
Banche che creano denaro dal nulla, l'assassinio di Kennedy e di Tesla, l'11 settembre, il fondo monetario internazionale, gli OGM, pedofilia, sette sataniche, medicina, mass media, giustizia... tutti strumenti per l'oppressione e la disinformazione. Prendendo spunto dall'analisi dei maggiori organismi di politica ed economia internazionali (il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'ONU, l'Organizzazione per il Commercio, ecc.) e di quelli che sono, in realtà, i compiti da questi svolti, Marcello Pamio ci introduce in un mondo di corruzione e cospirazione, di massoneria e sette segrete, di personaggi che lavorano dietro le quinte per mantenere il potere nelle mani di poche famiglie, "i burattinai". Osservando come operano e da chi sono gestite le grosse multinazionali, le banche e le organizzazioni internazionali, l'autore porta alla luce una rete di collegamenti tra uomini politici di tutto il mondo e un piccolo gruppo di famiglie, per lo più di banchieri, il cui obiettivo è di mantenere il controllo totale sul mondo e sugli individui, anche attraverso la manipolazione della salute e la diffusione delle malattie.
Un filosofo brasiliano, che vive in mezzo al verde della Virginia (USA) e uno studioso russo che con i suoi libri e la sua attività ha ispirato la politica di una delle più grandi potenze mondiali, nel 2011 ebbero un dibattito sul ruolo degli USA nel cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale e su chi fossero gli agenti storici effettivi sulla scena mondiale del tempo. Il dibattito, di cui il presente volume è la traduzione italiana, a dieci anni di distanza riveste un interesse ancora maggiore. Molte analisi che furono fatte al tempo, dopo gli avvenimenti nel frattempo intercorsi, acquistano oggi una intelligibilità del tutto particolare. Ma è anche un istruttivo esempio concreto della distinzione platonico-aristotelica che ha fatto nascere la scienza politica: quella tra l'agente politico interessato al risultato concreto di cambiamento delle cose e quella dell'analista, che cerca di capire cosa stia accadendo e di descriverlo nella sua realtà. È un libro importante, per tutti coloro che desiderano comprendere ciò che sta avvenendo attorno a noi, al di là dell'ipnotico gioco delle ombre cinesi, mostrato per distrarre lo spettatore da ciò che non dovrebbe vedere.
Massimo Pampaloni è professore ordinario di teologia patristica orientale presso la Facoltà di Scienze Ecclesiastiche Orientali del Pontificio Istituto Orientale di Roma. Segue e traduce Olavo de Carvalho dal 1997 ed è stato tra i primi a far conoscere il suo pensiero in Italia.
Una volta il nazionalpopolare era una categoria gramsciana, i giornali e la televisione pubblica erano pieni di scrittori e intellettuali, la sinistra (si dice) dominava la produzione culturale. Oggi nazionalpopolari sono i reality show pieni di volgarità, la televisione (pubblica o privata) è quella che è, e la sinistra pure.
Ma si può paragonare l'Italia di Pasolini, Calvino, Moravia con quella di Striscia la notizia, Alfonso Signorini, Amici di Maria De Filippi? La tesi provocatoria di questo libro è che il confronto non solo è possibile, ma è illuminante.
Perché oggi, finita e strafinita l'egemonia culturale della sinistra, trionfa un'egemonia sottoculturale prodotta dall'adattamento ai gusti nostrani del pensiero unico neoliberale, in quel frullato di cronaca nera e cronaca rosa, condito da vip assortiti, che sono diventati i nostri mezzi di comunicazione, ormai definitivamente dei «mezzi di distrazione di massa».
E il paradosso è che molte delle tecniche di comunicazione che oggi innervano la società dello spettacolo sono nate dalla contestazione del Sessantotto, dai movimenti degli anni Settanta e dalle riflessioni sul post-moderno degli anni Ottanta.
E così, in un cortocircuito di tremenda forza mediatica, il situazionista Antonio Ricci produce televisione commerciale di enorme popolarità, Signorini dirige con mano sicura il suo postmodernissimo impero «nazionalgossiparo», i reality più vari sdoganano il Panopticon di Bentham e Foucault per le masse.
Una riflessione originale sulla costruzione del nostro immaginario contemporaneo, che getta luce sul lato nascosto (e serissimo) della frivola cultura pop in cui siamo tutti immersi.
L'utopia di una società orizzontale, trasparente e senza gerarchie è tornata prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni, complice l'impatto destabilizzante di internet sul nostro modo di comunicare e di valutare l'operato della classe dirigente. Da dove ha origine l'opinione diffusa secondo la quale, se la gente comune potesse esercitare pienamente il potere, tutto andrebbe meglio? Sappiamo davvero di cosa parliamo quando parliamo di democrazia diretta? Oppure l'uso continuo e la popolarità di cui gode questo ideale all'apparenza cristallino nascondono uno dei più grandi abbagli degli ultimi anni? Attraverso cinque espressioni chiave che richiamano altrettanti «miti d'oggi» - popolo, autenticità, tecnologia, disintermediazione, democrazia diretta -, in questa disamina della politica contemporanea Massimiliano Panarari chiarisce le radici del presunto «primato della gente» che sta scuotendo le fondamenta della nostra democrazia, e offre un'utile chiave di lettura per capire l'evoluzione della galassia populista internazionale e, soprattutto, di quella italiana, dagli esordi con la Lega all'exploit con il berlusconismo, dalle varie fasi del «turbo-renzismo» al trionfo del Movimento 5 Stelle, fino alla sintesi alchemica del governo giallo-verde.
Diviso in tre parti, il libro attraversa alcuni luoghi classici del pensiero filosofico politico: “violenza”, “potere” e “libertà”. Nella prima parte tali luoghi vengono declinati attraverso il riferimento fondamentale al concetto di “sovranità”. Quest’ultimo viene caratterizzato come momento della decisione, mostrando la necessità di un presupposto criminale al dispiegarsi della sua azione. Nella seconda parte il volume si focalizza su alcune implicazioni di carattere “teologico-politico”. Termini di riferimento teologico come “fondamentalismo” e “apocalisse” vengono messi a confronto con termini tipicamente politici come quelli di “rivoluzione” e “anarchia”. Nell’ultima parte il testo ruota attorno alla necessità di un ripensamento del concetto di “comunità”; quest’ultimo pensato anche nelle sue implicazioni “cristocentriche”. Il volume si avvale inoltre di due excursus che mettono a confronto il tema dello “sterminio degli ebrei” con i recenti “genocidi” perpetrati nella ex-Jugoslavia durante la guerra degli anni ’90.
Inchiostro Rosso sfata tanti luoghi comuni che soffocano da un decennio l'informazione italiana. Quello, soprattutto, che l'attuale Presidente del Consiglio, sarebbe il grande «burattinaio» di tutto ciò che vediamo in Tv o che leggiamo sui giornali. Succede l'esatto contrario. L'informazione italiana - per una serie di motivi di cui il volume dà documentata spiegazione, anche con grafici e tabelle - ha costituito una lobby che in realtà cerca di contrastare in ogni modo l'atipicità del «Cavaliere». Quasi la metà degli italiani vota il Centrodestra; eppure, dopo aver letto questo libro, si è pronti a scommettere che la netta maggioranza dei giornalisti stia contro il Premier. Che abbia ragione lui, nel sostenere che «l'80% dei giornalisti è di sinistra»? Tuttavia il fine di questa ricerca rigorosa e brillante (corredata anche da battute divertenti e da vignette), che attinge dai giornali, dai lanci di agenzia, dai programmi radiotelevisivi e dal dibattito parlamentare, non sta nel porgere uno scudo a difesa di Silvio Berlusconi, ma nel provocare una riflessione più ampia sui tempi, i luoghi e le modalità dell'informazione politica nel nostro Paese. In appendice gli interventi dei direttori M. Belpietro, D. Boffo, F. Colombo, P. Ermini, V. Feltri, P. Gambescia, E. Mauro, G. Mazzuca, G. Moncalvo. Prefazione di Angelo Crespi (pp. 416).
Quali fattori rendono la "società libera", nelle sue rare incarnazioni storiche, così poco libera? Come mai il pensiero liberale ha prodotto descrizioni tanto insoddisfacenti della politica? Perchè il liberalismo ha sempre incontrato grandi difficoltà nel pensare la politica in modo realistico? Fra questi interrogativi esiste, secondo l'autore, uno stretto legame. Se, infatti, gli ostacoli a una più compiuta realizzazione della società libera sono di natura politica, l'incapacità del liberalismo di pensare la politica è parte integrante del problema. Un libro che tenta di comprendere meglio il rapporto fra potere politico e libertà individuale.
Un robusto filo lega due delle questioni più controverse nelle scienze sociali. La prima ha per oggetto il rapporto fra determinismi sociali e libera volontà personale, fra eteronomia e autonomia degli individui. La seconda riguarda i processi mediante i quali l'aggregazione delle azioni individuali genera macroeventi. Nel suo nuovo libro Angelo Panebianco propone un articolato menù di strumenti per l'indagine sui percorsi e le modalità di conversione dalle situazioni "micro" ai fenomeni "macro". La scommessa sottostante è che una migliore conoscenza di questi processi possa accrescere la capacità della teoria sociale e politica di spiegare persistenze e mutamenti nelle società.
«Tutti gli stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati»
Niccolò Machiavelli, Il Principe
È possibile studiare le forme di governo che si sono succedute nella storia umana senza limitarsi a un’erudita descrizione di regole e istituzioni e senza presumere che a contare, a dare vita a quelle forme di governo, siano soltanto principi, re, imperatori, condottieri, capi-partito? Cosa collega l’agire delle persone comuni alla nascita e all’evoluzione delle forme di governo che nella storia si sono succedute innumerevoli? Utilizzando fonti archeologiche, antropologiche e storiografiche e rileggendole alla luce di uno schema interpretativo che considera le forme di governo come il prodotto di una pluralità di azioni umane, il libro tratta di stati arcaici, di imperi e di repubbliche (antiche, medievali, rinascimentali) nonché di quelle loro dirette filiazioni che sono i dispotismi e le democrazie contemporanee. Studiare le forme di governo mostra quanto sia grande la capacità degli esseri umani di dare vita a modi di organizzazione della vita sociale complessi e differenziati. E mostra che se le élite e, talvolta, certi leader dotati di particolari qualità, hanno un potere condizionante nella formazione e nella evoluzione di stati e regimi politici, coloro che delle élite non fanno parte non sono mai semplici comparse.
Angelo Panebianco è professore emerito di Scienza politica dell’Università di Bologna. Tra suoi libri, nelle edizioni del Mulino, ricordiamo «Modelli di partito» (1982, pubblicato in sei lingue), «L’analisi della politica» (a cura di, 1989), «Guerrieri democratici» (1997), «Il potere, lo stato, la libertà» (2004), «L’automa e lo spirito» (2009), «Persone e mondi» (2018), «All’alba di un nuovo mondo» (con Sergio Belardinelli, 2019), «Democrazia e sicurezza» (a cura di, 2021). Tiene corsi di Teoria politica e di Relazioni internazionali nelle università San Raffaele e Iulm. Presiede attualmente il Consiglio editoriale del Mulino e da trentacinque anni è editorialista del «Corriere della Sera».
Movimenti populisti in ascesa in quasi tutte le democrazie liberali, crisi economica e demografica, insicurezza collettiva: nei segnali del malessere che affligge la nostra società dobbiamo leggere il cupo presagio di un tramonto prossimo dell’occidente? E se invece di un inevitabile declino si trattasse di una fase transitoria? Due visioni diverse ma complementari - più attenta l’una alle dinamiche geopolitiche, l’altra alla dimensione religiosa e ai processi culturali – si confrontano in queste pagine sul destino dell’Europa. Nella convinzione che proprio nella tradizione della civiltà europea si possano trovare le risorse culturali, politiche e istituzionali per guardare con fiducia al futuro.
Angelo Panebianco, già professore ordinario di Scienza politica all’Università di Bologna, è editorialista del «Corriere della Sera». Tra i suoi numerosi libri pubblicati dal Mulino segnaliamo da ultimo «Persone e mondi» (2018). Sergio Belardinelli è professore ordinario di Sociologia dei processi culturali all’Università di Bologna. Il suo libro più recente è «L’ordine di Babele. Le culture tra pluralismo e identità» (Rubbettino, 2018). Scrive per il quotidiano «Il Foglio».
"Il 2 febbraio 2012 ho saputo del lancio della campagna Cities fit for cycling del 'Times' di Londra e, contattati una trentina di blogger che si occupano di ciclismo, ho proposto loro di replicare l'iniziativa. 'Chiamiamola #salvaiciclisti' ho suggerito. 'Lanciamola tutti insieme alle 12 dell'8 febbraio.' È stata la prima critical mass digitale della storia. Abbiamo stupito tutti." (Pietro Pani)

