
Il libro racconta l'esperienza di Amica Sofia, che da anni porta avanti percorsi di filosofia con bambini e ragazzi. La filosofia di Amica Sofia non è una materia che si insegna, bensì un modo di dialogare, una forma di attenzione, per usare un termine caro a Simone Weil: consiste nel mettersi in ascolto dei bambini e nel riscoprire insieme a loro le molte domande riguardanti l'esistenza, il rapporto con chi ci circonda, le prospettive per il futuro. A scuola si trasmette spesso un sapere strutturato che non corrisponde al domandare pieno di stupore con cui la curiosità si manifesta nel bambino. Amica Sofia intende mostrare come fare filosofia significhi anzitutto saper stare nella domanda, finché non si presenti una risposta plausibile (e mai, comunque, definitiva).
La timidezza oggi non è di moda. L'essere timidi è ritenuto spesso uno svantaggio, persino una malattia, una paura di vivere, un sottrarsi alle competizioni. L'aggressività, il farsi largo non le appartengono, non contraddistinguono l'uomo e la donna sempre un po' in disparte, il cui ritrarsi è indizio di pacatezza e riserbo. Questo libro controcorrente non vuole dare consigli per superare un tratto così intensamente umano. Sta invece dalla parte di chi ancora arrossisce, e considera la timidezza una sensibilità da valorizzare, un intreccio di virtù - saper tacere, essere discreti - che si traducono in un modo più luminoso di stare al mondo.
Gian Piero Quaglino sostiene l'idea di una nuova formazione, non più orientata esclusivamente alle mutevoli esigenze organizzative e al "mondo esteriore" ma capace anche di parlare di ciò che più ci sta a cuore: il corso della nostra stessa vita. Questo manifesto della terza formazione è dunque la proposta di un cammino di apprendimento per coltivare noi stessi attraverso un esercizio di riflessione e interpretazione, verso un traguardo sempre nuovo di formazione e trasformazione personale.
L'Occidente capitalista ha prodotto una nuova forma di schiavitù: l'uomo senza desideri, condannato a conseguire un godimento schiacciato sul consumo compulsivo e perennemente insoddisfatto. Era la tesi di "L'uomo senza inconscio": nel nostro tempo il desiderio rischia l'estinzione. Ma quando diciamo "desiderio" che genere di esperienza evochiamo? Qual è il significato di questa "parola" così fondamentale per la realtà umana? Massimo Recalcati indaga qui un tema chiave della dottrina di Lacan: il desiderio e i suoi enigmi. Come in una galleria di ritratti vengono raffigurati i diversi volti del desiderio umano: il desiderio invidioso, il desiderio di riconoscimento, il desiderio di "niente", il desiderio angosciante, il desiderio sessuale, il desiderio d'amore, il desiderio di morte, il desiderio dell'analista... Ne scaturisce una sintesi semplice e avvincente, che può essere considerata l'introduzione più efficace e più leggibile al pensiero di Lacan.
Come si può tradurre “psiche” o “psichiatria” in lingue diverse da quelle che in Europa hanno fissato regole e confini della scienza? Cosa può fare di uno psichiatra un etnopsichiatra? Innanzitutto, il confronto con altri che altrove lavorano per comprendere e risolvere manifestazioni di sofferenza. Perché questi incontri diano frutti è però necessaria una riflessione sul preteso valore universale delle discipline della psiche, sulla loro presunzione di aderire a una verità naturale buona per tutti e ovunque. A partire dal percorso dell’autore, il libro parla di incontri e scontri con altri saper-fare e discute alcuni nodi critici della psichiatria e della psicoanalisi. Alla fine, apre a una proposta: un nuovo approccio alla sofferenza umana, che faccia da base comune alla molteplicità di tecniche che i diversi popoli hanno messo a punto.
L'autore
Piero Coppo, medico e neuropsichiatra, svolge attività clinica come psicoterapeuta e di formazione nel campo dell’etnopsichiatria. Ha lavorato in programmi di cooperazione internazionale con l’obiettivo di facilitare un dialogo tra le risorse formali della Sanità e quelle informali delle reti locali di terapeuti tradizionali e nativi. Tra le sue pubblicazioni, Tra psiche e cultura (Torino 2003) e Le ragioni del dolore (Torino 2005).
Migliaia di anni fa, la cultura indoeuropea si è divisa in due modi di pensare, che si sono sviluppati uno a Occidente e l'altro a Oriente. Delineandone le differenze, Christopher Bollas illustra in questo volume come queste due mentalità stiano ora nuovamente convergendo, in particolare nella pratica psicoanalitica. Mettendo a confronto psicoanalisti occidentali e filosofi orientali, l'autore collega la pratica psicoanalitica di Donald Winnicott e Masud Khan alla tradizione poetica orientale, improntata al taoismo, mostrando come entrambe privilegino la capacità di stare da soli e forme di comunicazione non verbale. Inoltre, illustra come il pensiero di Jung, Bion e Rosenfeld sia assimilabile all'etica di Confucio, che considera la dimensione collettiva della mente individuale.
Quotidianità, straordinarietà, uguaglianza, soggettività: quattro termini che la psicoanalisi ha sovvertito facendo vedere i legami strettissimi che li uniscono. Chi contrappone la straordinarietà alla quotidianità o l'uguaglianza alla soggettività nega la complessità dell'animo umano, adattandosi al tentativo in corso di ridurre l'individuo a macchina biologica o sociale. Questo libro restituisce il senso dell'impresa psicoanalitica, un'impresa letteralmente rivoluzionaria, che ha dischiuso all'umanità prospettive realistiche di emancipazione e libertà. Contro il buonismo dell'analista comprensivo e accogliente o l'implicito catastrofismo di chi vede psicosi dappertutto. Con molti esempi clinici tratti dalla pratica quotidiana, Semi mostra l'inesauribile ricchezza dell'inconscio e la sua alterità irriducibile e selvaggia, presenti in ciascuno di noi. Negare questa dimensione dell'animo umano significa prestarsi a creare un nuovo tipo di schiavo.
Partendo da una rassegna aggiornata della letteratura psicoanalitica, che mette a confronto la concezione dell'enactment nel modello teorico delle relazioni oggettuali e in quello relazionale, l'autore propone una personale riflessione teorico-clinica sull'enactment, intendendolo come una messa in atto, da parte del paziente, di memorie traumatiche depositate in aree "disaggregate" del proprio Sé, che fanno risuonare nel terapeuta contenuti protopsichici del suo inconscio personale responsabili di una temporanea dissociazione corpo-mente. Si tratta quindi di una comunicazione fra inconsci. Ma a quale tipo di inconscio bisogna fare riferimento? Prendendo spunto dalla propria esperienza clinica, l'autore suggerisce che si tratti dell'inconscio non rimosso, ovvero di un inconscio primitivo, pre-riflessivo, pre-verbale, un organo emotivo-ricettivo capace, nei soggetti sani, di intercettare il segnale emotigeno e di inviarlo all'altro inconscio, quello rimosso, perché possa essere simbolizzato e mentalizzato: una capacità, questa, che risulta gravemente compromessa nei cosiddetti pazienti difficili. In sintesi, il riferimento all'inconscio non rimosso porta a interpretare l'enactment come un temporaneo blackout di tipo dissociativo, che assume una fondamentale importanza per raggiungere quei nuclei emotivi del paziente esclusi dal circuito della simbolizzazione e dell'elaborazione verbale.
Emozioni, sentimenti e passioni forgiano la qualità della nostra esistenza, ma non sempre siamo consapevoli dei modi in cui si esprime la nostra vita affettiva. Tendiamo infatti a vivere in modo irriflessivo. Quale cura di sé consente di coltivare la parte affettiva a vantaggio della qualità dell'esistenza? E come è possibile alimentare gli affetti positivi, che generano sentimenti vitali, e ridimensionare quelli negativi, che mettono a rischio la relazione con se stessi e con gli altri? Rispondere a queste domande significa tracciare un orizzonte alla luce del quale valutare se e quanto le nostre convinzioni siano adeguate alla vita buona. Significa creare le fondamenta della migliore vita possibile. In questa prospettiva, sviluppare la capacità di autocomprensione affettiva rappresenta un obiettivo esistenziale imprescindibile.
Un excursus di temi emblematici nella ricerca sugli affetti: l'analisi di singoli stati emotivi, come l'entusiasmo e la fiducia; dei modi in cui li comunichiamo con le mani, il viso, la voce, il pianto; e dei loro effetti nella persuasione e nella relazione con l'altro. Un valido esempio di come le scienze cognitive possono far luce sul mondo delle emozioni, sulla scelta di comunicarle o meno, per giungere alla conclusione che non sono tanto gli specifici gesti, quanto il modo in cui qualunque gesto può essere prodotto a fare la differenza.

