
Percepita al suo apparire come una rivoluzione tecnica e una magia, la fotografia è il primo mezzo che permette la riproduzione tecnica della 'realtà'. Fonte ricca di indizi, mette in gioco la 'scienza' e la soggettività dello storico-detective. Studiare la fotografia per lo storico significa infatti capire il modo di pensare, immaginare, rappresentare, esprimersi dell'uomo contemporaneo, perché se i segni visivi hanno accompagnato tutto il corso storico della nostra cultura, la fotografia ha seguito, come testimone e come complice, tutto il cammino dell'uomo dell'era industriale.
Testimone e complice delle vicende umane da oltre centocinquant'anni, la fotografia ha un rapporto privilegiato con l'indagine poliziesca e scientifica. Lo storico - per il quale una fonte che unisca magicamente passato e presente (restituendoci l'impronta di un istante irripetibile) dovrebbe rappresentare un occasione più unica che rara - nutre da sempre verso l'immagine tecnica una diffidenza solo in parte motivata. Fonte per la storia e (inseparabilmente) agente di storia, la fotografia attende ancora una riflessione metodologica e soprattutto ricerche sul campo che ne verifichino la leggibilità e ne promuovano l'inserimento tra gli strumenti di lavoro dello storico.
Lucia è una giovane donna di origini borghesi, figlia di un sottosegretario della Repubblica di Salò, che è vissuta in Francia e ha alimentato, attraverso la lontananza, i miti del fascismo dentro i quali è cresciuta. Non solo, ora è convinta che fra le menzogne sul nazifascismo ci siano anche le crudeltà dei campi di lavoro. Decide di verificare in prima persona e si reca, come volontaria, nei Lager, sicura di poter smentire quelle che ritiene calunnie sulle modalità di trattamento dei "lavoratori" da parte del grande Reich di Hitler. È allora che comincia una discesa agli inferi, complessa, violenta, che legge l'orrore, lo assume in sé e sembra addirittura "scontarlo". Luce d'Eramo ripercorre con Lucia un tracciato di formazione che è stato il suo, un tracciato che tuttora, soprattutto ora (accecati da ogni sorta di revisionismo), suona come avventura della coscienza, testimonianza e grido di allarme. Deviazione è una storia che guarda in faccia il Male e l'orrore, e che disegna, attraverso una struttura e una lingua saldamente governate, un destino non ancora concluso, tutto ancora confitto nella violenza liberatoria di ogni possibile "deviazione".
Scritto nel 1943 subito dopo la destituzione di Mussolini ma pubblicato solo nel 1999, "II 25 luglio" è il racconto in cui Luce d'Eramo, appena diciottenne, si è misurata per la prima volta con la Storia e con le sue urgenze etiche e pratiche: l'euforia e lo sgomento che divisero gli italiani, San Lorenzo e il Verano sotto le bombe alleate. Pur immersa attivamente nel presente di fatti gravi, nell'incredulità e negli improvvisi dubbi di una giovane universitaria di fede fascista, la narrazione sceglie lucidamente il passato remoto "per obiettivare la storia appena vissuta proiettandola indietro nel tempo". Avvenimenti e riflessioni di questo racconto "nudamente autobiografico" già schiudono tutto il coraggio che pochi mesi più tardi avrebbe portato Luce d'Eramo ad affrontare in solitudine la durezza dei campi di lavoro tedeschi e del lager di Dachau e la caduta della dittatura nazista, per incamminarsi verso la sua personale ricerca della verità.
Pubblicato per la prima volta alla fine del 1936, Il Vangelo della forza è a tutt'oggi una delle più lucide analisi dell'ideologia nazista. Secondo Robert d'Harcourt, fervente cattolico, la logica essenziale del nazismo si basa sulla sua volontà di sostituire lo Spirito con la Forza: è come una nuova religione che con i suoi atti di fede, la sua liturgia e i suoi riti, combatte in Germania il cristianesimo. Ad aderire con maggiore entusiasmo al progetto di Hitler sono i giovani, tanto da far scrivere a d'Harcourt che "il nazionalsocialismo si incarna nella gioventù e si confonde con essa. Le deve la sua nascita; le deve la sua durata". La fede personale nel Fürher, caratteristica generale del Terzo Reich, raggiunge il suo apice nei ragazzi e lo fa con l'assoluto candore di cui essi solo essi sono dotati. Quello dello storico non è però una condanna verso la gioventù perché, continua: "Le hanno messo un falso dio fra le braccia. Sono i suoi maestri, e non essa, i responsabili del fervore con il quale essa abbraccia un idolo, con il quale essa recita il credo del sangue e della razza".
Pubblicato in Francia nel 1946, quando la guerra era terminata e il nazismo sconfitto, questo libro aveva uno scopo ben preciso, che non ha perso di attualità. D'Harcourt riteneva che lasciarsi alle spalle con superficialità il pericolo appena scampato fosse un grave rischio: perché l'ideologia totalitaria non tornasse mai più, bisognava invece comprenderla bene nei suoi argomenti e nelle sue motivazioni. La voce del Partito nazista risuona in queste pagine in tutta la sua lineare "razionalità-: poste alcune premesse (primato della razza, selezione naturale applicata alla società, esaltazione della forza, culto della nazionalità), ogni scelta di Hitler e dei suoi complici era solo una conseguenza.
I principi chiave del sapere medievale attraverso l'apporto determinante di tutte le forme di riflessione intellettuale: filosofica, scientifica e teologica. Uno strumento utile che introduce alla conoscenza del mondo speculativo del Medioevo cristiano dal VI al XIV secolo. Un quadro unitario e dinamico al tempo stesso che individua i principi chiave del sapere medievale; presenta il pensiero degli autori "di riferimento" - Boezio, Cassiodoro, Isidoro di Siviglia, Gregorio Magno; Anselmo d'Aosta, Tommaso d'Aquino -; mette in luce l'apporto determinante della civiltà e delle scuole monastiche e il fecondo incontro con il pensiero greco-arabo ed ebraico; tiene conto dei reciproci scambi e apporti di tutte le forme di riflessione intellettuale, filosofica (teoretica e pratica), scientifica e teologica.