
Attraversando i confini fra epoche e letterature il libro illumina le diverse modalità di rapporto con il passato utilizzate dagli individui e dalle collettività, nonché i percorsi che portano alla costituzione di ciò che chiamiamo "patrimonio culturale". Percorsi che cambiano profondamente con la rivoluzione tecnologica. Che cosa significa infatti ricordare a seconda che si parli di libro a stampa, fotografia, scrittura digitale? Per rispondere, l'autrice indaga le funzioni della memoria culturale, concentrandosi sui mezzi grazie ai quali essa si conserva (scrittura, pittura, luoghi, il corpo stesso).
"I giovani debbono leggerlo": così si è espresso papa Francesco in una delle sue catechesi sul matrimonio. I Promessi Sposi, infatti, sono "un capolavoro sul fidanzamento, dove si racconta la storia dei fidanzati che hanno subito tanto dolore, hanno fatto una strada di tante difficoltà, fino ad arrivare alla fine al matrimonio". E proprio al tema del matrimonio di Renzo e Lucia sono dedicate queste pagine, attraverso le quali l'autore ci invita a incontrare la bellezza del romanzo e a conoscere meglio la vita e la fede del Manzoni, sia per mezzo dei testi letterari sia attraverso le lettere inviate ad amici, familiari, intellettuali e persino a papi. La rilettura del romanzo avviene a partire dal tema centrale (la conversione), dai due pilastri della vicenda (Gertrude e l'Innominato), fino al matrimonio e al "sugo della storia". La ricerca e l'indagine di Fighera cercano poi di rispondere a tante domande e curiosità: cosa scrive Manzoni sulla sua conversione? La monaca di Monza morì in odore di santità? Cosa raccontano gli atti del processo a suor Virginia de Leyva? L'Innominato fu davvero un parente del Manzoni? Qual è il suo testamento spirituale?
La relazione tra tecnologia e cultura si presenta in molteplici ambiti: si legge, si scrive e si diffonde la conoscenza in modo diverso rispetto al passato. I nuovi media sembrano aver messo radicalmente in discussione i precedenti modelli di acquisizione ed elaborazione dell'informazione. Tuttavia, non poche sono le strutture essenziali che permangono immutate nella produzione e nella fruizione del sapere: la tensione tra "continuità", "discontinuità" ed "integrazione" percorre l'intero quadro della società digitale. Svolgere oggi un lavoro intellettuale, implica la promozione di un sapere facilmente accessibile, che si arricchisce di continue relazioni e di contributi partecipativi. Il fenomeno dell'open access e la biblioteca digitale costituiscono i canali privilegiati, attraverso i quali lo sterminato universo documentario viene veicolato in rete. Il testo si propone di analizzare la portata di tutti questi mutamenti, consentendo agli studiosi, e non solo, di informarsi e di procedere riflessivamente ad una presa di coscienza sul significato delle proprie operazioni culturali.
Osserva Walter Benjamin come la conoscenza in ambito letterario venga a darsi solo in maniera fulminea, laddove il testo continua a lungo a risuonare come un tuono. All'incontrario il lavoro critico - e questo lavoro critico di Maria Lenti - ha da sviluppare al massimo grado il nesso espressivo che lega la poesia, nel nostro caso quella dialettale, alla lingua nelle sue molte implicazioni: una lingua che fluttua per così dire nella propria materialità a qualche centimetro da terra. E una lingua cui la qualità a sua volta di poetessa della saggista urbinate reca l'apporto di un proprio linguaggio che contiene ovviamente gli echi di altre lingue e stili offrendo ai testi analizzati ulteriori parole e ritmi. Di fronte all'universo delle opere e dei poeti presi in esame, la voce di Maria Lenti non è una voce indifferente o neutra: non è voce che si privi di se stessa, come si è detto, ma è insieme il racconto di una vicenda espressiva, quella della letteratura italiana in neo-volgare, che ha anch'essa contribuito a non lasciar svanire nell'ombra il volto della poesia.
Perché Dante ha scritto la "Commedia"? Per amore. Mantenere una promessa d'amore, fatta nell'ultimo capitolo della "Vita Nuova", è la ragione per cui, secondo Etienne Gilson, l'altissimo Poeta di Firenze ha deciso di impegnarsi nell'impresa del suo capolavoro. Ed è anche, indirettamente, la ragione per cui ha scritto il "Convivio", documento incompiuto del periodo di "trenta mesi" dedicato da Dante allo studio della filosofia. Dunque, l'obiettivo era dire di Beatrice quello che mai non file detto d'alcuna, cioè fare della donna amata un'anima del cielo in grado di disporre del poeta latino Virgilio e del mistico cristiano Bernardo di Chiaravalle, entrambi inviati in aiuto di Dante nel suo viaggio nell'aldilà. Il poeta perciò studia come vivono angeli e beati nell'oltremondo, nel regno di Dio dove ormai la sua donna è per l'eternità. Divenuto così esperto di filosofia e teologia, dopo i canonici studi letterari di grammatica, Dante assume il ruolo di pacificatore fra le due grandi culture "nemiche" del Medioevo, quella retorico-letteraria e quella della filosofia Scolastica, che aveva il suo fulcro nell'Università di Parigi. E così diventa anche il più originale, straordinario poeta del suo tempo. studioso di cultura filosofica medievale, Etienne Gilson dedicò a Dante nel settimo centenario della nascita, il 1965, questi nove saggi, mostrandone il legame indissolubile, vitale sorgente d'ispirazione, con la "bambina di Firenze".
Questa biografia, ritenuta da molti la migliore tra quelle dedicate a Niccolò Machiavelli, è sorretta dalla solidità del rigore filologico, e affonda le sue radici nell'affinità umana che il biografo avverte con l'oggetto della sua ricerca. Per Roberto Ridolfi si tratta di far rivivere Machiavelli, seguirne i passi e scoprirne, al di là degli stereotipi, l'umanità consumata dal lavoro del tempo, nella convinzione che non si possa scindere il pensiero politico e letterario del Segretario fiorentino dalla sua vicenda personale. Nell'intreccio di erudizione e di empatia che compone questo libro, la passione non ostacola il giudizio critico, ne affina invece la sensibilità. E la profondità dell'interpretazione di Ridolfi - storica, letteraria e psicologica - dipende anche dalla sua scrittura, una prosa dalla risonanza poetica, limpida nella ricchezza espressiva, nella varietà dei ritmi, nella scelta meticolosa della parola esatta. Fondamentale per gli esperti e insostituibile per i lettori, "Vita di Niccolò Machiavelli" viene ora ripubblicato - a sessantanni dalla sua prima uscita - in una edizione definitiva, curata da Giuseppe Cantale, studioso dell'opera di Ridolfi, e introdotta da Maurizio Viroli, tra i maggiori esperti del pensiero machiavelliano.
"La mia vita privata era alquanto bohémien, hippy ed edonistica. Diciamo pure tranquillamente debosciata. Ma in fatto di critica letteraria avevo principi morali ferrei. Non facevo che leggere libri di critica: mi portavo dietro i miei Edmund Wilson e William Empson praticamente ovunque: nella vasca da bagno, in metropolitana. Prendevo questa faccenda molto sul serio". I saggi, le recensioni, le letture di devastante arguzia e le scazzottate letterarie di Martin Amis sono dispacci provenienti da un'epoca in cui la critica era, si, una faccenda molto seria, ma anche maledettamente divertente. Lungi dall'essere l'estenuato rituale di un laboratorio (come a volte è oggi nelle università) o il proseguimento della pubblicità con altri mezzi (come a volte è sui giornali), la critica era il fronte in cui la letteratura incontrava la società, il campo di battaglia e la posta in gioco nella guerra dei significati. Un'epoca, ad esempio, dove la recensione - il più umile ma allo stesso tempo il più puro dei gesti critici - non era la mera ostensione di un gusto, ma l'occasione per misurare il talento individuale dell'autore sullo sfondo del canone, e l'intelligenza non rispondeva a nessuna legge se non a quelle della letteratura. Però Amis fa anche un'altra cosa in questo libro, forse la più preziosa. Ci ricorda che quell'epoca non è ancora finita. Nessuna passione, di certo non quella per la critica letteraria, è spenta per sempre.
L'arte dello scrivere, la genesi di un'opera e i "perché" di uno scrittore sono alcuni degli aspetti affrontati da Raffaele La Capria in questo speciale autoritratto narrativo nel quale sono stati raccolti testi che ruotano soprattutto intorno a un romanzo quale "Ferito a morte". Di quel libro, vincitore del Premio Strega nel 1961, La Capria racconta la genesi, l'operazione letteraria messa in atto, il linguaggio, la costruzione, lo stile, l'intenzione deliberata di fare i conti con la rivoluzione formale del "romanzo come struttura simbolica" avvenuta nel Novecento. E così che, smascherando se stesso e la sua opera, lo scrittore proietta le luci di una profonda consapevolezza sulla capacità del linguaggio di irradiare energia, di mettere in atto contemporaneamente più significati, di diventare, al di là della trama e dei personaggi, il contenuto irrinunciabile della narrazione.
Uno studio dedicato alla prima opera di narrativa di J. R. R. Tolkien, Lo Hobbit (1937), da cui poi nacque il suo capolavoro, Il Signore degli anelli (1954-1955). La prima parte del volume ricostruisce il contesto storico e letterario in cui Lo Hobbit è nato, mentre la seconda è una lettura dettagliata dell'opera. Il testo è analizzato nella sua struttura letteraria e interpretato, con l'ausilio della psicologia junghiana, come un meraviglioso percorso verso la maturità del protagonista, Bilbo Baggins.
Questo libro offre al lettore l'occasione di una scoperta, uno sguardo inedito sulla modernità. Un'epoca che Walter Benjamin ci invita ad attraversare sulle tracce di Proust e Baudelaire, protagonisti di due saggi, "Un'immagine di Proust" e "La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire", che vengono qui per la prima volta accostati in una nuova traduzione arricchita da una preziosa galleria di immagini. La nascita del mercato e della figura dell'acquirente, del consumatore da sedurre con false novità, il rapporto con la natura e la trasformazione dell'eros, l'ossessione della registrazione degli eventi, che in quell'epoca nasceva anche grazie all'invenzione della fotografia: sono alcuni tratti della modernità in cui riconosciamo la nostra genealogia e che ci fanno sentire vicini questi due grandi autori del passato. Come avvenne per Benjamin, Baudelaire e Proust divengono per il lettore due compagni insostituibili per affrontare un viaggio nel tempo perduto e in quello a venire, cioè il tempo che noi oggi viviamo.
Montaigne non racconta solo la scoperta dei vizi e delle virtù degli "italiani" ma, ancor più, segna la nascita di una nuova antropologia: "Gli uomini sono diversi e tuttavia ogni uomo porta in sé i segni e i caratteri dell'umana condizione". E il confronto con gli "altri" che aiuta a liberarsi di ogni schema e a studiare il reale nella sua tangibile evidenza. Inedito per il suo tempo, il suo sguardo investiga l'umanità in tutte le sue contraddizioni con uno stile che non giudica ma riferisce, trascrive, descrive, in una parola: "rispetta".
È con la sensibilità dell'artista - e del lettore appassionato - che Stefano Levi Della Torre si accosta alla Divina Commedia, sondandola con brevi scritti e rapidi tratti di penna e matita che catturano l'esattezza fisica ed emotiva dei versi danteschi. Il realismo di Dante è paradossale: se da un lato il poeta traduce i suoi argomenti in fatti riconducibili all'esperienza che l'uomo ha delle cose, dall'altro accompagna il lettore in un mondo altro dove, per esempio, Virgilio, Beatrice e il Minotauro sono resi con la medesima plasticità, in un reciproco potenziamento di fantasia e verosimile. È il parlare figurato proprio dell'arte in cui la finzione è rappresentazione della verità, in un rapporto che si ritrova rovesciato nella frode - il falso che si presenta come vero - raffigurata da Dante in Gerione, serpente con "faccia d'uom giusto". Questo libro vuole essere un invito a gustare la Divina Commedia, in una sorta di lettura originaria che metta tra parentesi gli apparati di note per godere delle pure modalità narrative, in grado di evocare effetti figurativi e percettivi, ricostruendo con la parola le atmosfere e gli spazi fisici del viaggio nell'oltretomba, facendo vedere, udire, odorare e toccare le cose raccontate.