
Tra le tante conseguenze della globalizzazione, una delle rivoluzioni a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni è quella religiosa: a causa soprattutto dei flussi migratori, che ogni anno spostano intere comunità da una parte all'altra del pianeta, per la prima volta tradizioni spirituali diverse, che sono nate e hanno prosperato a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, stanno entrando in contatto. Oggi, nelle periferie delle metropoli d'Occidente, cristiani, musulmani ed ebrei, ma anche buddhisti, indù e sikh abitano fianco a fianco, fanno la spesa negli stessi negozi, vanno a lavoro percorrendo le stesse strade. Culture e sensibilità religiose che per secoli hanno saputo poco o nulla le une delle altre - o, peggio ancora, le hanno immaginate in maniera distorta, ostile - si trovano d'improvviso a dover convivere. Ma che significa "convivere"? Secondo John Hick, eminente teologo e libero pensatore, si può fare molto di più che semplicemente "tollerare il diverso". Lontano da facili panteismi new age e profetico nelle sue intuizioni, Hick è il primo a sostenere - in questo libro che attirò l'anatema del cardinale Ratzinger, allora a capo del Sant'Uffizio - che tutte le religioni potrebbero venerare la stessa divinità, che si sarebbe rivelata a ciascun ramo dell'albero umano in modo diverso, usando linguaggi diversi in base alle caratteristiche dei differenti popoli. È possibile, in altre parole, che nella storia Dio si sia presentato molte volte, con molti nomi?
Se Dio è amore, e non potere, non può essere comunicato attraverso la Legge o la Dottrina, ma solo mediante gesti che trasmettono vita. L'amore incondizionato però scandalizza, perché la gratuità sovverte l'ordine del potere su cui si fonda ogni società, compresa la società particolare chiamata "Chiesa". I "versetti pericolosi" narrano l'episodio dell'adultera: ci vollero tre secoli prima che questi undici scandalosi versetti di Luca trovassero ospitalità nel Nuovo Testamento e altri due per essere inseriti nella liturgia. Ma parlando del passato, Maggi allude al presente e suscita un vento di profetica ribellione contro una fatua spiritualità dell'apparire e del potere. Bibbia alla mano, ecco un viaggio capace di stravolgere il comune modo di guardare alle cose. Una rivoluzione nell'alfabeto dei sentimenti e nella cultura dei valori, che sostituisce l'amore alla forza, la misericordia al castigo, la generosità all'interesse. In Italia, dai tempi di David Maria Turoldo, nessuno riusciva a leggere con tale forza i testi sacri del cristianesimo.
Qual è il Dio vivente? Per Elizabeth Johnson è quello che si illumina di un nuovo significato ed è capace di accendere nuovi aneliti di fede nei diversi contesti della vita contemporanea. Ma soprattutto è un Dio degli umili, intravisto dagli oppressi nella sofferenza e nella miseria. "A partire dalla metà del xx secolo", scrive l'autrice, "si è assistito a un rigoglioso rinnovamento delle intuizioni su Dio. In tutto il mondo, gruppi diversi di cristiani, spinti da particolari congiunture storiche, hanno colto aspetti del Dio vivente da angolature nuove e inaspettate". Johnson ci accompagna così in un viaggio intenso attraverso le teologie più contestate: scopriamo che c'è una teologia dei latinos e dei neri, delle donne, di chi lotta per la liberazione, di chi dialoga con le altre religioni e con la scienza, e persino una teologia "ecologica". Questo saggio che incrocia la riflessione teologica con gli studi post-coloniali e il femminismo, la teoria sociale, la ricerca storica e la lotta per la liberazione, proponendo anche una nuova interpretazione della Trinità, ha scosso l'opinione pubblica mondiale e ha portato alla condanna di suor Elizabeth da parte dei vescovi degli USA.
"Siamo chiamati a reinventare noi stessi in quanto specie", si legge in questo saggio scritto dal brasiliano Leonardo Boff, ex francescano, riconosciuto a livello mondiale come uno dei massimi esponenti della teologia della liberazione, e dal ricercatore e educatore statunitense Mark Hathaway. Il compito non è certo facile, ma per "liberazione", suggeriscono gli autori, va inteso un cambiamento radicale della coscienza umana. A occupare la scena è la crisi odierna, una società "spiritualmente" malata, ossessionata dalla crescita e dal consumo materiale, attaccata a valori che hanno portato al progressivo saccheggio delle risorse e all'aumento delle disuguaglianze. La grande sfida del XXI secolo è allora quella di invertire rotta, operando una trasformazione che sia allo stesso tempo individuale e collettiva. Come? Gli autori tracciano un cammino di guarigione - Tao è l'antico termine cinese per "via" - cercando il punto di intersezione tra la tradizione cattolica e quella orientale. Non solo, la rinascita spirituale che invocano si nutre dell'apporto di psicologia e fisica quantistica, femminismo e cosmologia, economia ed evoluzionismo. Solo incrociando le prospettive di scienze, religioni e saggezze antiche si può produrre una rivoluzione della percezione, il preludio al cambiamento delle nostre abitudini.
Cosa ci rende unici come specie? Qual è la caratteristica che ci avvicina al divino? Per Matthew Fox è proprio la creatività, il potere dell'immaginazione, la nostra capacità di trasformare ed evolverci. In questo saggio profondo ma scritto in un linguaggio semplice, avvalendosi delle scoperte scientifiche così come delle sacre scritture e delle tradizioni spirituali e religiose orientali, Fox spiega che la creatività può rivolgersi al bene, assumendo un potere salvifico, come al male, sprofondando nel demoniaco, ma è il tratto vitale degli esseri umani, ciò che ci rende artefici e responsabili della nostra storia. Nel "caos" della vita contemporanea, dove in gioco c'è la sopravvivenza della specie e quella della terra nel suo complesso, servono coraggio, rischio e innovazione. Dando una sua innovativa lettura del "peccato originale", della figura del Cristo storico e di alcuni miti fondativi come quello di Prometeo, Fox stila un appello a coltivare ed esprimere la creatività, andando anche contro l'insegnamento della Chiesa ufficiale che spesso si concentra esclusivamente sull'obbedienza.
Chi sono le vittime del peccato? Sono le tante persone che, invece di sentirsi accolte dalla Chiesa, se ne sentono respinte. Ma perché l'interpretazione ecclesiastica della legge di Dio spesso ha fatto e continua a fare il male dell'uomo? Per Castillo, la Chiesa si è così ossessivamente concentrata sul peccato da oscurare l'autentica missione cristiana che consiste nell'alleviare le sofferenze umane. Il risultato paradossale è che, proprio con la sua lotta contro il peccato, la Chiesa causa un carico enorme di mali a se stessa e al mondo. Guerre e roghi nel passato, oggi ingerenze su vita e morte, amore e affetti, malattia ed emarginazione: tutto in nome della lotta contro "il peccato". La triste conseguenza è il deterioramento dell'immagine della religione e la sua crescente incapacità di risultare interessante per le giovani generazioni. Ma non va forse in direzione opposta la strada rivoluzionaria indicata dal Vangelo? Gesù di Nazareth mette in primo piano la dignità dell'uomo e l'amore concreto verso i sofferenti, anche a costo di disobbedire a leggi e prescrizioni religiose. Recuperando l'esempio di Gesù, Castillo affronta il rapporto tra fede e obbedienza e gli autoinganni del moralismo, e auspica una Chiesa diversa, fedele alle origini e al contempo in grado di rispondere alle sfide del presente. Solo così essa potrà tornare a promuovere la felicità e il bene dell'uomo e combattere il pericoloso vuoto di valori che minaccia la nostra società.
Che cosa è più importante nella vita di un essere umano, l’obbedienza o la libertà? Questo testo intenso e coraggioso affronta il “tragico paradosso” della coscienza cristiana, oggi inquieta come non mai, perché divisa tra queste due polarità apparentemente opposte.
Il nuovo libro di Vito Mancuso propone un “discorso sul metodo” in presa diretta, fondato non più sul principio di autorità, ma sul più esigente principio di autenticità. Nella luce del delicato rapporto con il potere ecclesiastico, i grandi temi della riflessione umana vengono declinati in modo inedito, coinvolgente, talora entusiasmante e sempre con la consueta chiarezza.
La verità e il potere a partire dalla teologia politica del Grande Inquisitore, la religione contaminata da politica e laicità, l’identità umana tra anima e coscienza, il destino finale o come nulla o come eternità, il dialogo tra le grandi religioni mondiali e una bellissima meditazione sul motto episcopale del cardinal Martini.
La posta in gioco è particolarmente alta: una fede all’altezza dei tempi, una concezione dinamico-evolutiva della verità. Vero e proprio manifesto della teologia di Vito Mancuso, Obbedienza e libertà lancia un messaggio forte e chiaro: da un lato la Chiesa deve liberarsi della superata visione del mondo insita nella sua dottrina, dall’altro il mondo laico deve tornare a interrogarsi sui grandi orizzonti della ricerca spirituale, perché la spiritualità, scrive Mancuso, «è una particolare gestione della libertà».
«In questo mondo che passa, e passando consuma ogni cosa; in questo mondo che ora fa gioire per il semplice fatto di esserci, ora gemere di rabbia e di dolore come schiavi alla catena; in questo mondo teatro dell’essere e del nulla, libera scelta e cieco destino, allegria della mente e disperazione dell’anima; in questo mondo di fantasmi e di poesia, io non conosco nulla di più grande del bene». Vito Mancuso
Vito Mancuso, teologo, docente ed editorialista de “la Repubblica”. Oltre ad articoli su riviste specializzate, alla partecipazione ad opere collettive (tra cui: Che cosa vuol dire morire. Sei grandi filosofi di fronte all’ultima domanda, a cura di Daniela Monti, Einaudi 2010, con R. Bodei, R. De Monticelli, G. Reale, A. Schiavone, E. Severino), tra le sue opere più recenti ricordiamo i bestseller L’anima e il suo destino, con la prefazione di Carlo Maria Martini (Raffaello Cortina, 2007), La vita autentica (Raffaello Cortina, 2009/Emons 2010, con prefazione di Lucio Dalla), Disputa su Dio e dintorni, con Corrado Augias (Mondadori, 2009) e Io e Dio. Una guida dei perplessi (Garzanti, 2011). Con Elido Fazi dirige la collana di libera ricerca spirituale “Campo dei fiori”. Presso una delle più prestigiose case editrici accademiche tedesche è stato pubblicato di recente un saggio sul suo pensiero: Corneliu C. Simut, Essentials of Catholic Radicalism. An Introduction to the Lay Theology of Vito Mancuso (Peter Lang, 2011).
C'è stato chi, nella storia del pensiero occidentale, ha sostenuto che il suicidio sia uno degli atti che in assoluto richiedono più coraggio. Secondo altri, invece, la scelta più coraggiosa che si possa fare è proprio quella di vivere, di rimanere nonostante tutto a occupare il proprio posto nel mondo, di scegliere di esistere. È a questo coraggio che dedica la sua riflessione Paul Tillich. Cosciente che si può definire il coraggio solo opponendolo alla paura, il teologo tedesco passa in rassegna la galleria di nature morte che sono le paure più profonde dell'uomo in quanto uomo. Il terrore della morte e della sofferenza, innanzitutto, la paura di essere esposti alla crudeltà del fato, ma anche l'angoscia che tutto sia senza senso e la nostra vita priva di significato e i profondi sensi di colpa per il male che noi stessi prima o poi ci troviamo a fare agli altri. Nel corso della sua storia l'uomo ha inventato dei modi per confinare queste paure ancestrali negli angoli più remoti della mente, in quell'abisso dove secondo Nietzsche non si guarda mai perché, altrimenti, "anche l'abisso vorrà guardare dentro di te". Ha inventato delle maschere che assomigliano al coraggio e spesso riescono a sostituirlo, facendoci dimenticare ciò di cui abbiamo paura, ma non lo sono davvero. E cos'è, allora, il coraggio? E da qui, dopo aver fatto cadere una a una tutte le maschere dietro le quali ci nascondiamo, che Paul Tillich muove la parte decisiva della sua indagine, quasi un giallo esistenziale.
Composta nel 1899, "I tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo" rappresenta l'opera ultima ma non conclusiva del pensiero di Vladimir Solov'ëv. Lo sterile razionalismo della filosofia europea, la desacralizzazione mascherata da "nuova" religione e la dominante etica tolstojana ispirano in Solov'év la riflessione sul problema della realtà del male e sulla falsificazione del bene. Scegliendo la forma di un dialogo polemico e ironico, Vladimir Solov'év profetizza «l'epilogo del nostro processo storico» attraverso la parabola dell'Anticristo. Chi è l'Anticristo di cui parla Solov'ëv? Uno spiritualista convinto e un sapiente illuminato, un uomo generoso e geniale. Nel deserto di valori del XX secolo e sotto la minaccia del panmongolismo, ovvero la dominazione delle potenze asiatiche (Cina e Giappone), l'Anticristo ammalia religiosi e intellettuali, cittadini e governanti d'Europa. Guidato da un solido amor proprio e con i suoi manifesti di pace universale, uguaglianza e progresso, questo «uomo del futuro» diviene imperatore del mondo. Per Solov'év il grande pacificatore svela però, con il suo progetto ecumenico tanto fiacco quanto audace, che "in sostanza" non è buono. «Questo bene contraffatto un po' di lucentezza ce l'ha, se però gliela togli, non gli rimane alcuna forza essenziale». L'Anticristo verrà infatti sconfìtto da un romano che parla nel nome della Verità.
Dietrich von Hildebrand, definito da Papa Pio XII: "Il Dottore della Chiesa del ventesimo secolo, con questo testo fondamentale scritto nei primi anni di post-Concilio, volle portarsi al di là dall'antitesi fra "conservatorismo" e "progressismo" nel cattolicesimo; una sua essenziale preoccupazione fu di mettere in evidenza le idee di base legate alla Rivelazione cristiana, abbandonando le quali non si ha più alcun diritto di dirsi ancora cattolici perché ci si espone al pericolo della "secolarizzazione", della negazione di tutto quel che è veramente sovrannaturale. Però l'interesse principale viene portato soprattutto sui problemi riguardanti la religione nei suoi aspetti non di teologia speculativa bensì di vita morale, di devozionalità vissuta in funzione di Cristo. L'amore supremo della Chiesa per tutti gli uomini esige la condanna degli errori in vista di un'unità effettiva che può essere raggiunta solamente nel segno della Verità. L'opera di Von Hildebrand si rivolge quindi sia a chi è strettamente legato all'ortodossia cattolica, sia a chi è interessato alle drammatiche vicende attuali della Chiesa.
Le XXIV tesi tomistiche ci permettono di percorrere l'intera sostanza del tomismo in maniera diretta e semplice passando attraverso i "principia et pronuntiata majora / principi fondamentali" della filosofia dell'Aquinate, dalla metafisica alla teodicea. Queste Tesi ci conducono dolcemente ed immancabilmente alla conoscenza naturale e razionale dell'esistenza di un Atto puro da ogni potenza e imperfezione che chiamiamo Dio. A partire da princìpi che possono sembrare astratti si giunge ad una conclusione pratica, la quale riguarda la salvezza eterna dell'uomo, poiché la sua anima è immortale, Dio esiste e l'uomo dovrà rendere conto del suo agire morale o immorale a quel Dio che lo ha creato affinché raggiungesse il suo Fine ultimo.
In opposizione alla dilagante campagna mediatica di orientamento antiumanistico e antireligioso, il volume denuncia gli errori e le assurdità del nuovo conformismo culturale dell’epoca post-moderna, che ripropone oggi, come se fosse il frutto del più recente progresso scientifico, quel vecchio arsenale di propaganda che fu già utilizzato nell’impero romano per giustificare la persecuzione contro i primi cristiani. La differenza è che oggi l’odio di sé, lo scientismo e il relativismo etico vorrebbero sostituire al cristianesimo non tanto il politeismo classico, ma la credenza in una nuova e più bizzarra “post-religione”, un’ideologia cupa e irrazionale, che presume di dimostrare l’irrazionalità delle fedi religiose per sostituirsi ad esse.
Al nuovo integralismo si oppone, ieri come oggi, la tradizione di libertà che nasce da una concezione del mondo basata sull’umanesimo, con le sue radici classiche, ebraiche e cristiane, che da secoli sostengono e diffondono in tutto il mondo un atteggiamento di serena fiducia nella ragione, nei valori morali, nella libertà e nella dignità della persona umana. Si riconosce in tal modo la giusta importanza alla scienza, ma anche alla filosofia, alla letteratura, alle arti e alla religione, così che alla fine le diverse opzioni di credere o non credere in Dio, di essere cristiani, e anche cattolici, appaiono non solo come diritti fondamentali della persona umana, ma anche come esigenze di un serio dibattito culturale.
La riscoperta dei valori della tradizione classica è proposta come un itinerario educativo affascinante e di sorprendente attualità per l’elaborazione di un nuovo umanesimo, capace di aprirsi al dialogo rispettoso con le diverse tradizioni religiose e l’ateismo, ma anche di resistere con fermezza all’attacco dei nuovi fanatismi, che con grande irresponsabilità stanno diffondendo una visione distorta e riduttiva dell’uomo, in un clima torbido e irrazionale, che genera aggressività e intolleranza, come purtroppo l’attualità non cessa di dimostrarci.
L’Autore
Renato Oniga è professore ordinario di Lingua e Letteratura latina presso l’Università di Udine. Ha pubblicato le edizioni di Plauto, Anfitrione (Marsilio, 1991), Tacito, Opera omnia (Einaudi, 2003), le monografie I composti nominali latini (Pàtron, 1988), Il confine conteso (Edipuglia, 1990), Sallustio e l’etnografia (Giardini, 1995), l’aggiornamento della Stilistica latina di J.B. Hofmann e A. Szantyr (Pàtron, 2002), la raccolta di saggi Plurilinguismo letterario (Rubbettino, 2007) e il manuale Il latino. Breve introduzione linguistica (Franco Angeli, 20072).