
Tutto si è svolto in un pugno d'ore, diciotto o venti al massimo. Dall'imbrunire di un giorno, al primo pomeriggio del successivo. In modo convulso. Per lo più nottetempo o alle prime luci dell'alba. Il processo che ha cambiato il destino dell'uomo è stato celebrato sicuramente in fretta, ma in base a quali accuse? Secondo quale rito? Chi aveva ordinato l'arresto e perché? E soprattutto, chi aveva il potere di convalidare il provvedimento emettendo la sentenza finale? Ad essere indagate sono le ultime febbrili ore di Gesù di Nazareth, il giovane profeta giustiziato su un patibolo romano a Gerusalemme in un anno convenzionalmente datato 33 della nostra èra. Vicende viste, forse per la prima volta, anche dalla prospettiva degli occupanti romani. È questo un libro dove si entra e si esce dalla storia, dove si raccolgono e indagano i documenti, dove si commentano le fonti e le si fa parlare, e dove anche uomini e cose prendono vita. Fra queste pagine si ode il rumore della pialla del falegname, lo stridio delle ruote dei carri, il belato degli agnelli; si vedono il bianco della farina e il grigio del fumo dei camini e si percepiscono le presenze misteriose di maghi, indovini, assassini. Saggismo e gesto narrativo s'incontrano: c'è la precisione storica e c'è la vita, la passione per il mondo e il talento di raccontarlo. Molti sono i protagonisti della storia e appaiono più tormentati, sfaccettati, umani, di quanto siamo soliti considerarli...
La vicenda del prefetto romano di Giudea raccontata in un libro di storia. Da duemila anni Pilato è una figura di intersezione fra la memoria e la storia, come Romolo o Giovanna d'Arco. Aldo Schiavone costruisce qui un ritratto del prefetto di Giudea ripercorrendo gli eventi che portarono alla morte di Gesú, culmine della narrazione cristiana e punto di contatto fra ricordo evangelico e storia imperiale. Con appassionato rigore, e in serrato dialogo con le fonti, Schiavone non si prefigge alcun intento teologico o politico, ma solo quello di risolvere un enigma, descrivendo e spiegando quel che potrebbe essere accaduto.
Testo latino a fronte
La dedizione ai Vangeli accompagnò Erasmo per tutta la vita. Li studiò dal punto di vista filologico e teologico, ne pubblicò per la prima volta il testo greco, li tradusse e li commentò, incoraggiò la diversificazione delle edizioni per raggiungere sia gli eruditi sia un pubblico piú ampio. La prima di queste edizioni risale al 1516 e fu dedicata a Leone X, il quale tanto la apprezzò da lodare pubblicamente Erasmo in un breve papale. Questo breve verrà riportato da Erasmo in tutte le sue successive edizioni dei Vangeli, come una specie di lasciapassare dati i tempi sempre piú infuocati dal punto di vista politico-religioso.
Erasmo, come è noto, anticipò alcune delle istanze dei riformatori, prima fra tutte la lettura diretta e massimamente diffusa dei Vangeli. Nell’edizione del 1522 dedicata a Carlo V chiese espressamente all’imperatore di promuovere la traduzione dei Vangeli in tutte le principali lingue europee. Però Erasmo volle tenacemente rimanere nell’ortodossia cattolica, e dunque si trovò spesso in posizioni difficili, attaccato da tutte le parti in causa. Le sue prefazioni alle edizioni dei Vangeli si muovono in questa situazione di precario equilibrio, e sono un fondamentale documento del clima di quegli anni. Oltre che un’ulteriore testimonianza della poliedrica bellezza della scrittura di Erasmo, in grado di cambiare registro secondo gli interlocutori mantenendo la stessa forza, la stessa brillantezza ed eleganza.
Nelle aree dell’Europa centrale che sarebbero diventate il terreno di radicamento della Riforma il complesso degli scritti di Erasmo incentrati nel Nuovo Testamento o ad esso connessi ebbero una enorme risonanza. Oltre 110 edizioni attestano il successo che singole parti, sezioni, o componenti, di quel corpus di scritti riscossero negli anni cruciali della diffusione delle idee di Lutero. Che essi preparassero il terreno al radicamento della Riforma è un dato accertato. Il ruolo preminente spetta alla Paraclesi. Nel giro di un biennio, 1520-1522, la Paraclesi ovvero esortazione allo studio della filosofia cristiana (Paraclesis id est exhortatio ad Christianae philosophiae studium) irrompe sul mercato di lingua tedesca in quattro traduzioni diverse, per un numero complessivo di dodici stampe e ristampe. (…) Erasmo compose altri appelli che invitano alla lettura della Bibbia, imprimendo loro un analogo fervore. Alcune edizioni “minori” del Nuovo Testamento – volumi leggeri, culturalmente meno esigenti, incomparabilmente meno costosi, rispetto alle maestose edizioni bilingui di Froben – si aprono con apostrofi che esortano il lettore ad abbeverarsi alle «purissime fonti» di Cristo. (…) Il volume che presentiamo riunisce le quattro composizioni a impronta programmatica e intonazione parenetica che corredano edizioni diverse del Nuovo Testamento nonché un’opera ad esso strettamente connessa.
Dall’introduzione di Silvana Seidel Menchi
«C’è chi non vuole che la gente semplice legga i testi sacri tradotti in volgare. Con costoro mi trovo in robusto dissenso: come se Cristo avesse insegnato cose cosí astruse da poter essere intese a malapena da tre o quattro teologi, o come se la tutela della religione cristiana consistesse nell’ignoranza della religione cristiana. I misteri dei re, quelli sí, sarà preferibile tenerli occulti; Cristo invece ha voluto che i suoi misteri avessero la massima diffusione. La mia aspirazione è che leggano i Vangeli tutte le donnette, che tutte leggano le lettere di San Paolo. E magari queste pagine fossero tradotte in tutte le lingue di tutti i popoli, cosí da essere lette e conosciute non solo dagli Scozzesi e Irlandesi, ma anche da Turchi e Saraceni. Conoscere è pur sempre un primo passo. Molti se ne farebbero beffe, lo ammetto; ma alcuni ne sarebbero conquistati. Vorrei che il contadino ne intonasse qualche versetto spingendo l’aratro, che il tessitore ne modulasse qualche passo manovrando le sue spole, che il viandante alleviasse il tedio del cammino con queste storie. Vorrei che tutti i discorsi che intercorrono tra tutti i cristiani ne fossero permeati. Noi siamo, in effetti, tali quali sono le nostre conversazioni quotidiane. Che ognuno capisca quel che può; che ognuno ne ricavi quel che può. Chi sta indietro non invidî chi è in testa; chi è in testa incoraggi chi viene dietro, non abbandoni la speranza. Perché restringiamo a pochi una professione di fede che è comune a tutti?»
Marcione, un armatore originario del Ponto, verso il 140 d.C. giunse a Roma e divenne un membro di spicco della comunità cristiana locale. Ben presto, però, la sua teologia lo portò alla rottura con i capi di quella comunità: infatti predicava un'irriducibile incompatibilità fra il Dio delle Scritture ebraiche e quello annunciato da Gesù, e professava una particolare interpretazione delle Lettere di Paolo. Marcione e i suoi seguaci leggevano la vita di Gesù in un peculiare «Vangelo» che in seguito verrà denominato «Vangelo di Marcione»: era molto simile al Vangelo di Luca, anche se più breve. Gli scrittori cristiani ostili a Marcione lo ritenevano il frutto di una manipolazione di quello di Luca, operata dall'eresiarca in accordo con la sua personale teologia; secondo alcuni studiosi moderni, al contrario, si trattava di un Vangelo indipendente sulla base del quale soltanto in seguito sarebbe stato confezionato quello di Luca. Il Vangelo di Marcione, condannato come eretico, spari dalla circolazione; ma alcuni scrittori ecclesiastici ne hanno tramandato diversi stralci. Andrea Nicolotti ne propone qui una ricostruzione, integrando le parti mancanti e presentando per la prima volta in lingua italiana un testo che cerca di avvicinarsi all'originale perduto.
Tutto si è svolto in un pugno d'ore, diciotto o venti al massimo. Dall'imbrunire di un giorno, al primo pomeriggio del successivo. In modo convulso. Per lo più nottetempo o alle prime luci dell'alba. Il processo che ha cambiato il destino dell'uomo è stato celebrato sicuramente in fretta, ma in base a quali accuse? Secondo quale rito? Chi aveva ordinato l'arresto e perché? E soprattutto, chi aveva il potere di convalidare il provvedimento emettendo la sentenza finale? Ad essere indagate sono le ultime febbrili ore di Gesù di Nazareth, il giovane profeta giustiziato su un patibolo romano a Gerusalemme in un anno convenzionalmente datato 33 della nostra èra. Vicende viste, forse per la prima volta, anche dalla prospettiva degli occupanti romani. È questo un libro dove si entra e si esce dalla storia, dove si raccolgono e indagano i documenti, dove si commentano le fonti e le si fa parlare, e dove anche uomini e cose prendono vita. Fra queste pagine si ode il rumore della pialla del falegname, lo stridio delle ruote dei carri, il belato degli agnelli; si vedono il bianco della farina e il grigio del fumo dei camini e si percepiscono le presenze misteriose di maghi, indovini, assassini. Saggismo e gesto narrativo s'incontrano: c'è la precisione storica e c'è la vita, la passione per il mondo e il talento di raccontarlo. Molti sono i protagonisti della storia e appaiono più tormentati, sfaccettati, umani, di quanto siamo soliti considerarli...
Di tutte le tipologie di arte medievale, i manoscritti miniati sono probabilmente una delle meno accessibili al grande pubblico. Conservati perlopiù all'interno di biblioteche, questi volumi sono stati esibiti nel corso degli ultimi secoli in sale di lettura per specialisti e in sporadiche mostre ed esposizioni temporanee. Soltanto di recente le versioni digitalizzate sul web hanno ampliato in modo significativo l'accesso a queste opere. Eppure, di fatto, la pittura medievale di maggiore qualità artistica sopravvive nei libri più che in qualsiasi altro mezzo espressivo. Attraverso le illustrazioni del volume si viene trasportati in un viaggio di mille anni, concentrato soprattutto nel periodo medievale, ma capace di restituire la costanza nella produzione di manoscritti miniati della Bibbia in alcune tradizioni fino all'alba dell'era moderna. Dal punto di vista geografico si attraverseranno molti dei più importanti centri del mondo cristiano. Partendo da Costantinopoli, a Oriente, il viaggio si sposta a Lindisfarne al nord, nella Aquisgrana imperiale, fino a Canterbury, poi nella Tours carolingia. Proseguendo, vedremo alcune delle ricchezze di Winchester, della Spagna, di Gerusalemme, della valle della Mosa, dell'Iraq settentrionale, di Parigi, Londra, Bologna, Napoli, della Bulgaria, dei Paesi Bassi, di Roma e della Persia. Un viaggio che termina a Gondar, la capitale dell'Etiopia imperiale.
Se un viaggiatore venuto da molto lontano cominciasse a sfogliare le pagine dei Vangeli totalmente ignaro della loro origine e di ogni possibile implicazione teologica, che cosa leggerebbe? In buona sostanza quattro versioni in parte (ma non del tutto) simili della tragica vicenda di un predicatore che, avendo sfidato il potere della Chiesa e dello Stato, viene processato e condannato a morte. Ma c'è un altro elemento che colpirebbe il nostro ipotetico lettore: la folla di personaggi in cui il protagonista s'imbatte, o da cui è accompagnato, nel corso della sua breve esistenza. Il nostro ipotetico lettore sarebbe colpito dalla diversità delle reazioni, dall'odio implacabile allo smisurato amore. Noterebbe le turbe, il popolo, una folla indistinta, poveramente vestita, rassegnata o crudele, fatta di pescatori, operai dei campi e delle vigne, pastori, in genere illetterati, alcuni gravemente malati, tutti fiduciosi nella storia del loro popolo e nell'aiuto costante del loro Dio. Dallo stupore per questa umanità, dalla meraviglia per queste straordinarie presenze umane, è partito Corrado Augias a colloquio con uno dei maggiori storici del cristianesimo, Giovanni Filoramo. Augias «stringe l'inquadratura» sugli uomini e le donne che appaiono nei Vangeli. Ne esamina le vite narrate dagli evangelisti ma anche i segreti taciuti, le origini o i destini. A cominciare dalla madre del giustiziato, ad esempio, figura che dovrebbe avere carattere centrale e che - stranamente - risulta, invece, appena abbozzata, presenza sfuggente caratterizzata da rapporti spesso aspri con suo figlio. O il padre (adottivo?), piccolo imprenditore edile, più che semplice falegname, perennemente muto di fronte alle straordinarie vicende che il destino gli ha riservato. O le figure enigmatiche e sfaccettate di Giuda e della Maddalena. Con questo libro, Augias e Filoramo riescono in un'impresa difficile: narrarci in maniera sorprendentemente nuova una storia che pensavamo di conoscere.
La vicenda del prefetto romano di Giudea raccontata in un libro di storia. Da duemila anni Pilato è una figura di intersezione fra la memoria e la storia, come Romolo o Giovanna d'Arco. Aldo Schiavone costruisce qui un ritratto del prefetto di Giudea ripercorrendo gli eventi che portarono alla morte di Gesú, culmine della narrazione cristiana e punto di contatto fra ricordo evangelico e storia imperiale. Con appassionato rigore, e in serrato dialogo con le fonti, Schiavone non si prefigge alcun intento teologico o politico, ma solo quello di risolvere un enigma, descrivendo e spiegando quel che potrebbe essere accaduto.
«Rialzati, alza la fronte, sta' in piedi, non restare una donna curvata» cosí dice idealmente Gesú alla donna malata in sinagoga, e cosí dice idealmente a ogni donna. In ogni tempo e in ogni luogo. Conoscere la storia della donna curva o di quella malata di emorragia uterina, della samaritana o dell'adultera, della donna straniera o dell'apostola degli apostoli, ci dice moltissimo di Gesú e di come il suo magistero incida sulla nostra vita. Il suo esempio, infatti, ci potrebbe di nuovo insegnare «a camminare insieme nella diversità riconciliata e la convivenza sarebbe piú bella e piú buona».
Al tempo di Gesú, la vita di una donna in Israele non era facile. Il mattino di ogni giorno l'ebreo osservante recitava, e recita tuttora, questo ringraziamento: «Benedetto il Signore che non mi ha crea-to né pagano, né donna, né schiavo». La letteratura sapienziale dichiara infatti che mentre la donna vergine è desiderata per le nozze, quella sposata è «vite feconda nell'intimo della propria dimora» e la sua piú alta vocazione è essere la padrona della casa. Previdente, accorta, economa, educatrice di una prole numerosa. Dunque la donna è una presenza nascosta, afona nella società, la sua vita è dedicata alla famiglia, e viene amata finché resta al «suo» posto: il posto stabilito dagli uomini. Anche se poi alcune donne avevano una loro importanza e dignità, è su un tale sfondo religioso e culturale che si staglia la figura di Gesú. Ma il Rabbi porta anche qui la novità rivoluzionaria del Vangelo. Attraverso i vangeli sinottici e il vangelo secondo Giovanni, Enzo Bianchi recupera e ci racconta le vicende emblematiche del rapporto di Gesú con le donne incrociate in vita. Incontriamo cosí fra le altre la donna malata di emorragia uterina che ha il coraggio di toccare il Messia sebbene «impura»; la donna straniera, greca e per di piú di origini siro-fenicie, quindi pagana; le sorelle Marta e Maria; la donna sorpresa in adulterio, e Maria di Magdala, l'apostola degli apostoli. Se uno dei modi piú fecondi per conoscere un uomo o una donna è indagarne le relazioni con gli altri, il modo con cui guarda le persone scegliendo di averne accanto alcune invece di altre, allora osservare le relazioni di Gesú con le donne che incontra, che sceglie e che lo scelgono, ci può dire moltissimo sul suo insegnamento ma anche sulla nostra vita quotidiana di uomini e di donne. E può dire molto anche alla società e alla chiesa di oggi. «Sarebbe infatti necessario, - afferma Bianchi -, che la Chiesa, le chiese, tornassero senza paura semplicemente a ispirarsi alle parole e al comportamento di Gesú verso le donne, assumendone i pensieri, i sentimenti, gli atteggiamenti umanissimi e, nello stesso tempo, decisivi anche per la forma della comunità cristiana e dei rapporti in essa esistenti tra uomini e donne».
Secondo il racconto dei Vangeli, Gesú, dopo l’Ultima Cena, si ritira nei pressi di un piccolo campo poco fuori Gerusalemme: è il Getsemani, l’orto degli ulivi. Alla testa di un gruppo di uomini armati, arriva Giuda che indica Gesú ai soldati baciandolo. Questo bacio è divenuto il simbolo dell’esperienza straziante del tradimento e dell’abbandono. Ma anche i suoi discepoli e Pietro stesso, il piú fedele tra loro, tradiscono il Maestro lasciandolo solo. Nella notte del Getsemani non c’è Dio, ma solo l’uomo. È lo scandalo rimproverato a Gesú: aver trascinato Dio verso l’uomo. La notte del Getsemani è la notte dove la vita umana si mostra nella sua piú radicale inermità. In primo piano c’è l’esperienza dell’abbandono assoluto, della caduta, della prossimità irreversibile della morte e della preghiera. La notte del Getsemani è la notte dell’uomo.
Incisi nella pietra con caratteri di fuoco, i comandamenti impongono all'uomo l'obbedienza e al tempo stesso esigono la libertà di trasgredirli: la legge divina ha senso solo se ammette la facoltà di non osservarla.
Nonostante siano il passo biblico più conosciuto e citato al mondo, simbolo per eccellenza del monoteismo, i Dieci comandamenti hanno ancora molto da raccontare. Che cosa rappresentano oggi e che suggestioni nascono dalla loro (ri)lettura? La rivelazione della parola divina a Mosè sul Sinai è un dialogo fra terra e cielo ricco di chiaroscuri, fraintendimenti, emozioni che prendono il sopravvento, come quando, infuriato con il popolo d'Israele per il vitello d'oro, il profeta spezza le prime Tavole della Legge. Dall'analisi di Elena Loewenthal emerge che il principio di responsabilità – la consapevolezza che ogni azione o pensiero porta con sé delle conseguenze – è senz'altro la filigrana dei comandamenti. In questa breve sequenza di imperativi positivi o negativi si snodano la storia passata e le aspettative future. Ma malgrado una struttura apparentemente semplice, i due passi biblici che enunciano i comandamenti nascondono sottintesi, dubbi, difficoltà. Ed è proprio attraverso le aporie che si dipana la ricchezza di significati, che le infinite rifrazioni del testo si aprono alla lettura.
Il gesto di Caino è senza pietà: uccide il fratello spargendo il suo sangue sulla terra. Non lascia speranza, non consente il dialogo, non ritarda la violenza efferata dell’odio. È da questo gesto che la storia dell’uomo ha inizio. Sappiamo che l’amore per il prossimo è l’ultima parola e la piú fondamentale a cui approda il logos biblico. Ma non è stata la sua prima parola. Essa viene dopo il gesto di Caino. Potremmo pensare che l’amore per il prossimo sia una risposta a questo gesto tremendo? Potremmo pensare che l’amore per il prossimo si possa raggiungere solo passando necessariamente attraverso il gesto distruttivo di Caino? Quello che è certo è che nella narrazione biblica l’amore per il prossimo viene dopo l’esperienza originaria dell’odio.