
In questo libro, donne e uomini incrociano sia la filosofia sia la psicoanalisi, pur provenendo da aree di pensiero diverse. Al centro del libro sta il problema di quali forme creative e intenzioni assuma l'inconscio; e quali forme di ragione possano accompagnare le sue trasformazioni. Autori e autrici pongono anche la domanda: a quale tipo di inconscio facciamo riferimento; a quale psicoanalisi e a quale filosofia? Viviamo un'inquietudine che ci impedisce di trovare pace nelle consuetudini stabilite, nelle istituzioni fondate, nei pensieri già formulati. L'inconscio è la parola che abitualmente spariglia queste carte e ci dà modo di intraprendere strade nuove. Nel fare incontrare filosofia e psicoanalisi di fronte a queste inquietudini, gli autori e le autrici mostrano come l'inconscio inceppandosi, esitando o accelerando, incuneandosi tra personale e collettivo, dando forme impreviste ai sogni, esprima un orientamento molto più che personale, perfino politico. Mantenere un legame con i movimenti dell'inconscio è dare un valore al pensiero per arrivare a un'altra forma di ragione che accolga finalmente il sentire. In altre parole, il libro mostra una ragione che dà conto dell'inconscio come forma di pensiero.
Questo volume presenta la traduzione italiana dell’ottantina di lettere che il curatore tedesco, lo psicoanalista C.A. Meier, è riuscito a reperire tra quelle scambiate nel periodo che va dal 1932 al 1957, fra Wolfgang Pauli, uno dei fisici teorici di punta della stagione della fisica di rottura della prima metà del secolo scorso e Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica che a sua volta presenta punti di rottura e di avanzamento rispetto alla psicoanalisi ortodossa.
E’ stato un confronto vivo e vero, nel corso del quale ognuno dei due studiosi, teso a capire le ragioni e i modi di pensare dell’altro, si è spinto al di là del già noto, tanto da creare un linguaggio comune o, come gli stessi autori dissero, una “correspondentia” capace di intercettare i punti di contatto tra i concetti più nuovi dell’ermeneutica junghiana, quali la sincronicità, l’archetipo, lo psicoide ecc. e i concetti altrettanto nuovi della fisica quantistica in formazione, di cui Pauli è stato un grande protagonista. Da questa comune tensione è nato un esempio notevole e forse unico di dialogo tra studiosi di discipline apparentemente molto distanti fra loro, dialogo che avvenne nel corso di lunghi e faticosi anni di elaborazione e reciproca formazione.
Viktor Frankl, uno psichiatra viennese, affronta in questo libro il problema del significato della vita. All'uomo angosciato e disilluso, a chi vede la sua vita manipolata giorno per giorno, a chi dispera di poter vivere con pienezza la sua "avventura terrena", l'autore offre un messaggio di fiducia e di speranza. La Logoterapia e Analisi Esistenziale gli è da tramite in questo difficile sforzo di riequilibrare e riumanizzare l'uomo, nell'ordine di una libertà e di una verità integrali che sappiano restituire significato e speranza durevoli al suo destino. Ne risulta un'opera che sarà di stimolo e interesse soprattutto per quanti intendono affidarsi a una guida efficace e sicura che li possa aiutare a risolvere i propri problemi.
Lo psichiatra viennese Viktor Emil Frankl è considerato il fondatore della terza grande scuola di psicoterapia conosciuta come Logoterapia e Analisi Esistenziale, ideata come intervento per aiutare l'individuo a ritrovare il senso della propria esistenza. C'è sempre un significato della vita da realizzare ed è in potere dell'uomo ricercarlo e attuarlo: "Nel contesto della logoterapia, il significato non rappresenta qualcosa di astratto, ma qualcosa di assolutamente concreto: il concreto significato di una situazione, con cui un altrettanto concreta persona viene a confrontarsi". Prendendo posizione e distanza dalle scuole classiche di psicoterapia (quelle di Freud e Jung), Frankl ci ha insegnato che la felicità intesa come appagamento, non come semplice e puro piacere, deriva da un atteggiamento di apertura nei confronti della vita, dalle risposte che diamo alle richieste dell'esistenza. La tensione verso il logos (il senso) comporta una soddisfazione che va oltre il principio del piacere freudiano e talvolta può essere in contrasto con esso.
Quali sono le cose fondamentali da sapere? Il famoso psicologo clinico Jordan Peterson ha influenzato la comprensione moderna della personalità e adesso è diventato uno dei più noti pensatori con le sue lezioni su argomenti che spaziano dalla Bibbia alle relazioni d'amore alla mitologia, attirando decine di milioni di spettatori. Il suo messaggio chiaro e rinforzante sul valore della responsabilità individuale e l'antica saggezza ha fatto vibrare il mondo intero. Nel libro propone dodici principi pratici profondi su come vivere una vita ricca di senso. Attingendo a vividi esempi dalla sua pratica clinica e dalla vita privata, oltre che a lezioni dai miti e dalle storie più antiche dell'umanità, "12 regole per la vita" offre un antidoto al caos dell'esistenza: verità eterne applicate a problemi moderni.
"I consigli di questo libro - scrive Irvin Yalom nell'introduzione al volume - sono tratti da annotazioni relative a quarantacinque anni di pratica clinica. Esso rappresenta un mélange particolare di idee e tecniche che ho trovato utili nel mio lavoro. Queste idee sono così personali, presuntuose e qualche volta originali che difficilmente il lettore potrà trovarle altrove". La terapia e il rapporto analista-paziente sono, come indica il titolo, l'argomento proprio di questo libro, ma in una maniera appunto così originale che l'esperienza terapeutica vi appare come una sorta di avventura, e analisti e pazienti vi sono raffigurati come singolari "compagni di viaggio" anziché come distaccati guaritori e infelici che soffrono. Unendo l'abilità di narratore al rigore dello studioso, l'autore di "Le lacrime di Nietzsche" racconta i casi clinici più difficili che gli siano mai capitati rileggendoli alla luce di un passo di Freud o di Schopenhauer, rivela il consiglio di un vecchio amico grazie al quale superò una delusione di gioventù, attinge alle pagine di Hermann Hesse per parlare di malattia e di guarigione. "Guidato dalla passione per il compito" e messi da parte i consigli che gli suscitavano "meno entusiasmo", Yalom invita i lettori a seguirlo attraverso ottantacinque temi centrali della terapia contemporanea.
La depressione è un disturbo che può manifestarsi in diverse forme e momenti nella vita delle persone, inducendo una perdita della capacità di provare piacere e dell'energia necessaria ad affrontare la vita. Una condizione di sofferenza che, se protratta a lungo, può arrivare a dare il desiderio di togliersi la vita. Milioni di persone al mondo subiscono le conseguenze di questo disturbo dell'umore: alcuni convivono con la depressione cronicamente, altri ne sono vittime in modo ricorrente, spesso senza riuscire a comprenderne il motivo. Ma qual è l'origine della depressione? Quali sono i danni che può provocare a livello personale, relazionale, sociale e lavorativo? E soprattutto, è ancora un tabù sociale tanto da indurci a non parlarne? Come si può aiutare un nostro amico e familiare a farsi curare? In questo libro sono esposti in modo chiaro e sempllce i diversi e più importanti fattori biologici, psicologici e sociali che contribuiscono alla nascita di questo disagio e che consentono di comprendere e rispondere nel modo più adeguato alle diverse forme di depressione.
I casi clinici raccolti in questo volume furono pubblicati da Freud in un arco di tempo che va dal 1905 al 1920. Sin dalla loro prima comparsa, hanno rappresentato, e ancora oggi rappresentano, un fondamentale punto di incontro e di confronto tecnico per gli addetti ai lavori, ma anche uno strumento importante per chiunque voglia conoscere e approfondire il percorso di riflessione scientifica del fondatore della psicoanalisi. Questo volume rappresenta, in tal senso, un'opera di riferimento imprescindibile e contiene: "Il caso di Dora", "Il caso del piccolo Hans", "Il caso dell'uomo dei topi", "Il caso di Schreber", "Il caso dell'uomo dei lupi", "Un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica della malattia" e "Psicogenesi di un caso di omosessualità in una donna".
L'Europa era ancora coperta dalle ceneri del secondo conflitto mondiale, quando si aprì il processo di Norimberga, un procedimento internazionale per giudicare e perseguire i crimini di guerra. Uno psichiatra, Douglas Kelley, e uno psicologo, Gustave Gilbert, cominciarono allora a indagare la psicologia dei capi nazisti. Li sottoposero a lunghe interviste, eseguirono test per valutare il loro quoziente d'intelligenza e la loro personalità. Si trattò del primo studio sistematico su leader che avevano orchestrato uccisioni di massa. Prima del processo si pensava che i gerarchi e gli ufficiali nazisti fossero dei folli sanguinari. Ma i colloqui e i test rivelarono una realtà più complessa. I risultati furono così sconcertanti che una parte dei dati rimase nascosta per decenni. E la loro stessa interpretazione fu oggetto di accese discussioni. Secondo Gilbert la malvagità dei criminali nazisti derivava dalla loro psicologia corrotta. Kelley li considerava invece moralmente imperfetti, uomini comuni, prodotto del loro ambiente. Chi dei due aveva ragione? Joel E. Dimsdale riprende in mano quei risultati ed esamina nel dettaglio quattro criminali di guerra: Robert Ley, Hermann Göring, Julius Streicher e Rudolf Hess. E attraverso strumenti diagnostici sempre più precisi, scopre un notevole spettro di patologie. "Nella mente dei criminali nazisti" è un viaggio complesso e inquietante per dare un senso al male più estremo.