
«Quando la domanda riguarda la violenza e, in particolare, la violenza che le Scritture attribuiscono a Dio con maggiore o minore reticenza, l'unione dei punti di vista biblici e antropologici non può che stimolare. È comunque questa la sfida che abbiamo accettato, quando abbiamo deciso di scrivere il libro a più mani e ci siamo messi al lavoro, ognuno a partire dal proprio campo specifico, su questa questione lancinante, che chiunque apra la Bibbia non può schivare, una questione con effetti a volte allarmanti nella vita reale delle nostre società» (dalla Prefazione).
Animati dalla convinzione che l'esegesi biblica abbia grande interesse a nutrirsi di un dialogo con le scienze umane, specialmente con la psicoanalisi, nell'affrontare il tema della violenza di Dio gli autori alternano lo sguardo esegetico e la riflessione antropologica, indagando prima l'Antico e poi il Nuovo Testamento.
Sommario
Prefazione. I. «Adonai è un guerriero» (Es 15,3). La violenza divina nell'Antico Testamento. II. La violenza arcaica e il paradosso del sacrificio agli dèi oscuri. III. Violenza degli uomini, violenza di Dio. Uno sguardo su alcuni testi del Nuovo Testamento. IV. La religione dell'amore: una risoluzione della violenza divina? Alcuni libri per andare oltre.
Autori
JEAN-DANIEL CAUSSE è psicanalista e studioso di etica, docente alla Facoltà di teologia di Montpellier e all'Università Paul-Valéry-Montpellier III.
ÉLIAN CUVILLIER è docente di Nuovo Testamento alla Facoltà di teologia di Montpellier.
ANDRÉ WÉNIN, dottore in scienze bibliche, insegna greco, ebraico biblico ed esegesi dell'Antico Testamento all'Università Cattolica di Louvain-la-Neuve. È professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana, dove insegna teologia biblica. Presso le EDB ha pubblicato: Entrare nei Salmi (2003), Non di solo pane... Violenza e alleanza nella Bibbia (2004), Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. I. Gen 1,1-12,4 (2008), L'uomo biblico. Letture nel Primo Testamento (22009), Il Sabato nella Bibbia (2006), Giuseppe o l'invenzione della fratellanza. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. IV. Gen 35-50 (2007), con C. Focant La donna la vita. Ritratti femminili della Bibbia (2008). Collabora con la rivista Parola Spirito e Vita.
Le due opere di Luca - Vangelo e Atti degli apostoli - si aprono con un prologo di taglio storico. Ci si può allora domandare: Luca ha un progetto teologico? E prima ancora: Luca è uno storico o un teologo? Quesiti che possono sempre più precisarsi: la sua teologia è forse subordinata a un'intenzione storica? Perché e come racconta Gesù di Nazaret? E se a Gesù è dedicato il Vangelo, quale Gesù emerge dagli Atti? Gli Atti sono una conferma o un approfondimento, una variazione o una correzione? Il volume affronta questi interrogativi, ricostruendo la cristologia narrativa di Luca, le sue tecniche e le sue linee portanti, dalle quali emerge la costruzione del "personaggio Gesù" in un crescendo di forza che si dispiega in un dittico: il Vangelo e gli Atti degli apostoli. Per Luca raccontare significa soprattutto "valorizzare la coerenza di un itinerario, mettendo gli eventi vissuti da Gesù e dai suoi discepoli in relazione con il passato biblico: le allusioni del tipo promessa/compimento strutturano il racconto. Raccontare significa per Luca manifestare la logica di una storia" (dal cap. 1).
Descrizione dell'opera
Questo libro, che vede la luce nel momento in cui la riscoperta dei «sapori» della narrazione biblica spicca il volo, vuole mostrare la fecondità di alcuni strumenti dell'analisi narrativa applicandoli a sequenze scelte dell'Antico e del Nuovo Testamento.
Da una trentina d'anni i ricercatori hanno a disposizione metodologie appropriate per lo studio della narratologia biblica, ma dopo i balbettii iniziali si tratta di affinarle mettendone in luce le potenzialità. La sfida non è soltanto percorrere in ogni direzione i retroscena del racconto per osservarne l'architettura nascosta - anche se questa scoperta, per così dire archeologica, vale da sola la svolta: l'interesse sta piuttosto nel portare alla luce effetti di significato insospettati, scaturiti da narrazioni che pure si pensava di conoscere bene. Ai lettori e alle lettrici stanchi di approcci convenzionali, di percorsi ripetitivi, questo libro apre le porte a domande originali e significative.
Sommario
Introduzione. I. Quattro lettori per quattro vangeli (D. Marguerat). II. Alla ricerca della trama. Una lettura della Passione (Mc 14 e Lc 22) (D. Marguerat). III. La temporalità della storia di Giuseppe (Gen 37-50) (A. Wénin). IV. Giuseppe interprete dei sogni in prigione (Gen 40). Alcune funzioni della ripetizione nel racconto biblico (A. Wénin). V. Il punto di vista nel racconto biblico (D. Marguerat). VI. Luca, regista dei personaggi (D. Marguerat). VII. Il gioco dell'ironia drammatica. L'esempio dei racconti di astuzie e inganni (A. Wénin). VIII. Costruzione del discorso e costruzione del racconto. Il discorso comunitario di Mt 18 (D. Marguerat). IX. Davide e la storia di Natan (2Sam 12,1-7) ossia: Il lettore e la «fiction» profetica del racconto biblico (A. Wénin). X. Il serpente di Nm 21,4-9 e di Gen 3,1. Intertestualità ed elaborazione del significato (A. Wénin). Bibliografia. Alcune pubblicazioni degli autori.
Note sugli autori
DANIEL MARGUERAT(1943), biblista, professore emerito di Nuovo Testamento all'Università di Losanna, è un noto specialista della ricerca su Gesù e delle origini del cristianesimo. Le sue pubblicazioni gli hanno meritato una fama internazionale. Tra le sue opere tradotte in italiano segnaliamo: L'uomo che veniva da Nazareth. Che cosa si può sapere oggi su Gesù, Claudiana, Torino 2005; Paolo di Tarso. Un uomo alle prese con Dio, Claudiana, Torino 2004; Risurrezione, Claudiana, Torino 2003. Presso le EDB ha pubblicato Gli Atti degli Apostoli. 1. (1-12) (2011) e Chi ha fondato il cristianesimo? Cosa dicono i testimoni dei primi secoli (2012).
ANDRÉ WÉNIN, gesuita, dottore in scienze bibliche, insegna greco, ebraico biblico ed esegesi dell'Antico Testamento all'Università Cattolica di Louvain-la-Neuve. È professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana, dove insegna teologia biblica. Presso le EDB ha pubblicato: Entrare nei Salmi (2003), Non di solo pane... Violenza e alleanza nella Bibbia (2004), Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. I. Gen 1,1-12,4 (2008), L'uomo biblico. Letture nel Primo Testamento (22009), Il Sabato nella Bibbia (2006), Giuseppe o l'invenzione della fratellanza. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. IV. Gen 35-50 (2007), con C. Focant La donna la vita. Ritratti femminili della Bibbia (2008), con J.-D. Causse ed É. Cuvillier Violenza divina. Un problema esegetico e antropologico (2012). Collabora con la rivista Parola Spirito e Vita.
Biblisti di America Latina, Asia, Africa ed Europa si confrontano sulla comprensione che i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento esprimono nei confronti del "diverso" e dello "straniero". Spaziando dalla Torah ai Profeti, dagli Scritti ai Vangeli sinottici, da Paolo a Giovanni fino ai testi cristiani più tardivi, l'alterità viene osservata come un elemento costitutivo di Dio e dell'uomo che interagisce nella dialettica delle relazioni umane, nell'identità e nel destino di Gesù, nell'interazione tra la vita cristiana e il mondo. "Mio padre era un arameo errante", confessa Israele nella sua professione di fede ricordando altresì di essere stato forestiero in terra d'Egitto. Abramo definisce se stesso uno straniero, che risiede in una terra che non è la sua patria, e un ospite di passaggio. "Forestieri e pellegrini" è anche la definizione dei cristiani nella Prima lettera di Pietro. Alla luce di queste considerazioni, osservano i curatori del volume, "la vera sfida che ci sta davanti è il passaggio dall'estraneità all'ospitalità e, dunque, una scelta di campo dalla parte del "diverso": a fianco dello straniero schiavizzato e dell'eunuco disprezzato, della donna emarginata e di ogni essere che porta sulla propria pelle i segni della precarietà e dell'ingiustizia; dalla parte di chi non ha voce, perché lo schiamazzo del potere nel nostro mondo, e nella Chiesa, è troppo forte e le voci flebili fanno fatica a emergere".
Trucchi e inganni, vendette e punizioni, famiglie lacerate, rapimenti donne, omicidi, stupri, guerre e massacri. Nel libro dei Giudici è mostrato al lettore il lato peggiore dell'umanità e anche il personaggio di Dio sembra vinto dalla violenza di cui diviene uno dei fomentatori.
Poco conosciuto, snobbato dalla liturgia cattolica domenicale, considerato poco edificante perché pieno di storie violente, il libro dei Giudici è tra i testi più belli e istruttivi della Bibbia ebraica. Privilegiando l'approccio narrativo, André Wénin invita a cogliere la pedagogia paziente del Dio dell'alleanza nei confronti di un popolo al quale cerca di farsi conoscere, ma la cui resistenza finirà per metterlo in scacco. L'analisi di quattro episodi relativi a fatti violenti mostra inoltre che l'essenziale sta nel modo in cui vengono raccontati; la loro forza risiede nella capacità di «riscattare» l'inumano per mezzo di ciò che è più nobile, l'arte, dotata della singolare facoltà di educare alla riflessione e alle scelte etiche.
La relazione fondamentale tra l'uomo e la donna costituisce il punto di partenza di un'antropologia biblica e cristiana. La Genesi celebra come un canto il fatto che Dio è in se stesso relazione e i libri profetici celebrano l'alleanza mediante la simbologia del Signore-Sposo e del popolo-sposa. I testi di Isaia, Ezechiele, Geremia, Osea e Zaccaria rivelano la fedeltà di Dio, mai vinta dall'infedeltà della sua eletta, mentre il Cantico dei Cantici corona lo sviluppo della relazione fra l'uomo e la donna facendone il luogo di una lode che non risparmia né la sofferenza né la prova del male. Il racconto dell'annunciazione nel Vangelo di Luca serve da portico di ingresso nel Nuovo Testamento. La sua tela è intessuta di reminiscenze esplicite e implicite dell'Antico, che porta in sé una pienezza di cui si attende il compimento. I Vangeli di Luca e di Giovanni, con l'Apocalisse al termine delle Scritture, ne offrono mediazioni equilibrate: il Signore dell'alleanza dona vita in pienezza grazie alla fine dei tempi anticipata nell'incarnazione e nella pasqua di Cristo.
Sia che si manifesti nella forma del roveto ardente, della voce o del respiro al confine del silenzio, Dio rimane inafferrabile. Per conoscerlo e incontrarlo nella sua onnipotenza, l’uomo deve cercare una strada che potrebbe paradossalmente prevedere anche il rischio di confonderlo con ciò che non è.
Ciò significa che la conoscenza della verità divina risiede nella comprensione del suo contrario? Che il mistero di Dio si svela proprio quando l’uomo «si fa un dio» a immagine dei propri desideri e delle proprie paure divenendo ostaggio di ciò che lo ossessiona? Questi interrogativi ci riconducono alla prima immagine biblica dell’idolo, il serpente dell’Eden identificato dal libro dell’Apocalisse con il diavolo.
Nel complesso intreccio tra la storia della salvezza e l’odissea della coscienza, le pagine del libro offrono non solo una grande lezione di esegesi ma anche una riflessione di alta spiritualità.
Una questione centrale e poco approfondita del dialogo ebraico-cristiano risiede in un orientamento teologico-dottrinale di potente rilievo e di lunghissima durata storica: la tendenza più o meno marcata, ma spesso inconsapevole, della Chiesa a porsi come sostituto di Israele nelle prerogative peculiari del popolo ebraico sotto il profilo teologico. Un fenomeno tanto ampio quanto trascurato o, ancora più spesso, ignorato: al punto che lo stesso lessico concettuale teologico mostra di conoscere soltanto un tipo di sostituzione, quella vicaria del Figlio, in ambito cristologico. La questione teologica e storico-politica suscitata dalla pretesa cristiana di essere il Verus Israel non è presente nel dibattito pubblico e accademico, e al contempo si assiste a una sua sorprendente rimozione nell'ambito dello stesso dialogo ebraico-cristiano, anche da parte ebraica. Così, se da un lato oggi il pensiero teologico cristiano accredita l'acquisito superamento dell'idea stessa di sostituzione della Chiesa a Israele, dall'altro il linguaggio teologico ed ecclesiale la ripropone continuamente anche in documenti ufficiali di quello stesso magistero che pratica una relazione con l'ebraismo di segno opposto a quello antigiudaico storico.
L'originale conclusione del vangelo di Marco, con le donne che fuggono silenti dal sepolcro senza comunicare a nessuno l'annuncio di risurrezione, ha da sempre interrogato il mondo dell'esegesi. Perché le donne sono descritte travolte dalla paura, subito dopo aver appreso che il Crocifisso è risorto? Come mai il racconto non si conclude in un'atmosfera di gioia e di successo, come sarebbe lecito e ragionevole aspettarsi? Perché Marco avrebbe deciso di arrestare il motore della sua narrazione proprio nel momento in cui le prime testimoni della Pasqua di Gesù «falliscono» il mandato di diventarne anche annunciatrici ai suoi discepoli? Questo libro si propone di offrire un'originale risposta a queste domande, interrogando testi significativi del secondo vangelo e mostrando come la scelta di «non concludere» con l'ovvietà di un lieto fine corrisponda, in realtà, all'intenzione di non fallire l'obiettivo di realizzare una comunicazione adeguata a esprimere la follia e lo scandalo di un Cristo risorto perché crocifisso.
Nel Vangelo di Marco il tema del gridare è presente, con sfumature diverse, lungo tutto l'arco della narrazione e si consolida attorno a figure ed episodi che si rivelano significativi, ricchi di fascino e attuali, soprattutto se letti in chiave comunicativa. Le numerose grida riportate dall'evangelista, pur essendo differenti per ambientazione, occasione, contenuto e scopo, accomunano diversi personaggi e descrivono una reazione che esprime un complesso inestricabile di sentimenti, spesso contrapposti. Il grido, infatti, a volte precede le parole, altre volte le veicola o addirittura le supera, ma sempre comunica uno stato d'animo, specchio di un particolare momento di vita, ed esprime il desiderio o la necessità di una relazione. Ogni grido, a prescindere dal soggetto che lo emette e dal contesto in cui è inserito, è un atto linguistico e come tale può avere interpretazioni differenti a seconda delle intenzioni con cui viene usato e delle circostanze nelle quali viene proferito. Il grido pertanto non dà solo contenuto a un atteggiamento, né descrive semplicemente un'azione, ma, uscendo dal testo, entra nell'oggi del lettore coinvolgendolo in un importante cammino ermeneutico.
Negli anni recenti il tema del sacrificio è stato oggetto di ripetute indagini, il che ha trasformato questa problematica in una sorta di crocevia di discipline diverse, anche fuori dell’ambito strettamente teologico. D’altra parte la riflessione sul sacrificio registra e ispira una feconda rivisitazione di molte tematiche teologiche tra loro collegate.
Il volume, che documenta i contibuti di un convegno organizzato sull’argomento dall’ITC-isr di Trento, considera la centralità interconnessa e ramificata del tema del sacrificio, proponendo una lettura di taglio multiplo (teologico, biblico, antropologico e liturgico). La problematica rimanda inoltre a ulteriori dimensioni quali quella anamnetica, ecumenica e politica: il libro si propone come stimolo a ravvivare anche queste prospettive.
Note sul curatore
Enrico Mazza, presbitero della diocesi di Reggio Emilia, insegna storia della liturgia all’Università Cattolica di Milano e liturgia nel seminario interdiocesano della sua città. Con le EDB ha pubblicato Le odierne preghiere eucaristiche, 2 voll., 21991; La celebrazione della Penitenza, 2002.
La condizione particolare delle scienze teologiche nel contesto culturale italiano risulta determinata dalla scelta di esclusione delle Facoltà teologiche dalle Università statali, a seguito dei provvedimenti legislativi di fine Ottocento. Partendo dalla diagnosi di questa presenza anomala delle scienze religiose nella realtà italiana, nonché della religione e della fede nella società attuale globalizzata, il volume cerca di fare spazio al dialogo interreligioso per ripensare la teologia, sino a considerare i nuovi temi secondo cui declinare la proposta teologica – il rapporto tra la Chiesa e il mondo nel Nuovo Testamento, i diritti umani, la città quale categoria teologica – e a valutare la collocazione della teologia e delle scienze religiose nelle istituzioni accademiche pubbliche.
I vari contributi proposti costituiscono gli atti del convegno Teologia nella città - teologia per la città. Sulla dimensione secolare delle scienze teologiche tenutosi a Trento il 26-28 maggio 2004.
Sommario
Introduzione (A. Autiero). Quali spazi per la religione nella società globale? (G. Campanini). Il sapere della fede nel villaggio globale (G. Lorizio). L’ebraismo e la sfida della secolarità (G. Bodendorfer). Islam e secolarità (M. Aydin). Alternative a Dio? Le religioni nella sfera pubblica globale (J. D’Arcy May). Chiesa e mondo nel Nuovo Testamento: Pastora (T. Tosatti). I diritti umani come luogo di secolarità della teologia (K.-W. Merks). La città come categoria teologica (H. Vorgrimler). La teologia come diaconia politica (L. Karrer). Tavola rotonda: teologia e scienze religiose nelle istituzioni accademiche pubbliche (A. Autiero, A. Zanotti, L. Prenna, E. Prinzivalli, K. Lüdicke).
Note sul curatore
Antonio Autiero insegna teologia morale alla Facoltà di teologia cattolica dell’Università di Münster e dirige il Centro per le Scienze Religiose in Trento. Le sue ricerche spaziano dalle questioni di morale fondamentale ai problemi di bioetica e di etica ambientale. Si è occupato del pensiero rosminiano soprattutto sotto il profilo etico-teologico.

