
La storia del Novecento in Europa parte da est, dai grandi imperi multietnici dove le idee di nazione rompono gli equilibri secolari, innescano le scintille di due devastanti conflitti e portano alla distruzione di tutte le potenze europee. Vista così, l'Europa del Novecento è un continente incendiato e distrutto, ricostruito e nuovamente disseminato di rovine, povertà, ingiustizie, massacri, odi. Eppure cento anni di divisioni non hanno spento la civiltà europea, né interrotto il percorso per l'affermazione dei valori democratici, né soffocato la speranza di un futuro di giustizia e di benessere per tutti. La storia di questo secolo in Europa è anche il racconto del coraggio di donne e uomini che negli ideali di libertà e nei diritti hanno creduto. È la storia del riscatto dalla povertà e dall'oppressione di milioni di europei che acquistano coscienza di sé, istruzione, piena cittadinanza e pari diritti. È anche il racconto di una civiltà che cambia sulla scia di due rivoluzioni industriali e di una terza tecnologica e informatica.
Dopo la resa dell'Italia, l'8 settembre 1943, la lotta armata degli antifascisti è l'ultimo capitolo di una lunga resistenza al fascismo durata più di venticinque anni. L'eroica battaglia dei partigiani in questo ultimo tragico epilogo del conflitto mondiale, diventato anche guerra civile, ha in parte oscurato la ricostruzione dell'intera storia dell'antifascismo, eroica quanto i diciotto mesi resistenziali. Lunga è stata la resistenza, iniziata nel 1919, costata feriti e caduti sotto i colpi degli squadristi, continuata dopo il 1922 nella clandestinità, nell'esilio, nelle carceri e al confino. Una condanna a vita per gli antifascisti che hanno sacrificato tutto, affetti, amori, lavoro, ma non si sono arresi. Resi invisibili agli occhi degli italiani, a loro volta imprigionati entro le mura di una dittatura totalitaria, gli antifascisti non sono rimasti passivi testimoni delle libertà e dei diritti perduti. Si sono rinnovati nei valori e nei programmi politici; hanno aperto un confronto con i cattolici, i liberali e i democratici, restati da privati cittadini nel paese fascistizzato senza però rinunciare a trasmettere i loro ideali antifascisti alle giovani generazioni che il dittatore educava al culto dello Stato fascista. Su questo ricco patrimonio di pensiero, di saperi, di progetti per il futuro, gli antifascisti hanno costruito le fondamenta della nuova Italia repubblicana e democratica.
Dopo la resa dell'Italia, l'8 settembre 1943, la lotta armata degli antifascisti è l'ultimo capitolo di una lunga resistenza al fascismo durata più di venticinque anni. L'eroica battaglia dei partigiani in questo ultimo tragico epilogo del conflitto mondiale, diventato anche guerra civile, ha in parte oscurato la ricostruzione dell'intera storia dell'antifascismo, eroica quanto i diciotto mesi resistenziali. Gli antifascisti non sono stati passivi testimoni delle libertà e dei diritti calpestati dal fascismo, ma protagonisti politici attivi che, a seconda dei propri ideali e delle proprie ideologie, elaborarono per tutto il ventennio un patrimonio di pensiero e di riflessioni sul quale poggiano le basi della nuova Italia democratica. Una lettura dell'antifascismo nei termini di 'resistenza lunga' che innova la storiografia tradizionale.
Da Tangentopoli alle elezioni politiche del 1994, dalla stagione dei movimenti iniziata poco prima del 2000 all'entrata in scena dell'antipolitica alcuni anni dopo, dal bipolarismo all'implosione dei partiti: Simona Colarizi e Marco Gervasoni ricostruiscono con gli strumenti della ricerca storica un breve ma intenso periodo della storia d'Italia, quello che inizia nel 1992 con il crollo della Prima Repubblica e finisce con il passaggio dall'epoca berlusconiana a quella dei tecnici. L'Italia è così entrata in una fase nuova. La caduta del muro di Berlino ha distrutto Dc e Pci, i due pilastri portanti della Repubblica costruita tra il 1946 e il 1948; il percorso verso la moneta unica, che prepara l'Unione Europea alla sfida del mondo globale, ha sottratto una parte consistente della sovranità allo Stato-nazione; nello stesso tempo la globalizzazione ha investito settori sempre più ampi dei ceti produttivi. Una vera rivoluzione, dunque, si è abbattuta sui cittadini e sui loro rappresentanti per lo più inconsapevoli, malgrado i segnali del mutamento apparissero evidenti da tempo. Nel momento in cui ha cominciato a percepirlo, la politica è rimasta paralizzata, non ha trovato risposte adeguate e convincenti alla questione di fondo che questo processo rivoluzionario, sempre più accelerato, pone con urgenza: come governare la nuova società 'liquida' del XXI secolo?
Al compimento dei suoi primi cinquant'anni (1958-2008), la quinta Repubblica francese sembra longeva, se confrontata alla quindicina di regimi politici che l'hanno preceduta, dalla Rivoluzione francese in poi. Si tratta di un sistema politico del tutto singolare nel panorama istituzionale delle democrazie occidentali, imperniato com'è intorno alla figura di un presidente tanto onnipotente quanto irresponsabile di fronte alla rappresentanza nazionale, che trae la sua legittimità dall'elezione popolare diretta, introdotta del resto tardivamente in una costituzione che invece delinea un sistema parlamentare, sia pure con forti poteri del governo. Il libro segue l'evoluzione istituzionale della quinta Repubblica, focalizzando la sua definitiva consacrazione con l'avvento della sinistra al potere, realizzato da Mitterrand nel 1981, ed evidenziando la sua interazione con i processi evolutivi della società, dell'economia, della cultura francesi. Processi che in gran parte si riassumono anche in Francia in un depotenziamento della politica: crisi dello Stato-nazione, dello Stato sociale, della rappresentanza, dei partiti, dei sindacati; incontrollabile spontaneità dei movimenti sociali, spettacolare personalizzazione della competizione, non di rado foriera di scandali e malcostume. Il libro si chiude con l'esame critico del progetto di riforma costituzionale preparato su incarico del presidente Sarkozy dal Comitato Balladur approvato nel luglio del 2008.
Negli ultimi venticinque anni, l'Afghanistan è stato teatro di operazioni segrete e azioni d'intelligence che hanno scosso in modo insanabile gli equilibri dello scacchiere internazionale. Un "Grande Gioco" che, a partire dall'invasione sovietica del 1979, ha avuto tra i suoi maggiori protagonisti la CIA, il Kgb, L'ISI del Pakistan e i servizi segreti dell'Arabia Saudita e ha favorito la creazione sul territorio afghano dell'embrione di Al Qaeda, dando in seguito a Osama Bin Laden la possibilità di allargare la propria organizzazione e di progettare l'offensiva terroristica culminata l'11 settembre 2001. Basata su numerosi documenti inediti, la ricerca di Coll svela tutti i retroscena del ruolo segreto svolto dalla CIA in Afghanistan: il suo programma nascosto rivolto contro le truppe sovietiche dal 1979 al 1989, l'ascesa dei Talebani con l'apparizione improvvisa di Bin Laden, gli sforzi per catturarlo e ucciderlo dopo il 1998.
A partire dalla prima fase di sviluppo industriale dell'età giolittiana, Andrea Colli offre un quadro interpretativo delle esperienze di imprenditorialità minore, nelle sue molteplici forme che costituiscono una risorsa nel panorama dell'industrializzazione italiana.
Sanzioni, obblighi, espulsioni, privazioni, fino all'internamento e alla deportazione: l'Italia non fu seconda a nessuno per la meticolosità e la severità delle misure imposte agli ebrei. Con una prosa netta e incisiva, Colletti ricostruisce la genesi e la natura della legislazione antiebraica dalla sua fase di avvio, alla confluenza tra razzismo coloniale e antisemita, fino ai tardivi risarcimenti da parte della Repubblica. Una persecuzione che non conobbe tregua fino all'armistizio del 1943 e che ebbe il suo culmine in una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del fascismo della Repubblica sociale, durante l'occupazione dell'Italia da parte della Wehrmacht.
Sanzioni, obblighi, espulsioni, privazioni, fino all'internamento e alla deportazione: l'Italia non fu seconda a nessuno per la meticolosità e la severità delle misure imposte agli ebrei. Enzo Collotti, già professore ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze, è membro del direttivo dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.
Questo libro è il ritratto di un intellettuale, che è anche uno storico dell’Europa del Novecento; oppure dovremmo dire: uno storico che è anche un intellettuale? Difficile separare i due termini nel clima culturale dell’Italia del secondo dopoguerra: quel dimenticato ventennio in cui, “animato unicamente da passione critica e impegno civile”, l’autore sceglie, movendosi tra Trieste, Roma e Milano, di intraprendere la strada dello studioso di storia, perché solo con uno studio rigoroso del passato sembra possibile rispondere alle domande che l’Europa uscita dalla catastrofe del nazismo pone alla nuova generazione.
Letta oggi, la vicenda biografica qui ricostruita – attraverso le memorie del protagonista e poi in dialogo con una storica di una generazione più giovane – sorprende per la ricchezza dei contatti, la varietà dei personaggi che la animano, la presenza di una intellighenzia internazionale impegnata a realizzare e difendere un modello di Europa cosmopolita ispirata a ideali di libertà e giustizia.
Enzo Collotti, già professore di Storia contemporanea all’Università di Firenze, è uno dei maggiori storici della Resistenza in Europa. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia (Laterza, 20082), Dizionario della Resistenza (Einaudi, 2006), Hitler e il nazismo (Giunti, 2005), Fascismo, fascismi (Sansoni, 2004)