
"Anni di piombo". Con questa espressione un po' spettrale si è creduto – e tuttora spesso si crede – di poter riassumere un intero decennio della nostra storia, quello che va dalla strage di Piazza Fontana del dicembre 1969 al "riflusso" degli anni ottanta. Eppure sotto quella coltre di piombo restano ancora seppellite le tracce e le storie di troppi protagonisti, in primo luogo le vittime innocenti ma non inconsapevoli di una violenza che le ha travolte insieme ai movimenti e alle idee alle quali avevano deciso di dedicare la propria vita. È un passato che in Italia non riesce ancora a passare, ma su cui non si riesce a costruire una memoria pubblica condivisa.
Le "ragioni" degli anni settanta vengono ora esplorate da Giovanni De Luna in questa ricostruzione appassionata e coinvolgente. Non si tratta di difendere il decennio dai suoi detrattori. Piuttosto, il tentativo è quello di smontarlo, di sottrarlo a immagini troppo univoche. Solo così possono riemergere le coordinate di uno straordinario impegno politico e i contorni di una militanza dai tratti profondamente originali, solo così riesce a rivivere uno "spirito del tempo" fatto non solo di violenza, ma di canzoni, film, intrecci della memoria e rapporto con la Storia.
La memoria pubblica è un "patto" in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciar cadere degli eventi del nostro passato. Su questi eventi si costruisce l'albero genealogico di una nazione. Sono i pilastri su cui fondare i programmi di studio per le scuole, i luoghi di memoria, i criteri espositivi dei musei, i calendari delle festività civili, le priorità da proporre nella grande arena dell'uso pubblico della storia, le scelte sulla base delle quali si orientano tutti i sentimenti del passato che attraversano la nostra esistenza collettiva. I fondamenti di quel "patto" cambiano a seconda delle varie "fasi" che scandiscono il processo storico di una nazione. Vent'anni fa, la classe politica uscita dal crollo della Prima Repubblica venne chiamata a una complessiva opera di "rifondazione". Si trattava di rinnovare un intero apparato simbolico. Vent'anni dopo prendiamo atto di un vero fallimento. A tenere insieme il patto fondativo della nostra memoria sono oggi infatti il dolore e il lutto che scaturiscono dal ricordo delle "vittime". Della mafia, del terrorismo, della Shoah, delle foibe, delle catastrofi naturali, del dovere, vittime, sempre e solo vittime. Il loro dolore, per potersi vedere riconosciuto, deve sopravanzare quello delle altre. Per emozionare, commuovere, suscitare consenso, le sofferenze vanno gridate. Quasi che le emozioni siano merci e che sia il mercato a imporre le sue regole, nel controllarne la domanda e l'offerta.
Sono decenni, ormai, che la Resistenza è sottoposta a uno scrutinio costante da parte di storici, ma anche di giornalisti e opinionisti. E se una volta poteva essere provocatorio fare le pulci al mito dei partigiani e parlare di guerra civile mettendo sullo stesso piano le fazioni in lotta, oggi molta di questa vulgata è diventata un sottofondo dato quasi per scontato. Il rischio è che ci dimentichiamo, e le giovani generazioni non sappiano mai, quanto di nobile, puro e davvero all'altezza del suo mito c'è stato nella lotta partigiana. Nel settantesimo anniversario della Liberazione, Giovanni De Luna ha voluto mettere di nuovo a punto un'immagine della Resistenza che si stava offuscando. Con grande efficacia, De Luna ha scelto una storia, un luogo, alcuni personaggi: un castello in Piemonte, una famiglia nobile che decide di aiutare i partigiani, la figlia più giovane, Leletta d'Isola, che annota sul suo diario quei mesi terribili ma anche meravigliosi in cui comunisti e monarchici, aristocratici e contadini, ragazzi alle prime armi e ufficiali dell'ex esercito regio lottarono, morirono, uccisero per salvare la loro patria, la loro libertà, il futuro di una nazione intera. Mesi in cui, tra il cortile della sua villa di famiglia e le montagne tutt'attorno, si formò veramente quell'unità che diede origine al mito della Resistenza.
Prefazione di Sergio Zavoli
È la rilettura, in stile diaristico, dei mesi di guerra vissuti da don Carlo Gnocchi durante la Campagna di Albania e di Grecia nel 1941.
L'autore, immedesimandosi nel personaggio che tanto influenzò il dopoguerra italiano, ne esalta la personalità attenendosi a fatti e luoghi che sono rigorosamente documentati dagli archivi militari, dalle lettere del Cappellano degli alpini, dalle testimonianze dirette raccolte con scrupolo documentario da De Marchi dopo la guerra.
“Il Conservatorio delle Alpi”: così, in uno scritto degli anni settanta, l’insigne musicologo Massimo Mila definì il Coro della SAT di cui fu amico per più di mezzo secolo, ciò che costituì sempre motivo di orgoglio per il complesso trentino.
Questo libro è il risultato di decenni di riflessioni su un fenomeno musicale importante anche se trascurato dalla cultura ufficiale, salvo eccezioni di altissima qualità: Arturo Benedetti Michelangeli fu del Coro prezioso collaboratore. Quell’esperienza straordinaria è tuttora ben viva, ma delle sue radici si rischia di perdere la memoria. Lo scopo di ripercorrere più di ottant’anni di storia del Coro, dando la parola ai protagonisti e traendo dall’oblio antiche testimonianze e rari documenti, è stato appunto quello di non far dimenticare le ragioni, essenzialmente artistiche e musicali, che lo hanno fatto nascere e tenuto in vita fino ad ora, e, speriamo, ancora per molto tempo.
Il CD che accompagna il volume propone, in qualche caso per la prima volta, ventiquattro registrazioni realizzate nell’arco di settant’anni.
L’Isola misteriosa, come la Trilogia Romana dello stesso autore, è composta di tre racconti, concatenati l'uno all'altro, che ci offrono un affresco di vita e cultura siciliana prima e dopo il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. I protagonisti sono figure storiche, come sant’Annibale Maria di Francia, Sir Alexander Nelson Hood, discendente del celebre ammiraglio, e un professore di igiene di Catania di cui l’autore non fa il nome, ma ha caro il ricordo. Parole e dialoghi sono basati su memorie e documenti autentici e le vicende umane sono giudicate alla luce della filosofia e della teologia della storia. La terra di Sicilia dischiude in queste pagine una parte del suo mistero.
«Siamo siciliani, caro professore, abbiamo la Sicilia non solo nel cuore, ma anche nel sangue. La nostra non è l’isola sensuale e scettica che ci viene dipinta. Questi sono i nostri difetti, ma chi ci parla delle nostre virtù, della nostra vocazione? C’è un’isola segreta, che non è solo un luogo geografico, ma è la terra intima del nostro cuore, quel tesoro che conserviamo nel profondo e non vogliamo svelare né agli altri né a noi stessi. Riscopriamo la nostra identità attraverso coloro che nella storia hanno scoperto questo segreto, realizzando così la propria vocazione.»
Le cospirazioni e le società segrete esistono perché l'uomo, ferito dal peccato originale, è inclinato al male e la sua natura sociale lo spinge a unirsi ad altri uomini per realizzare fini malvagi. Roberto de Mattei, con il rigore storico che gli è proprio, ci propone una guida, più che informativa, criteriologica, per orientarsi in questo tenebroso labirinto del male, tra congiure, cospirazioni e complotti, termini che sono spesso usati come sinonimi ma che, attraverso la loro differenza semantica e concettuale, possono aiutarci a comprendere meglio la dimensione occulta della storia degli ultimi cinque secoli. Se le congiure sono accordi segreti, limitati a poche persone e diretti a sopprimere un sovrano o un uomo politico, per ragioni spesso di potere, le cospirazioni sono progetti più ampi che si propongono di rovesciare un ordine costituito. L'epoca d'oro delle congiure e degli assassini politici va dai veleni del Rinascimento al Settecento. Con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese si apre un'epoca in cui, accanto alle tradizionali congiure, si sviluppano le cospirazioni di carattere ideologico e politico. Il complotto è invece un aggregato inafferrabile e oscuro, di cui non sono svelate né le identità degli attori né le concrete modalità operative. Il neo-complottismo contemporaneo - dalla cospirazione dell'Acquario ai rettiliani, al Grande Reset, fino al virus pandemico - non ha nulla a che fare con lo studio delle società segrete anticristiane che ha sempre fatto parte della storiografia e dell'apologetica cattolica, ma fa il gioco di tutti coloro che hanno interesse alla destabilizzazione psicologica, intellettuale e morale dell'Occidente.
Sovranismo e antisovranismo sono due tendenze del dibattito politico contemporaneo. L'autore di questo volume. sulla base di una profonda conoscenza del pensiero classico e della letteratura contemporanea, dimostra che lo Stato e la sovranità non sono idee effimere e convenzionali destinate ad essere superate dal corso della storia, ma una caratteristica naturale e necessaria della società umana. L'abolizione della sovranità implicherebbe la morte e la decomposizione della società che, privata del suo principio vitale e del suo centro unificatore, finirebbe col cadere in preda del disordine e dell'anarchia, come oggi sta accadendo. La riconquista concettuale del principio di sovranità è una condizione necessaria per far fronte al caos che minaccia l'umanità nell'era della globalizzazione.
Mario De Micheli si occupa, in questo saggio, di quegli artisti che si sono trovati ad agire in contesti di oppressione e repressione delle libertà di espressione artistica, che hanno riflettuto sulle implicazioni sociali del loro ruolo e sulle finalità "politiche" dell'arte. In primo piano figure quali Picasso, i muralisti messicani, o gli artisti italiani vicini alle idee di "Corrente", ossia quanti hanno cercato soluzioni formali ed espressive in grado di trasmettere i valori civili oltre che estetici. A tenere il filo del discorso, nella molteplicità degli artisti trattati e nella ricchezza documentaria dell'opera, è il nesso fra arte e libertà, fra espressione creativa e realtà sociale e politica.
Il futurismo ha avuto le sue manifestazioni più rilevanti in Italia e in Russia, e la storia delle loro intersezioni è dunque di primaria importanza; ma dietro alla complessa vicenda dei rapporti tra i due "futurismi", si cela una questione anche più intrigante, che tocca la nozione stessa di "avanguardia" (formatasi con l'impiego di un termine militare per significare le istanze di rottura e innovazione sia in campo estetico che in quello politico). L'agognata saldatura delle 'due avanguardie' fu un sogno che divenne dominante dopo il terremoto della prima guerra mondiale, col sovvertimento degli istituti politici tradizionali e il sorgere del bolscevismo in Russia e del fascismo in Italia. Allora, la questione del "primato" e delle "influenze", pur continuando a venire discussa soprattutto col metro artistico, ha acquisito una valenza metastorica, riversandosi retrospettivamente sul periodo d'oro del futurismo. La ricostruzione documentaria del dibattito scaturitone (con l'intervento, tra gli altri, di Marinetti e Majakovskij, di Gramsci e Trockij, di Cavacchioli, Prezzolini, Croce, Jakobson, Livsic e Chlebnikov) consente di far luce su uno snodo decisivo per intendere criticamente l'intera vicenda dell'avanguardia novecentesca: questo libro raccoglie un'ampia silloge di fonti originali, e porta un contributo essenziale alle celebrazioni per il centenario del futurismo, fuori da una prospettiva angustamente nazionalistica.
La storia documentata di un falso che rappresenta l'episodio culminante di una lunga storia di rielaborazioni prodotte nella seconda metà dell'Ottocento dalla subcultura dell'antisemitismo russo. Oltre al testo dei Protocolli, il volume presenta una raccolta completa di documenti dell'epoca molti dei quali inediti in italiano che permettono di ricollocare i Protocolli nel variegato mondo dell'antisemitismo russo, forse l'unico ancora oggi realmente vitale.