
I primi tentativi di far decollare l'archeologia medievale in Italia, nell'arco di tempo che va dalla nascita della nazione al secondo dopoguerra, sono tentativi falliti. Si è definita l'archeologia medievale "uno specialismo mancato". Come mai? Perché mentre nel resto dell'Europa inizia ad affermarsi un'archeologia dedicata al Medioevo, da noi questo non succede? La risposta è piuttosto semplice: mentre nelle altre nazioni fare archeologia medievale significa indagare le proprie origini, da noi il Medioevo è stato a lungo percepito soprattutto come un periodo oscuro, negativo, durante il quale l'Italia venne assoggettata e invasa da vari popoli stranieri. Solo a partire dagli anni Settanta l'archeologia medievale è definitivamente decollata e recentemente, tra scavi e progetti, ha fatto passi da gigante. Città, castelli, torri, chiese, monasteri, manufatti, sepolture e molto altro ancora: "Archeologia dell'Italia medievale" è un manuale, ma anche un saggio rigorosamente documentato e aggiornato, con un ampio apparato di illustrazioni, per dar conto dello stato dell'arte e delle prospettive future di questa disciplina.
Un tramonto e un'aurora, un declino e un'affermazione. La fine di Roma assomiglia a due figure che si rispecchiano l'una nell'altra, ora opposte ora strettamente connesse, come lo sono due lottatori che si stringono reciprocamente nel tentativo di sopraffarsi. In questo nuovo, affascinante affresco storico, Corrado Augias ci presenta la Roma cristiana, raccontando le storie di uomini, donne, luoghi e monumenti che caratterizzarono la fine del vecchio mondo, e annunciarono l'inizio e il trionfo di una nuova epoca. All'inizio del IV secolo l'Impero romano contava circa settanta milioni di abitanti, e si stima che meno del dieci per cento della popolazione aderisse alla religione cristiana. Una minoranza, ma in crescita. Adottare dunque quella religione, ammetterla tra le fedi consentite e dichiararsene membro, fu, da parte di Costantino, un gesto di immensa audacia. Dopo aver annientato il penultimo dei suoi concorrenti, Marco Aurelio Valerio Massenzio, nella famosa battaglia di Ponte Milvio, Costantino entrò trionfalmente a Roma percorrendo per l'intera lunghezza la via Lata (attuale via del Corso). Era il 29 ottobre del 312, giorno che può essere scelto come la data ufficiale di passaggio tra mondo antico e mondo cristiano. Ma nei fatti non è proprio cosí. Le date che indicano i grandi passaggi della storia umana sono sempre convenzionali. È difficile dire da quanto tempo quei nuovi modi di sentire e di vivere avessero realmente avuto inizio, quali e quanti fattori li avessero determinati e quali altri provocarono invece il declino e la scomparsa di riti, simboli, credenze, costumi sui quali milioni di individui avevano basato la propria esistenza. Resta che nel 324, diventato imperatore unico Costantino, la religione cristiana aveva assunto un'importanza e una dimensione mondiali e che sul finire del secolo l'imperatore Teodosio, detto il Grande, con il suo Editto di Tessalonica, la rendeva unica e obbligatoria. Era solo un primo passo; sarebbe stato via via completato proibendo culto e sacrifici pagani con la minaccia di punizioni severissime, compresa la pena di morte. In pochi anni i cristiani si erano trasformati da perseguitati in persecutori, e il mondo si apprestava a conoscere una nuova fase della sua storia. Tra sapere e meraviglia, Corrado Augias ci guida sui luoghi che furono protagonisti della rivoluzione cristiana, svelando monumenti e rovine che continuano a dare potente testimonianza della fine di un mondo. Ne risulta un'avventura affascinante - e un modo nuovo di vedere Roma - che dà alle pagine l'incanto che sempre deriva dal piacere della scoperta.
Leopardi l'ha percorsa a disagio, sballottato in una carrozza, Shelley ci ha lasciato la vita, Garibaldi la salute: è l'Italia, da tempo immemorabile vituperata e ammirata, un Paese che pensiamo di conoscere ma che nasconde in ogni città, in ogni suo angolo un segreto. Compreso il più sconcertante: come mai le cose sono andate come sono andate? Come ha potuto diventare, questa penisola allungata di sbieco nel Mediterraneo tra mondi diversi, allo stesso tempo la patria dei geni e dei lazzaroni, la culla della bellezza e il pozzo del degrado? Questo libro tenta una spiegazione in forma di racconto, accompagnandoci dalle cupe atmosfere della Palermo di Cagliostro all'elegante corte di Maria Luigia a Parma, dalla nascita del ghetto di Venezia alla eroica fiammata dell'insurrezione napoletana contro i nazisti. Nel suo racconto dell'antropologia italiana, Augias mette a confronto due libri antitetici come "Cuore" di De Amicis e "Il piacere" di D'Annunzio, ricorda le truci storie di briganti che affascinarono Stendhal, celebra la resurrezione postbellica di Milano attraverso le glorie della Scala e del Piccolo Teatro, ma constata anche la decadenza di una classe dirigente... Il risultato è il romanzo di una nazione, i cui protagonisti sono i luoghi, le opere, i monumenti, gli angoli oscuri del nostro Paese, le pagine della sua letteratura ma anche le storie esemplari terribili nascoste nelle pieghe della cronaca. Perché è la memoria della storia, dell'arte e del sangue - che fa degli italiani quello che sono.
Un'inchiesta storica Corrado Augias ricostruisce l'incredibile piano ideato dai servizi segreti tedeschi per spingere il nostro Paese a non intervenire nella Prima guerra mondiale: un progetto, semplice e ambizioso allo stesso tempo, che puntava a corrompere parlamentari e ad acquistare la proprietà di giornali come "La Stampa" e "Il Tempo" per organizzare una grande campagna in favore della neutralità. Attingendo a cronache, documenti della polizia e atti processuali, Augias racconta un oscuro intrigo che intreccia i destini di avidi faccendieri, donne equivoche e giornalisti prezzolati, e i cui contorni appaiono tragicamente simili agli scandali che colpiranno l'Italia a un secolo di distanza. E nell'indagare i retroscena di un sistema politico e giudiziario che - allora come oggi - si dimostrò del tutto inadeguato alla gravità dei fatti, ci riporta alle origini della corruzione che avvelena il nostro Paese.
Quando, tra il 2000 e il 2001, prima con un'intervista rilasciata a "Le Monde" e successivamente con la pubblicazione del presente volume di ricordi sull'esperienza nella guerra d'Algeria, il generale in congedo Paul Aussaresses decise di rompere il silenzio e di esporsi in prima persona rivelando i brutali metodi repressivi impiegati dall'esercito francese (e dei quali egli fu uno degli esecutori) nella lotta ai "ribelli" del Fronte di liberazione nazionale algerino (FLN), la Francia fu investita da una forte ondata emotiva e i vertici militari ne furono sensibilmente allarmati. La domanda che allora ci si pose era perché, a oltre quarant'anni di distanza, uno dei fondatori dello SDECE (Servizio di documentazione estera e di controspionaggio), tra i responsabili di spicco dei servizi di intelligence che operarono in Algeria tra il 1955 e il 1957 e in prima linea nelle sanguinose battaglie di Philippeville e di Algeri, rese noti particolari così sconvolgenti riguardanti l'uso sistematico della tortura e delle esecuzioni sommarie contro gli insorti? L'autore fornisce una risposta che può essere sintetizzata tanto nell'atteggiamento al tempo assunto dalle massime sfere governative parigine (l'allora presidente Pierre Mendès France dichiarò che la Francia non avrebbe mai trattato con i ribelli); quanto nell'augurio che egli esprime alla fine del libro, ossia che ai giovani francesi non debba mai toccare di fare quello che egli "dovette" fare in Algeria.
L'attenzione della storiografia si è soffermata di rado su quel complesso di fatti che vanno sotto il nome di "cultura materiale". Il tredicesimo volume degli "Annali" giunge a colmare questa lacuna attraverso un'indagine capillare su uno degli aspetti più importanti del costume contemporaneo. A una tradizione alimentare ottocentesca, basata quasi esclusivamente sulla cultura agraria e sui bisogni di puro sostentamento, vediamo subentrare una articolazione dei consumi più "moderna". Ma il processo è lentissimo; il cibo, quasi liberato da connotazioni di necessità, diventa sempre più "simbolico". La dicotomia tra il peso di una tradizione agricola imponente e la voglia di modernizzare a tutti i costi rimane irrisolta.
Per una serie di circostanze imprevedibili le immagini di Achille, Meleagro e Cristo, usate e riusate per secoli, s'intrecciarono, sovrapponendosi. Che cosa spiega la loro ibridazione, la loro persistenza, la loro migrazione attraverso il tempo e lo spazio? Quanto contarono, nella fortuna di queste figure, le formule compositive originarie e quanto il contesto che di volta in volta le fece proprie? Questo libro cerca di rispondere a queste domande. Chi legge entra in un cantiere dove hanno lavorato, separati da secoli o millenni, scultori e pittori, storici e storici dell'arte. Luca Giuliani analizza la genesi e il precoce riuso nell'antichità romana dell'iconografia di Achille in lutto presso il cadavere di Patroclo; Maria Luisa Catoni, la possibile genesi e il riuso in età post-antica di una formula della disperazione di fronte alla morte; Salvatore Settis, la fortuna rinascimentale di uno schema iconografico antico usato per rappresentare il corpo esanime di Cristo; Carlo Ginzburg, la genesi della nozione di Pathosformel (formula di pathos) coniata da Aby Warburg.