
Quali sono le dinastie che hanno influenzato la storia del nostro paese? Questo libro raccoglie venticinque ritratti di famiglie che, per meriti o fortune avverse, si sono distinte dall'Unità d'Italia a oggi. Un percorso alla scoperta dei misteri, dei segreti, delle curiosità e degli occultamenti che per interessi politici, economici o di etica personale sono stati taciuti o sono passati in secondo piano. Gli uomini e le donne raccontati in questo libro sono simboli delle fasi della storia d'Italia e hanno contribuito a scriverla, in diversi ambiti e periodi: dalla costruzione delle città moderne ai primi voli, dai neonati tentativi di progresso industriale alla smaterializzazione di capitali e idee. Dalla Terra allo spazio, dai sacrifici allo spreco, dalla malattia alla cura, dalle libertà alle chiusure, andata e ritorno. La storia delle grandi famiglie italiane di ieri e di oggi Tra le storie presenti nel libro: L'ultimo volo di Edoardo Agnelli I Crespi, il villaggio operaio e il sogno di vincere la morte Leonardo del vecchio, una vita di regole per un futuro incondizionato La famiglia Feltrinelli e la storia dell'orso; Enzo e Dino Ferrari: quando un padre eredita da un figlio; Michele Ferrero, Beppe Fenoglio e la macchina del cioccolato; L'omicidio di Maurizio Gucci tra rappresentazione e realtà; Gioacchino Lauro e il "colpo alla napoletana"; Umberto Marzotto: navigare intorno al mondo per la libertà; Gianni Versace e la capsula del tempo.
La profezia del Gattopardo è la storia di un'utopia civile. La storia d'amore di un aristocratico siciliano per la donna con la quale si batte per il suo lavoro, nella sua terra. Nella memoria del protagonista, scorre il tempo che, come aveva previsto il Gattopardo, è il tempo di quelle iene e di quegli sciacalli che, lungo i centocinquanta anni dell'Unità d'Italia, hanno costruito il disastro umano, civile ed economico che affligge la Sicilia ed il Mezzogiorno.
Nel Duecento, il secolo anticipato da Nicolas de Verdun e chiuso dalla maturità celebrata di Giotto, il secolo dell'apogeo gotico e della "maniera greca", l'arte conosce i cambiamenti che collegano il mondo romanico al primo manifestarsi dei principi dell'Umanesimo, ovvero discute e rinnega le forme, le valenze e le gerarchie che erano valse per tutto il Medioevo. L'arte inizia a rappresentare i significati e il mondo sensibile con mezzi propri e autonomi, per nulla ancillari della parola o dei testi; pone l'uomo al centro dei suoi interessi come oggetto della figurazione e quindi si avvale delle sue facoltà di osservatore individuale; diviene uno strumento di conoscenza e di ricerca, unitamente all'affermarsi di una nuova valenza del disegno e all'acquisizione di un inedito statuto intellettuale da parte dell'artista. Nel Duecento l'arte diventa "moderna" per come generalmente la intendiamo. Il libro propone una lettura organica dei fenomeni che determinarono questi rivolgimenti, a partire dall'analisi circostanziata delle opere ed entro una prospettiva spazio-temporale unitaria delle vicende peninsulari ed europee, che rifugge ogni distinzione pregiudiziale o artatamente proiettiva.
Nel secentenario della morte di Giotto, dal 27 aprile 1937 gli Uffizi ospitarono la Mostra giottesca, la prima retrospettiva dedicata alla pittura italiana delle origini. L’esposizione, in cui erano presentate oltre trecento opere del maestro toscano, dei pre cursori e dei seguaci, sancì il ruolo di Giotto come pater dell’«arte nostra». L’evento fu anche terreno di confronto, e scontro, tra il rigore scientifico dell’intelligencija critica dell’epoca – da Ojetti a Carena, da Offner a Salmi, da Michelucci a Longhi – che si interrogava sul valore della pittura giottesca e l’intento propagandistico dei gerarchi fascisti di nazionalizzare lo spirito della mostra. Testimonianze, lettere e cronache, insieme alle immagini delle opere e le preziose foto d’epoca, ci raccontano la genesi del progetto, le ingerenze governative, le fasi dell’allestimento e l’intenso dibattito critico che ne seguì.
A distanza di settant’anni, Alessio Monciatti sottrae la Giottesca alla dimensione acritica cui era stata relegata e rivendica il ruolo decisivo da essa ricoperto nella storia della critica d’arte, e nel contempo nella storia culturale, sociale e degli allestimenti museali.
Quella degli alpini italiani è una storia straordinaria. Fondati nel 1872 come piccolo corpo specializzato addestrato a difendere i valichi di montagna, le «penne nere» crebbero rapidamente sia nei numeri che nell'immaginario pubblico. Attraverso una serie di paradossi (le prime battaglie della loro storia vennero combattute durante guerre di aggressione coloniale in Africa, e non per difendere i confini) guadagnarono la fama di soldati devoti e disciplinati, coraggiosi e indistruttibili. Una nomea che in un'Italia affamata di eroi li elevò da semplici ingranaggi dell'esercito a protagonisti della vita nazionale. Tutti giovani sui vent'anni racconta la loro storia. Non attraverso le battaglie che hanno combattuto, benché le guerre di 150 anni costituiscano le scansioni delle sue pagine. Piuttosto, attraverso un viaggio nella cultura italiana: opere letterarie, film, canzoni e disegni che hanno costruito questo mito umano e guerriero unico nella storia nazionale (e probabilmente al mondo). Un mito nato ai tempi della Grande Guerra, sopravvissuto al fascismo e alle disfatte della seconda guerra mondiale, all'umiliazione dell'8 settembre e della sconfitta, all'occupazione e alla demilitarizzazione del paese dopo la pace di Parigi del 1947. Risorto, in modo apparentemente incredibile, attraverso settant'anni di storia repubblicana, quando gli alpini divennero i prototipi di un nuovo modello di soldato europeo: non più l'eroe guerriero trionfante e sterminatore, ma il buon samaritano in uniforme, caritatevole e generoso, pronto al sacrificio non per espugnare un obiettivo ma per salvare vite e confortare le vittime dei disastri naturali. Un ruolo di straordinaria popolarità la cui fine sarebbe stata decretata solo dallo spegnersi, dopo due secoli di tradizione rivoluzionaria e nazionale, della coscrizione obbligatoria, l'istituto su cui si basava l'esistenza stessa dell'alpino come buon cittadino-soldato.
Un grande rinnovamento ha caratterizzato a livello internazionale lo studio della grande guerra soprattutto dal punto di vista della storia culturale; Marco Mondini guarda all'esperienza dell'Italia in guerra secondo questa nuova prospettiva. Facendo ricorso a un ventaglio vastissimo di fonti, dai giornali alla letteratura, dalla memorialistica alle cartoline illustrate, il volume mette a fuoco tre aspetti essenziali: l'attesa e la mobilitazione per la guerra nei mesi e anni precedenti il 1915; l'esperienza del fronte così come è stata raccontata dai soldati in memorie e diari e come è stata interpretata e reinventata da giornali, riviste, film; infine il peso della guerra sul dopo, dal culto dei caduti ai monumenti, alla costruzione del mito.
Raramente una guerra ha lasciato tracce così tanto indelebili sul paesaggio come il primo conflitto mondiale in Italia. Le battaglie combattute tra il 1915 e il 1918 sono visibili ovunque. Non solo nella natura ma anche nelle città, bombardate, occupate, a volte completamente distrutte e ricostruite dalle fondamenta (come Asiago, rasa al suolo nel 1916 e rifatta da capo negli anni venti). E nelle opere d'arte, a volte perse per sempre, a volte solo ferite e recuperate - il duomo di Padova, la chiesa degli Scalzi di Venezia, la gipsoteca di Possagno, con i modelli originali delle sculture di Antonio Canova, centrata da una granata nel 1918. Questo volume delinea un itinerario, dalle montagne ai fiumi alle città, tra i teatri della guerra italiana.
Luigi Cadorna diresse con poteri pressoché assoluti le operazioni militari italiane nella grande guerra. L'enorme consenso personale e la debolezza dei governi di Roma lo misero al riparo da ogni critica: nonostante l'insuccesso dei suoi piani, le enormi perdite di vite umane, il rischio di una sconfitta sul fronte trentino nel 1916, il generale rimase al suo posto fino alla disfatta di Caporetto, nell'autunno 1917. Quanto era stato incensato prima, tanto venne demonizzato poi. Il libro rilegge la carriera e l'operato di Cadorna collocandone la figura nel contesto della cultura militare europea e della storia italiana dell'epoca. Luigi Cadorna appare così come il rappresentante, non eccezionale, di una generazione di professionisti delle armi ossessionata dal passato inglorioso, dalle umilianti sconfitte e dai difetti di un paese che ritenevano debole e indisciplinato.
«I fascisti erano ossessionati dal potere, e dalla possibilità di redimere la nazione e di trasformare gli italiani, anche a costo di eliminare tutti quelli che non erano d'accordo con loro. [...] Le armi non sarebbero state deposte, fino al compimento di questa missione.» L'ascesa al potere del fascismo e il suo atto culminante, la cosiddetta marcia su Roma, possono essere capiti solo all'interno di un quadro più vasto, quello di un'Europa incapace di chiudere i conti con la Grande guerra. E se furono soprattutto i paesi sconfitti a scoprire che uscire dalla cultura dell'odio e della violenza quotidiana non era facile, frustrazione, scontento e desiderio di rivalsa si impossessarono anche degli italiani che pure - almeno formalmente - la guerra l'avevano vinta. Marco Mondini compone la storia corale e implacabile di un'Italia in cui la lotta politica si trasforma in guerra civile e che scivola via via verso il lungo ventennio della dittatura fascista.
La storia è tornata e ha riportato la guerra. Dal momento in cui è stata immaginata come Stato nazionale fino all'atto della sua nascita, durante le campagne del Risorgimento, i conflitti mondiali e la lotta partigiana, la storia dell'Italia unita sembra un'unica narrazione di uomini in armi, sacrificio, guerre e combattimenti. Certo, a conti fatti a essere tramandate sono più sconfitte e ritirate che vittorie gloriose. Ma ciò non toglie che da oltre un secolo le memorie degli italiani siano state affollate soprattutto dall'esperienza della morte sul campo di battaglia. La morte temuta, la morte inferta, la morte per la collettività, la morte per poter immaginare un futuro democratico, la morte onorevole. Marco Mondini rilegge questo lungo racconto in un viaggio attraverso l'immaginario e il ricordo delle guerre. E oggi? Armi e morte sono tornate a occupare il nostro spazio quotidiano sfidando la tentazione di distogliere lo sguardo.
I militari di professione non hanno mai riscosso grandi fortune nella storia dell'Italia unita. Ma mai come nel primo dopoguerra essi sono stati al centro di una trama politica fatta di sospetti e congiure che li ha resi oscuri protagonisti dell'avvento del fascismo. La Grande Guerra aveva rappresentato per le forze armate italiane un'occasione di riscatto e di affermazione. La vittoria finalmente conquistata sembrava ai più mutilata, svilita e demonizzata. Fu questa esperienza traumatica a spingere la società militare a mobilitarsi contro le sinistre 'antinazionali', abbandonando la propria tradizionale apoliticità e giocando un ruolo decisivo nella crisi del regime liberale.
Perché gli alpini sono diventati un mito così popolare nell'immaginario degli italiani, passando indenni attraverso due guerre mondiali, la dittatura, la guerra civile, la guerra fredda, mentre il resto della forze armate perdeva molto del proprio prestigio e della propria capacità di attirare consenso? Le origini di questa straordinaria fortuna, unica in Europa, deve forse essere ricercata in una complessa interazione tra testi letterari di successo, capaci di riutilizzare il preesistente mito delle Alpi di origine romantica, e una potente rete associativa, l'Associazione Nazionale Alpini, capace di farsi promotrice del mito, collettore di consenso, e di mobilitare negli ultimi cinquant'anni decine di migliaia di persone in grandi feste pubbliche e patriottiche.