
È possibile che Nerone non abbia dato Roma alle fiamme? Che Livia non abbia pianificato gli omicidi di tutti gli eredi al trono? Che i Romani non vomitassero durante i pasti? La storia cambia costantemente prospettiva grazie a tutti coloro che, viaggiando nel tempo e cambiando il passato, modificano gli eventi in base al loro punto di vista. Così, spesso, la storia che ci è stata raccontata non corrisponde alla realtà. In questo libro, sveleremo gli inganni, le menzogne e le distorsioni del mondo romano: da quelle che ci sono state tramandate dalla storiografia ufficiale, spesso inconsapevolmente, dovute all'impenetrabile velo che accompagna i fatti del passato, a quelle narrate nei film, nelle serie TV e nei romanzi.
Diversamente da quanto il titolo potrebbe far intendere, questo non è un libro contro il digitale, anzi: le nuove forme tecnologiche odierne sembrano poter amplificare alcune delle potenzialità della fotografia tradizionale, basti pensare al formidabile utilizzo delle fotocamere dei cellulari nella produzione e archiviazione di "oggetti" di memoria. L'avvento del digitale, l'affermazione di una tecnologia che fa della manipolazione la sua arma migliore, sembrano aver dissipato le critiche mosse a teorici, artisti e operatori di epoca analogica, secondo le quali la fotografia di prima generazione veniva considerata un mezzo di duplicazione della realtà, incapace di "mentire" e, quindi, di produrre forme culturali. Ma con il passaggio dall'analogico al digitale, definito da molti epocale e dirompente, la fotografia ha veramente cambiato modalità e filosofia di rappresentazione? Andando oltre la querelle tra gli "apocalittici" e gli "integrati", tra coloro che rimpiangono i prodotti a traccia chimica e quelli che ne annunciano l'inesorabile tramonto celebrando i fasti del nuovo sistema, l'autore propone un confronto originale delle due tecnologie per tornare a riflettere su questioni fondamentali, etiche ed estetiche, dell'identità fotografica, sul ruolo e la responsabilità dell'autore, sull'arte e la comunicazione più in generale.
Fiorita sull'altopiano del Corno d'Africa e lungo le coste del Mar Rosso prospicienti l'Arabia del Sud, la civiltà del Regno di Aksum tuttora riveste per fascino di tradizioni e ricchezza di storia un ruolo non irrilevante. Cristianizzato dalla metà del IV secolo e attore primario nelle vicende dell'area tra il III e il VII, il Regno di Aksum ha lasciato una documentazione epigrafica di grande interesse, poco nota e difficilmente accessibile, sia in greco sia in etiopico. Insieme alle ricchissime testimonianze archeologiche e numismatiche, l'epigrafia aksumita illumina mirabilmente dall'interno alcuni eventi capitali del tempo, dalla cristianizzazione alla grande spedizione militare del re Kaleb in Arabia del Sud nel VI secolo, celebrata nei secoli dalla letteratura bizantina. In questo lavoro postumo del semitista ed etiopista Paolo Marrassini le iscrizioni reali aksumite sono per la prima volta presentate in una traduzione riccamente annotata, preceduta da un'estesa rassegna introduttiva sulla storia e le tradizioni dell'Etiopia tardoantica. Un saggio di Rodolfo Fattovich sull'archeologia aksumita e una nota editoriale di Alessandro Bausi completano il volume.
Il Novecento in Italia è stato un secolo imprevedibile e drammatico come i passi di una sonnambula, sempre sul filo di cadute rovinose, risvegli improvvisi e svolte impreviste. Un racconto originale e appassionante di una storia nella quale tutti noi siamo i protagonisti.
L’Italia nel Novecento ha spesso camminato come una sonnambula, inconsapevole dei rischi e delle difficoltà a cui andava incontro. Salvo risvegliarsi all’improvviso sull’orlo del precipizio o mentre cadeva. Così anche chi voglia farne il ritratto si trova a inseguire un’ombra sfuggente, affascinante e difficile da definire. Così abbiamo l’Italia di Cadorna a Caporetto che si desta sulla linea del Piave, l’Italia sonnambula sotto il balcone del duce che si sveglia mentre passeggia sui tetti delle città bombardate; l’Italia narcotizzata dalla corruzione che apre gli occhi con l’inchiesta Mani pulite, l’Italia illusa dall’idea di un progresso inarrestabile e di un benessere inattaccabile che si risveglia di soprassalto con la recessione del 2009. E allora, forse, l’unico modo che abbiamo per conoscere e comprendere meglio questa sonnambula è quello di realizzare un grande affresco. Un dipinto, capace di tenere assieme il passo del narratore con l’accuratezza dello storico, in cui i temi più consueti sono affiancati ai grandi avvenimenti culturali e ai risultati più recenti della storia sociale. Ad animare e a ravvivare il racconto troviamo poi i ritratti dei grandi protagonisti, realizzati con la convinzione che una storia d’Italia non possa essere che una storia degli italiani. Un libro destinato a tutti coloro che vogliono riscoprire la storia recente del nostro paese attraverso un punto di vista non convenzionale.
Se c'è una battaglia che ha compromesso in modo definitivo i sogni di dominio di Hitler, è senza dubbio quella di Stalingrado. Dal 23 agosto 1942 al 10 marzo 1943 la VI armata tedesca condotta da Paulus fu inchiodata dalla tenacia dei sovietici alla città che portava il nome del loro leader. Uno scontro senza esclusione di colpi, con due eserciti che si battevano senza alcun freno e senza alcuna regola con una sola direttiva: annientare il nemico. Vincitori in estate, i tedeschi si trasformarono in assediati durante l'inverno, costretti da Hitler a resistere fino alla morte: soffrirono la fame, le malattie, il freddo, consapevoli di non poter sperare in alcuna pietà da parte dei vincitori. E la guerra di conquista si trasformò gradualmente in una di sterminio. Mentre la produzione bellica tedesca arrancava, piegata dalla mancanza di materie prime e dai bombardamenti alleati, quella sovietica aumentava in continuazione, sfornando un numero crescente di carri armati, aerei, cannoni, e catapultando sempre più uomini al fronte. La Luftwaffe finì per perdere lo scontro per i rifornimenti della VI armata e già a Natale del 1942, a Berlino si parlava degli eroi di Paulus come se fossero già morti. Passo dopo passo, Andrea Marrone ripercorre una delle battaglie che più hanno cambiato il corso della storia.
"Una delle pagine più cupe dell'ultima stagione del nazifascismo: la deportazione degli ebrei d'Italia nei campi di concentramento. Titti Marrone gestisce tutto questo magma storico tenendo forte la rotta della schietta testimonianza. Abbassa questa barbarie all'altezza dei bambini. Visto da loro il male mostra il lato più spaventoso." (Marco Maugeri, l'Unità). È un treno a rapire i tre bambini di questa storia ed è un treno a restituirne due nel dicembre 1946. Nel mezzo di questo essere portati via e essere restituiti, c'è l'indicibile del campo di sterminio. Questo libro racconta di tre bambini deportati ad Auschwitz con le loro madri. Titti Marrone è responsabile delle pagine culturali del "Mattino" di Napoli.
"'L'histoire de l'éducation dans l'Antiquité', apparsa a Parigi nel 1948 per le Éditions du Seuil, è l'opera centrale di Henri-Irénée Marrou (Marsiglia 1904-Parigi 1977), grande studioso del cristianesimo antico, esperto epigrafista, importante teorico della storiografia, appassionato musicologo, intellettuale impegnato in vari gruppi del cattolicesimo sociale francese. Marrou non poteva pensare di dovere gran parte della sua fama proprio a quest'opera erudita e complessa, ma come talvolta accade per testi che vengono a colmare un vuoto e per autori che costruiscono il proprio oggetto osando dove altri non si sono spinti, la Storia è diventata uno dei suoi scritti più ammirati, letti e tradotti. In Italia è stata pubblicata presto, nel 1950, da "Studium" nella collezione in cui era apparso 'Umanesimo integrale' di J. Maritain e 'Cattolicesimo' di Henri De Lubac, ed ha avuto un'eco significativa anche oltre la cerchia degli specialisti degli studi classici" (dalla Prefazione di Giuseppe Tognon).
Pi˘ che un saggio critico, queste pagine del Marrou riferiscono uníesperienza di lettura lucida e partecipata. La partecipazione ha trovato stimolo nelle soleggiate stagioni di Marsiglia; la lucidit‡ proviene dalla sensibilit‡ storica dellíautore, dal suo senso di prudenza scientifica, da un accostamento metodico del passato, attento ai contesti complessi (filosofico, musicale, architettonico) e da una visione equilibrata nÈ voltairiana nÈ apologetica del Medioevo.
CíË poi il tocco caratteristico del Marrou, col suo linguaggio duttile, il suo giudizio sottile, il procedimento colloquiale, brillante, non privo di humor e non alieno dalla beccata polemica.
ComíË detto dalla Finoli, che ne ha curato líedizione italiana: líinterpretazione del Marrou ´riesce a dare uníimmagine dellíantica lirica provenzale pi˘ viva, pi˘ intera, pi˘ affascinante di quanto non facciano opere pi˘ elaborate e impegnativeª.
Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1576 al 1611, è molto amato dalla letteratura, ma poco dalla storia. La sua vita e il suo regno non furono segnati da eventi particolari: accadde tutto prima di lui - il nonno Carlo V diede vita all'impero più vasto mai conosciuto, sul quale "non tramontava mai il sole" - o dopo di lui - la Guerra dei Trent'anni scoppiò nel 1618, poco dopo la sua morte. Ispirato cultore del bello e dell'arcano, Rodolfo popolò la sua corte stravagante di artisti, esoteristi, stregoni e scienziati, in un clima di tolleranza, favorevole al progresso della scienza e alla circolazione delle idee, di cui si avvalse anche Giordano Bruno. La sua passione per l'occulto attirò alchimisti come Oswald Croll e maghi come John Dee ed Edward Kelley, che guardavano in sfere di cristallo e traevano auspici parlando con gli angeli; intanto gli astronomi dovevano conquistare la sua volubile generosità elaborando oroscopi e interpretando l'apparizione di nuove stelle e il passaggio delle comete. Esautorato dai suoi nobili, lasciò la corona scagliando una maledizione su Praga e sulla nazione ceca, che in qualche modo si avverò. Durante la Guerra dei Trent'anni ogni esercito di passaggio saccheggiò il Castello e le sue inestimabili collezioni e la Boemia perse la propria indipendenza per trecento anni. Peter Marshall ha scritto questo libro per amore di Praga, della sua storia e di un uomo che ha saputo incarnare lo spirito di un'epoca, dando vita ai suoi demoni e alle sue speranze.

