
"Streghe a migliaia dovunque, che si moltiplicano sulla terra come vermi in un giardino": un milione e ottocentomila, secondo le parole di un demonologo francese del Seicento. Cifra che rende un'idea delle dimensioni della caccia alle streghe. Tra il 1450 e il 1750, i processi furono 90.000 e 45.000 gli individui, per la maggior parte donne anziane e povere, condannati da tribunali religiosi e civili. Molti venivano mandati al rogo come rei confessi (ma sotto tortura). Altri confessavano spontaneamente, ma oggi sappiamo che patologie mentali come la mitomania, o l'uso di sostanze stupefacenti (ad esempio l'atropina contenuta in diversi unguenti 'stregati') possono indurre le persone a confondere realtà e immaginazione. Tuttavia non si può liquidare una tale mattanza come un fenomeno legato solo a ignoranza e superstizione. La psicosi della caccia alle streghe coinvolse classi colte e gente comune, fu a un tempo riflesso delle idee popolari e di quelle dell'elite, ebbe specifiche dimensioni religiose e sociali e fu condizionata da fattori politici e giuridici.
Madame de Pompadour, nata Jeanne-Antoinette Poisson, borghese promossa al rango di amante di Luigi XV, occupa un posto particolare nella storia delle grandi famiglie. Innamorata e donna di potere al tempo stesso, il suo "regno" durò vent'anni: dal primo incontro con il sovrano, nel 1745, fino alla morte nel 1764. Decisivo fu l'ascendente politico che la favorita seppe esercitare sul re e sui suoi ministri e che le consentì di raggiungere ben presto una posizione di governo. Con il passare degli anni l'amante si trasformò gradualmente in una sovrana che creava e distruggeva i ministri, si impegnava in trattative diplomatiche, intratteneva corrispondenze con i generali, esercitava il proprio gusto come protettrice delle arti.
In un momento nel quale tutti gli occhi sono puntati sulla situazione russa e sui possibili esiti della sua crisi politica ed economica, Arrigo Levi racconta e spiega, con gli occhi di un contemporaneo e di un cronista, la storia russa di questo secolo.
Alcuni studiosi europei tracciano un profilo storico complessivo della condizione giovanile: un affresco di una fase di passaggio cruciale nella vita di ogni uomo. Ma oggetto di questi due volumi non è solo la gioventù intesa come fatto biologico o come stadio della crescita individuale, ma soprattutto i giovani intesi come gruppo sociale, come movimento politico, come forza storica e come spinta creativa nelle arti e nelle lettere. In questo volume saggi di: Alian Schnapp, Augusto Fraschetti, Elliott Horowitz, Christiane Marchello Nizia, Elisabeth Crouzet-Pavan, Michel Pastoreau, Norbert Schindler, Renata Ago.
Alcuni studiosi europei tracciano un profilo storico complessivo della condizione giovanile: un affresco di una fase di passaggio cruciale nella vita di ogni uomo. Ma oggetto di questi due volumi non è solo la gioventù intesa come fatto biologico o come stadio della crescita individuale, ma soprattutto i giovani intesi come gruppo sociale, come movimento politico, come forza storica e come spinta creativa nelle arti e nelle lettere. In questo volume saggi di: Giovanni Romano, Sabina Loriga, Daniel Fabre, Michelle Perrot, Jean-Claude Caron, Sergio Luzzatto, Laura Malvano, Erich Michaud, Luisa Passerini.
Nel 1945, all'indomani della liberazione, i militari sovietici che controllavano il campo per ex prigionieri di Katowice, in Polonia, chiesero a Primo Levi e a Leonardo De Benedetti, suo compagno di prigionia, di redigere una relazione dettagliata sulle condizioni sanitarie del Lager. Il risultato fu il "Rapporto su Auschwitz": una testimonianza straordinaria, uno dei primi resoconti sui campi di sterminio mai elaborati. La relazione, pubblicata nel 1946 sulla rivista scientifica "Minerva Medica", inaugura la successiva opera di Primo Levi testimone, analista e scrittore. Nei quattro decenni seguenti, Levi non smetterà mai di raccontare l'esperienza del Lager in testi di varia natura, per la maggior parte mai raccolti in volume. Dalle precoci ricerche sul destino dei propri compagni alla deposizione per il processo Eichmann, dalla "lettera alla figlia di un fascista che chiede la verità" agli articoli apparsi su quotidiani e riviste specializzate, "Così fu Auschwitz" è un mosaico di memorie e di riflessioni critiche dall'inestimabile valore storico e umano. Una raccolta di testimonianze, indagini e approfondimenti che, grazie alla coerenza, alla chiarezza dello stile, al rigore del metodo, ci restituiscono il Primo Levi che abbiamo imparato a riconoscere come un classico delle nostre lettere.
Una raccolta di saggi scritti lungo il corso di tutta la vita di uno dei più grandi filosofo dello scorso secolo che si interroga sui fatti che la storia impone.
Iniziava nel luglio 1916 la battaglia della Somme, tra le più lunghe della Prima Guerra Mondiale, la più sanguinosa della storia in termini di vite umane. In questo libro le testimonianze dei soldati e degli ufficiali di entrambi gli schieramenti, registrate dall'Imperial War Museum di Londra, diventano il racconto corale di cinque mesi di combattimenti e vita in trincea. Un omaggio rispettoso e commovente agli uomini che andarono all'assalto, scavarono trincee, tesero fili spinati, combatterono e morirono un secolo fa in Piccardia.
L'Inghilterra è stata la principale potenza coloniale e ancora in pieno Novecento il suo impero si estendeva su tutti i continenti, dall'Africa all'Asia, dall'America all'Oceania. L'impero britannico non è dunque un fatto di storia inglese ma letteralmente di storia globale. A questo impero Philippa Levine ha dedicato un profilo che presenta forti elementi di originalità: non si limita infatti a tracciare la parabola politica dell'impero, dalla sua prima formazione alla decolonizzazione dell'ultimo dopoguerra, ma racconta con vivezza anche che cosa ha significato vivere in un impero per gli uomini e le donne che vi si sono trovati, tanto da dominatori quanto da dominati, e come l'impero abbia permeato di sé ogni aspetto della loro vita, dal cibo alla lingua, dal lavoro all'istruzione, senza dimenticare di mettere in luce come l'esperienza dell'impero si sia diversamente modulata nelle varie aree geografiche. Il volume offre così un racconto che affianca all'indispensabile narrazione fattuale un vivace e moderno approccio di storia sociale e culturale.
La sera del 5 dicembre 1943, il giovane pianista Arturo Benedetti Michelangeli suona al Teatro La Fenice di Venezia. In quelle stesse ore, polizia, carabinieri e volontari del ricostituito Partito fascista - i carnefici italiani - compiono in città una delle maggiori retate di ebrei nella penisola dopo quella condotta dai tedeschi a Roma il 16 ottobre. Sulla base del censimento della popolazione di "razza ebraica" condotto a partire dal 1938, oltre centocinquanta tra uomini, donne, vecchi e bambini vengono stanati dalle loro case e tradotti alle locali carceri. Nei giorni successivi i loro beni vengono sequestrati, gli appartamenti sigillati o destinati ad altri italiani. I prigionieri saranno poi trasferiti a Fossoli di Carpi, il principale campo di transito degli ebrei nella Repubblica sociale, gestito da forze italiane. Qui saranno detenuti in condizioni precarie e, quindi, caricati su vagoni piombati - dopo la consegna in mani tedesche - su cui verranno condotti alla morte nel campo di sterminio di Auschwitz. Questi eventi si ripeterono in modo analogo, tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1945, nelle principali città e in una miriade di piccoli paesi del centro-nord della penisola italiana. Perché si tende ancora a rimuovere il ricordo di queste vicende, mentre prevale quello dei "salvatori" e dei "giusti"? Perché raramente si ricorda che almeno metà degli arresti di ebrei fu condotta da italiani, senza ordini o diretta partecipazione dei tedeschi?
La sera del 5 dicembre 1943, il giovane pianista Arturo Benedetti Michelangeli suona al Teatro La Fenice di Venezia. In quelle stesse ore, polizia, carabinieri e volontari del ricostituito Partito fascista - i carnefici italiani - compiono in città una delle maggiori retate di ebrei nella penisola dopo quella condotta dai tedeschi a Roma il 16 ottobre. Sulla base del censimento della popolazione di "razza ebraica" condotto a partire dal 1938, oltre centocinquanta tra uomini, donne, vecchi e bambini vengono stanati dalle loro case e tradotti alle locali carceri. Nei giorni successivi i loro beni vengono sequestrati, gli appartamenti sigillati o destinati ad altri italiani. I prigionieri saranno poi trasferiti a Fossoli di Carpi, il principale campo di transito degli ebrei nella Repubblica sociale, gestito da forze italiane. Qui saranno detenuti in condizioni precarie e, quindi, caricati su vagoni piombati - dopo la consegna in mani tedesche - su cui verranno condotti alla morte nel campo di sterminio di Auschwitz. Questi eventi si ripeterono in modo analogo, tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1945, nelle principali città e in una miriade di piccoli paesi del centro-nord della penisola italiana. Perché si tende ancora a rimuovere il ricordo di queste vicende, mentre prevale quello dei "salvatori" e dei "giusti"? Perché raramente si ricorda che almeno metà degli arresti di ebrei fu condotta da italiani, senza ordini o diretta partecipazione dei tedeschi?