però, lo spazio non era più sufficiente a contenere quella che era ormai diventata la maggiore biblioteca del mondo, e Sisto V (1585-1590) decise di far costruire il Salone Sistino, una nuova sede nel Cortile del Belvedere. Un gioiello monumentale, che si estende per oltre mille metri quadrati ed è decorato al suo interno con affreschi dedicati alla storia delle biblioteche e dei Concili ecumenici, e con raffigurazioni degli inventori degli alfabeti e della Roma del tempo. Dalla fine dell'Ottocento, poi, la Biblioteca raddoppiò i propri spazi di lettura e decuplicò i propri depositi, fino ad arrivare agli attuali 80.000 manoscritti, circa 1.600.000 stampati (tra cui quasi 9.000 incunaboli), incisioni, disegni, monete e medaglie. Protagonisti assoluti di questo luogo unico al mondo sono naturalmente i libri, o, se vogliamo, i codici, le pergamene, i manoscritti più famosi per apporto culturale, per preziosità del documento e per valore artistico. Questi protagonisti sono menzionati e commentati secondo la cronologia della loro entrata nella Biblioteca, così l'ultimo è il Papiro Bodmer XIV-XV, datato tra il II e il III secolo d.C., con i Vangeli secondo Luca e secondo Giovanni.
Primavera 1945. Il Terzo Reich è allo sbando. In che modo si può sfuggire alla forca o al plotone di esecuzione? Che avvenga tramite cianuro o revolver, il suicidio sembra la via d'uscita migliore: soluzione scelta, tra gli altri, da Himmler e Göring, da Hitler e Goebbels. Chi non riesce a togliersi la vita scompare, come Heinrich Müller, il capo della Gestapo. Alcuni, come Wernher von Braun o Reinhard Gehlen, si mettono a disposizione degli Alleati. Altri, come Alois Brunner, Adolf Eichmann, Klaus Barbie e Josef Mengele, riescono a fuggire in Egitto, Siria o Sud America. Il numero di coloro che hanno pagato per i crimini con la vita, dopo la caduta di Hitler, è irrisorio: solo ottantuno impiccagioni di alti funzionari. Studiando gli archivi della Stasi e quelli della Germania federale, Jean-Paul Picaper è riuscito a seguire le tracce dei criminali di guerra e a ricostruire la loro disfatta, scomparsa e morte. Questo libro è il risultato di una lunga inchiesta, supportata da testimonianze e rivelazioni, che getta anche ombre sinistre sulle istituzioni che hanno offerto protezione ai criminali nazisti.
Dalla strage di Piazza Fontana alla morte del commissario Calabresi, dalla storia di Prima Linea e delle Brigate Rosse fino al rapimento di Aldo Moro, il volume attraversa le pagine più nere del terrorismo italiano. Picariello rilegge il fenomeno della lotta armata partendo dalla tesi di fondo – ripresa da Giorgio Bocca – che le responsabilità del terrorismo siano da addossare, in parte, alle “due Chiese”, quella cattolica e quella comunista, le quali educando i propri adepti al massimalismo li avrebbero esposti al rischio della violenza, ma allo stesso tempo spiega come i grandi movimenti cattolici siano stati un argine a quella deriva. Il volume si avvale di testimonianze inedite, come quella di Walter Cera – ex brigatista – che entra in crisi per via della sua formazione cattolica e che dopo l’arresto sviluppa una singolare forma di collaborazione con il nucleo Antiterrorismo dei Carabinieri, partecipando a decine di arresti come “pentito di pattuglia”.
Ogni volta che si cita il nome di Aldo Moro il pensiero va alle tragiche, complesse, inquietanti circostanze della sua prigionia e della sua morte. Ma questo padre e protagonista assoluto della nostra Repubblica merita di esser ricordato per quel che è stato e per il sacrificio della vita che questo suo impegno ha comportato. Questo libro racconta Moro a chi lo ricorda poco e male e a chi non lo conosce: Moro e la sua famiglia, Moro giusnaturalista, Moro padre costituente, Moro penalista, Moro uomo di governo, Moro e la Contestazione, Moro in ascolto dei giovani, Moro e i nuovi movimenti, Moro Ministro degli esteri e uomo di pace, Moro antigiustizialista, Moro vittima del terrorismo e ispiratore di una seria riflessione sulla giustizia riparativa. Tanti aspetti uniti dalla centralità della persona che ha caratterizzato la sua vita, quanto la sua azione politica e di docente, dopo averne fatto il punto centrale della nostra Costituzione. Liberiamo Moro dal "caso" che lo tiene ancora imprigionato e che ci impedisce di avvalerci della sua attualissima lezione di uomo e di cattolico, prima ancora che di politico.
All'esplorazione e alla conquista dell'Africa da parte degli europei tra XIX e XX secolo si è accompagnata un'intensa attività missionaria, che ha prodotto un frutto inatteso. Dal Sudafrica alla Nigeria, dalla Costa d Avorio al grande Congo si è realizzata una fioritura di esperienze cristiane autoctone, originali, spesso intorno alla figura di un profeta carismatico, come il congolese Simon Kimbangu, il più noto. Da lui avrà origine la prima Chiesa africana ammessa in seno al Consiglio ecumenico delle Chiese, nel 1969. Ma se è possibile pregare e giungere al Dio cristiano senza i bianchi, è anche possibile autoamministrarsi; così, alla profezia dell'indipendenza religiosa si è aggiunta quella dell'indipendenza politica: "Prima noi avevamo la terra e voi avevate la Bibbia. Ora voi avete la terra, a noi è rimasta la Bibbia", recita un noto slogan dei profeti sudafricani. E la Bibbia si è rivelata un eccezionale strumento di liberazione e contestazione.
La rivisitazione storica, politica e culturale del celebre ciclo di affreschi del Buon Governo, dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel 1338 nel Palazzo Pubblico di Siena, mutando i linguaggi della comunicazione politica.
Con un linguaggio piano e diretto, questo manuale, ora presentato in una nuova edizione, insegna a differenziare le molte facce del Medioevo, a districarsi in mezzo alle opinioni di storici che illustrano diversamente medesimi fenomeni, a sfatare una lunga serie di luoghi comuni distinguendo il Medioevo della fantasia, della letteratura, quello proposto dai mezzi della comunicazione di massa da quello della realtà, a rimediare ai diffusi errori di prospettiva riconoscendo i differenti significati che, se riferite al passato, assumono, rispetto a oggi, parole come libertà, democrazia, crociata, borghese: a prendere coscienza che passato e presente non sempre si somigliano. La narrazione degli eventi è condotta partendo dalle fonti documentarie, narrative e archeologiche, segue un andamento cronologico e si concentra sul continente europeo e le aree che con esso sono entrate in relazione, quelle sulle quali si era dispiegata la civiltà latina antica, punto di riferimento concettuale per la nascita stessa dell'idea di Medioevo.
Sotto osservazione oggi, più che mai, il rapporto tra le città e il loro territorio di riferimento: un rapporto da sempre non lineare, insieme intenso e conflittuale, che dal XIX secolo tende progressivamente a sbilanciarsi in un'unica direzione, sopraffatto dalle esigenze del polo primario. Qui si è provato ad osservare tale relazione dal punto di vista del più "debole", ponendosi la domanda di cosa abbia significato, in età contemporanea, essere i "dintorni" di un grande centro urbano in espansione per società locali già presenti e attive storicamente e, comunque, per un territorio da tempo abitato. Fuoco dell'analisi è Roma, ma nel confronto con altri modelli urbani, sia italiani (Torino, Milano, Napoli) che europei (Parigi, Londra, Berlino, Vienna, Madrid). Confronto da cui emerge in evidenza tutta la singolarità del suo caso: una prerogativa, questa, sempre evocata parlando di Roma, ma che la lente della ricerca e l'esempio di altre realtà coeve sostanziano. Offrendo anche spunti di riflessione per dare senso e forma al futuro.
Fossoli, frazione di Carpi, fu lo scenario "inconsapevole" di una delle pagine più cupe della nostra storia: qui fu attivo, tra il dicembre 1943 e i primi giorni dell'agosto 1944, un campo di concentramento in cui vennero reclusi 2844 ebrei arrestati in tutta l'Italia centrosettentrionale sotto l'occupazione nazista.
In quel periodo nel nostro paese giunse al culmine l'offensiva fascista contro gli ebrei che, iniziata con le leggi razziali del 1938, conobbe una brutale accelerazione con la Repubblica sociale. I governanti italiani scelsero infatti di adeguare la propria politica antiebraica a quella dell'alleato-occupante, che aveva già messo in atto autonomamente una serie di retate in diverse città nell'autunno del 1943. Il 30 novembre emanarono dunque un provvedimento che prescriveva l'arresto degli ebrei, cui sarebbe stato confiscato ogni bene, e il loro trasferimento in un unico luogo, individuato nel complesso di Fossoli, in precedenza utilizzato come campo per prigionieri di guerra e destinato anche ad altri internati, come i detenuti politici.
Le autorità di Salò e quelle del Terzo Reich definirono una sorta di divisione dei compiti: gli italiani si occuparono dell'arresto e dell'internamento degli ebrei; i tedeschi, che dal marzo 1944 assunsero anche formalmente il comando del campo di concentramento, ne organizzarono la progressiva deportazione verso i lager in Germania e Polonia, attuata con modalità disumane.
Liliana Picciotto, studiosa della persecuzione antiebraica, avvalendosi di un ricco apparato di documenti, in parte inediti, fa rivivere questa terribile vicenda attraverso le voci delle vittime, dei carnefici e degli "spettatori". Alle testimonianze angosciate dei prigionieri fanno da contrappunto l'impassibilità burocratica dei funzionari italiani e l'indifferenza interessata dei fornitori di autobus e vettovagliamento, che non si fanno scrupoli nel concludere affari persino in occasione di quello che per la maggior parte dei deportati sarà il viaggio senza ritorno verso le camere a gas.
L'alba ci colse come un tradimento, oltre a rendere un omaggio ai deportati di Fossoli, di cui si ricordano tutti i nomi e la sorte, mette in risalto una tragica verità: nella persecuzione degli ebrei italiani le autorità della Repubblica sociale non ebbero il ruolo di riluttanti comprimari, ma quello di consapevoli e zelanti protagonisti.