
Il libro di Masson descrive dall'interno la formazione di un analista e gli inizi della sua attività. L'uomo della strada è indotto a chiedersi chi sono le persone a cui ci affidiamo per risolvere i nostri problemi più intimi. Questo libro può aiutare a distinguere, tra gli analisti, coloro che operano secondo lo spirito del messaggio freudiano e dunque considerano la psicanalisi una libera ricerca della verità, sia essa la verità dei fatti storici o la verità del nostro inconscio, e coloro che di tale messaggio si limitano a custodire e applicare dogmaticamente i concetti.
Forse ha ragione Blaise Pascal quando scrive che "tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera". Ma la felicità non dipende soltanto dalla nostra capacità di riflettere e meditare in solitudine, benché questo sia un ingrediente fondamentale. La socialità, l'altruismo, i legami d'amore e di amicizia contano altrettanto. La conquista della felicità è il nostro chiodo fisso, inutile negarlo. Solo che, come per un sortilegio, pare che siamo irresistibilmente orientati a cercarla dove non c'è. Armando Massarenti suggerisce una via per trovare, ognuno con i propri mezzi, l'equilibrio necessario. La scommessa di questo libro è mostrare che una formula, neppure tanto complicata, ce l'avevano proposta i filosofi antichi, elaborando massime ed esercizi pratici che disegnavano stili di vita improntati alla saggezza e al buon vivere. E l'efficacia di tale formula è oggi confermata dagli esperimenti e dalle nuove scoperte di neuroscienziati e psicologi morali: da qui la proposta di tornare ad attingere a una fonte che i secoli non hanno affatto inaridito. Così, dall'eros all'amicizia, dalla politica alla conoscenza, dalla bellezza alla morale, Platone e Aristotele, Eraclito e Democrito, Epitteto e Marco Aurelio, Epicuro e Lucrezio, Seneca e Cicerone ci insegnano ad abbandonare le vie sbagliate e gli errori più comuni per trasformarci in fortunati cercatori di felicità.
Il libro si basa sull'esperienza clinica dell'autore e illustra le conseguenze che la "schiavitù" dei vizi capitali può produrre, in aggiunta ai quadri nevrotici e psicosomatici. Dopo un excursus sull'evoluzione del concetto di vizi capitali, in ambito storico-religioso, l'autore passa in rassegna i singoli vizi chiarendone la dinamica psicologica e la possibile sintomatologia nevrotica, psicosomatica e addirittura organica che può scaturire dalla scelta di eleggere uno o più di essi come "guida esistenziale". Il libro si conclude con proposte di "terapia" dei vizi, sempre tratte dall'esperienza professionale dell'autore.
Quando si confronta con la psicopatologia l'essere umano mette in luce, per contrasto, un'acuta nostalgia dell'esistenza autentica, del progetto di vita da cui, per i motivi più vari, si è fortemente allontanato. In questa dimensione, l'individuo sofferente è spiritualmente più vicino alla sua sostanza antropologica di quanto non lo siano le persone cosiddette "normali". Il sentiero sicuro che si intravede in lontananza è fatto di pensieri semplici, ma così profondi da sembrare scolpiti nella roccia: ad esempio, riconoscere l'esistenza del Mistero che ci circonda; ridare dignità e onore alle figure genitoriali con cui siamo entrati frettolosamente in conflitto; riportare armonia nella nostra vita sessuale e nel rapporto con i beni materiali; ritrovare l'equilibrio psichico. Gradualmente, allora, le "dieci parole" tornano ad affacciarsi nel nostro panorama mentale e ad indicarci la Via, il percorso sicuro per realizzare pienamente la nostra umanità. I dieci comandamenti hanno la loro dimora nel cuore dell'uomo.
Il mito, fra tutte le figure creative prodotte dalla mente umana, è senza dubbio l'esperienza psicologica più affascinante, considerando gli stretti legami che ha con il sogno, con le produzioni immaginative e con la cultura e la storia dei popoli. I personaggi umani e divini che in questo «teatro simbolico» si esibiscono portano inevitabilmente a galla le speranze, i desideri, le paure, le nevrosi e anche le straordinarie qualità eroiche della nostra specie. In queste pagine intraprendiamo un «viaggio nel mito» attraverso riflessioni di psicologia clinica, in grado di fornirci illuminazioni sugli aspetti oscuri della nostra vita, dimostrando l'origine di certi «mali dell'anima» e le strategie per porvi rimedio. Grazie all'aiuto simbolico di personaggi come Perseo, Asclepio, Antigone, Arianna, Pandora, Odisseo... qualcosa di dormiente, nelle pieghe più intime della personalità profonda, può cominciare a svegliarsi e a reclamare il suo diritto alla vita. L'incontro con il mito sollecita forze innate che possono favorire la crescita psicologica e spirituale.
Narciso è uno dei personaggi della mitologia greca che più di altri abbiamo fatto entrare nella nostra vita quotidiana. Siamo una società di narcisi: o ben riusciti, buona copia dell'originale, o mal riusciti, lontani anni luce da quell'affascinante modello che ci attira in modo irresistibile. Il narcisismo può essere dunque un importante elemento stimolatore della dinamica psichica. Con questa dimensione dobbiamo costruire un rapporto fatto di amicizia, rispetto reciproco, collaborazione per il rinforzo dell'Io; non certo sottomissione ai suoi capricci, adesione acritica ai suoi bisogni infantili. Narciso nasce con noi e ci accompagnerà tutta la vita. Dobbiamo impedirgli di essere il nostro dominatore e trovare il modo per far emergere quegli impulsi narcisistici che ci permettono di stare bene con noi stessi.
Agli inizi del XX secolo, Freud iniziò a esaminare le dinamiche familiari a partire dal complesso di Edipo. Sulla base di questa impostazione, molti terapeuti hanno continuato per decenni a leggere e interpretare le relazioni primarie, finché un impetuoso vento di cambiamento non ha scompaginato le carte in tavola. Rapidamente, si sono aperti scenari nuovi in cui gli schemi culturali precedenti non bastavano più. La famiglia di oggi, infatti, non è più quella che Freud aveva descritto. Nel cuore della famiglia allargata non c'è più un solo Edipo, ma molti, con diverse connotazioni, con «richieste» profonde che vanno a complicare il quadro iniziale. In queste pagine l'autore, alla luce della sua lunga esperienza clinica, affronta le grandi sfide che attendono i terapeuti e le madri, i padri, i bambini e gli adolescenti di oggi, cercando di indicare alcune possibili soluzioni non solo per «sopravvivere» a questo cambiamento epocale, ma anche per aspirare ad una nuova serenità. Che ne è dell'Edipo, disperso nel caos affettivo della famiglia allargata? Cosa fare e, soprattutto, cosa non fare?
Il complesso di Medea è molto ramificato e quindi difficile da individuare. Di fronte a questo panorama complesso, l'errore diagnostico è alle porte: si rischia di "coprire" la vera natura del disturbo e di curare solo la sintomatologia. In tal caso, lo scenario drammatico iniziale rimarrebbe intatto, pronto a ripresentarsi alla prima occasione favorevole. Questo saggio vuole proprio evitare tale pericolo. I più cruenti fatti di cronaca dei nostri giorni vedono al centro bambini sacrificati sull'altare di un istinto oscuro, alla cui prepotenza la specie umana sembra condannata senza scampo. Questa tendenza oscura viene da molto lontano. Si nutre di invidia, di odio, di desiderio di "punire" il colpevole. Le varianti della sindrome di Medea sono infinite, ma il punto di partenza è sempre lo stesso: il soggetto (uomo o donna che sia) patisce in modo lancinante la trascuratezza emotiva che un personaggio importante (partner, genitori, datori di lavoro) ha avuto nei suoi confronti e decide di "fargliela pagare". Le modalità della "punizione" sono diverse, ma il quadro è sempre dominato da un sentimento cupo: il desiderio di vendetta. Il terapeuta che si imbatte nella gestione di un simile dramma emotivo non può limitarsi a vedere quei comportamenti aberranti come frutto di conflittualità familiari, ma come occasione straordinaria di esplosione dei conflitti arcaici, in cui l'odio puro è rivolto verso il Destino, la Creazione e ciò che il Cielo di più ama: i cuccioli d'uomo, ambasciatori della vita. Gli esempi riportati, però, mostrano che c'è sempre la possibilità di resettare il cervello e che anche la persona affetta dalla sindrome di Medea può recuperare qualità positive e un nuovo sguardo sul futuro.
Sono i sorrisi, che adesso fanno parte degli ambienti ospedalieri, a dare testimonianza del contributo che tali unioni apportano alla vita. Non avere fretta di leggere le storie che compongono questo libro. Non aver fretta perché ogni incontro fra i clown e i bambini è un vero spettacolo, con tanto di capo, corpo e coda. Ma come accade tutto ciò? Clown e bambini condividono un fattore importante: sono troppo occupati a vivere il presente, cercando di colorarlo d'allegria. Questa è la forza dell'incontro: mettere la vita in movimento.
Scritto da due dei maggiori esperti italiani nell'ambito dell'ADHD e dei BES, questo libro propone un programma di valutazione e intervento integrato per i bambini con disturbi di attenzione e iperattività o con Disturbi Specifici di Apprendimento. In particolare, il modello descritto dagli autori è basato sulla costruzione di una rete che coinvolge il clinico, l'insegnante, i genitori e il bambino. Dopo una parte introduttiva che definisce e descrive l'ADHD e i DSA, gli autori analizzano i possibili metodi di valutazione e di intervento, soffermandosi in particolare sulle informazioni più importanti e utili per i genitori e per gli insegnanti e sugli errori che si compiono più frequentemente. Il volume passa poi alla descrizione del metodo di rete, le potenzialità e i vantaggi, i ruoli degli attori coinvolti, le componenti del modello, e alla sua applicazione con bambini con ADHD oppure con bambini con Bisogni Educativi Speciali. Le ultime pagine, di impronta operativa, propongono laboratori di prevenzione da attivare in classe ed esempi di esperienze e buone prassi di integrazione dei bambini con difficoltà scolastiche.
Michela Marzano è un'affermata filosofa e scrittrice, un'autorità negli ambienti della società culturale parigina. Dalla prima infanzia a Roma alla nomina a professore ordinario all'università di Parigi, passando per una laurea e un dottorato alla Normale di Pisa, la sua vita si è svolta all'insegna del "dovere". Un diktat, però, che l'ha portata negli anni a fare sempre di più, sempre meglio, cercando di controllare tutto. Una volontà ferrea, ma una costante violenza sul proprio corpo. "Lei è anoressica" le viene detto da una psichiatra quando ha poco più di vent'anni. "Quando finirà questa maledetta battaglia?" chiede lei anni dopo al suo analista. "Quando smetterà di volere a tutti i costi fare contente le persone a cui vuole bene" le risponde. E ha ragione, solo che è troppo presto. Non è ancora pronta a intraprendere quel percorso interiore che la porterà a fare la pace con se stessa. "L'anoressia non è come un raffreddore. Non passa così, da sola. Ma non è nemmeno una battaglia che si vince. L'anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa male dentro. (...) Oggi ho quarant'anni e tutto va bene. Perché sto bene. Cioè... sto male, ma male come chiunque altro. Ed è anche attraverso la mia anoressia che ho imparato a vivere. Anche se le ferite non si rimarginano mai completamente. In questo libro racconto la mia storia. Pensavo che non ne avrei mai parlato, ma col passare degli anni parlarne è diventata una necessità." (Michela Marzano).
Dopo il grande successo di Etica oggi (il titolo Erickson più venduto in libreria nel 2011), un nuovo libro di Michela Marzano, dedicato al rapporto con se stessi e con gli altri: una raccolta di tre saggi in un’edizione agile (nelle dimensioni e nel prezzo), dedicata al grande pubblico. Una piccola grande opera da una delle pensatrici più conosciute e apprezzate della nostra epoca.
Questo libro asciutto e al tempo stesso soave e profondo affronta un tema particolarmente spinoso ai nostri giorni: la trappola in cui moltissime persone si impigliano ascoltando le sirene di una società che propone e impone un modello di individuo vincente e autocentrato, costantemente capace di esercitare controllo e padronanza.
Le nostre ferite — le faglie, le fratture, le mancanze del nostro essere — vengono messe al bando dalla società «performante» e spesso ci rassegniamo a considerarle gravi errori e a trattarle come pattume che finiamo per nascondere sotto il tappeto della nostra consapevolezza. Capita così di produrre un corto circuito fra la nostra parte «accettabile», con cui ci identifichiamo, e quella parte di noi che è fragile, spaventata e per ciò stesso «impresentabile», sfoderando agli occhi del mondo e ai nostri stessi occhi un’autonomia posticcia che non solo ci dissocia ma ci impedisce persino di accettare gli altri, come noi abitati da debolezze e imperfezioni, in una spirale di proiezioni che ci lasciano sempre più soli e ciechi rispetto alle occasioni di creare legami autentici. È indispensabile fare i conti con le proprie fragilità, riconoscerle in se stessi, per conquistare un piccolo ma saldo spazio interiore di certezza che possa permetterci di rimanere in piedi quand’anche arrivassero le immancabili delusio i. La fiducia ci espone al rischio del tradimento, ma se non si accetta di correre questo rischio si resta murati nei ruoli dello spettatore e dell’antagonista. Vivere sul serio la propria vita è molto più di questo.