
L'ultimo libro della Bibbia ha creato per la civiltà occidentale un mondo narrativo dotato di un inizio e di una fine. Ha creato sia un mondo futuro ricco di speranze e realizzazioni utopiche, sia un mondo colmo di fallimenti distopici e disperazione. La sua collocazione canonica al termine della Bibbia è il corrispettivo del Genesi al suo inizio. E chi regge la Bibbia tra le mani, tiene in mano il tempo e lo spazio racchiusi tra due copertine. L'Apocalisse di Giovanni ci riguarda anche se non l'abbiamo mai letta, anche se, avendola letta, non crediamo a nemmeno una parola, anche se la conosciamo davvero bene o non ne sappiamo nulla. In parte ciò è dovuto al fatto che, ovviamente, la narrazione biblica della creazione e della fine del mondo rappresenta a grandi linee ciò che è vero di qualunque vita che inizia con la nascita e si conclude con la morte. Ma a un livello più generale, l'Apocalisse ci fornisce un modello adatto alle più ampie aspirazioni della comunità e della società.
«La donna nel giardino rende familiari molti aspetti della condizione umana descrivendoli e affidando ad alcune parole-chiave il compito di comunicare ogni loro sfumatura. Solitudine, desiderio, mancanza, limite, smarrimento, legame, relazione acquistano uno spessore diverso. Esprimono tutta l'umanità dell'umano» - Giovanni Santambrogio, Il Domenicale del Sole 24Ore
Nel racconto della Genesi il serpente mette in campo una precisa strategia e usa astutamente il linguaggio per condurre Eva sul proprio terreno. Ed Eva risponde. Avrebbe potuto farlo in un altro modo? E cosa avrebbe potuto dire? Quando si decide, quando si è soli nel decidere, non bisognerebbe mai perdere di vista quei legami che ci costituiscono proprio in quanto soggetti capaci di decidere. Il serpente non solo separa l'albero della Conoscenza da quello della Vita, ma separa anche (per opporli) Eva da Dio ed Eva da Adamo. La donna è dunque sola di fronte alla proposta di diventare come Dio. La scena non potrebbe essere più drammatica.
Il profeta Elia sale sul monte Sinai per incontrare Dio. Immagina che il suo Signore sia nel fulmine incandescente, nel terremoto che fa sommuovere la terra, nella tempesta, nel vento che spacca la roccia. Ma Dio non è in questi eventi fragorosi e si manifesta nella “voce di un silenzio sottile”. Egli è nell'annullamento della parola, nella poesia che ha bisogno di spazi bianchi perché, come ha scritto Pascal, “nella fede, come nell'amore, i silenzi sono più eloquenti delle parole”.
sommario
I. Il grande codice della cultura occidentale. II. La debolezza della Parola. III. Gli spazi bianchi del silenzio. IV. La diafanìa della Parola. V. L’alfabeto colorato dell’arte. VI. La forza della Parola.
note sull'autore
Gianfranco Ravasi, cardinale, è presidente del Pontificio consiglio della cultura e della Pontificia commissione di archeologia sacra. Per EDB è autore di numerosi volumi, tra cui due imponenti commenti biblici più volte ristampati al libro dei Salmi e al Cantico dei cantici. Tra i saggi recenti: I Vangeli (2016), Pregare con i Salmi (nuova edizione 2017), La Bibbia secondo Borges (2017) e Quanto manca ancora all'alba? La Bibbia e il pensiero apocalittico (2017).
«Giobbe non spera di avere risposte alle sue domande, ma di vedere Dio, di incontrarlo, perché questo vuol dire trovare le risposte. Continuare a cercare le risposte a livello razionale non porterà a una soluzione, la vera risposta è nell’ordine esistenziale, non nell’ordine teoretico o filosofico. Finché non vedrà Dio non avrà risposte, ma quando vedrà Dio le domande cadranno».
Sommario
La fragilità e la morte nella Bibbia. Una ricognizione sul tema e sulla sua interpretazione. La storia di Giobbe. Uno sguardo complessivo al libro. La prima parte (Gb 1–2). La prima protesta di Giobbe. I discorsi degli amici. Le risposte di Giobbe. La speranza di Giobbe. I discorsi di Dio (Gb 38,1–42,6). L’epilogo (Gb 42,7-17).
Note sull'autore
Grazia Papola, suora orsolina di san Carlo, insegna alla Facoltà Teologica di Milano e all’Istituto di Scienze Religiose San Pietro Martire di Verona. Ha conseguito la Licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico e il dottorato in Teologia Biblica alla Pontificia Università Gregoriana.
Nel corso della sua esistenza Maria avrà certamente parlato tante volte, ma i vangeli canonici riferiscono solo sei circostanze in cui ha preso la parola. Il dato non è senza significato. È nota la tradizione cristiana cresciuta attorno alle «sette parole» che Gesù ha pronunciato sulla croce. Sono infatti numerosi gli scrittori ecclesiastici che lungo i secoli le hanno meditate, elaborando una ricchissima dottrina teologica e spirituale, mistica e ascetica. Le «parole di Maria», invece, non pare abbiano ricevuto alcuna specifica attenzione. E ciò sorprende, tanto più se si considera il fatto che esse risultano essere proprio sei, un numero simbolico, e pertanto, come tale, da «scavare» nel suo significato più profondo.
Nella tumultuosa storia delle sue interpretazioni e dei suoi effetti - soprattutto delle sue riprese letterarie e filmiche - Giuda Iscariota oscilla in un pendolo perenne. La sua figura è sospesa tra facili esecrazioni e improbabili riabilitazioni, spesso e volentieri ambedue condite in salsa deterministica, così da farne comunque un «predestinato al tradimento e alla dannazione», un dannato infame da maledire, piuttosto che da esaltare, fino ad attribuire al suo gesto un valore perfino ascetico, eroico, in quanto avrebbe reso possibile da parte di Gesù l'attuazione del piano di salvezza predisposto da Dio. Il mistero del traditore resta quello di un inspiegabile «peccato più grande» a confronto con quello di Pilato. E, tuttavia, in questa sua oscura enormità, è pur sempre un più piccolo frammento entro il mistero della sempre «più grande» rivelazione cristologica del Padre, culminante nel Figlio dell'uomo esaltato sulla croce, cui «volgeranno lo sguardo coloro che lo hanno trafitto».
Nella vita concreta delle persone c'è la convinzione che sia l’individuo a fare sintesi sulla propria fede, in modo autonomo: una somma di idee, convinzioni, atteggiamenti, pratiche che ondeggiano tra la fede cattolica classica e altri riferimenti. La cultura ancora prevalente nelle nostre terre non nega Dio, ma sottopone la sua presenza e le indicazioni della Chiesa a un esame che fa appello alla scelta personale.
Che cosa significa, dentro questo contesto sociale e culturale, declinare quanto fino a poco tempo fa era radicato e indiscusso - il Decalogo - ma che ormai sembra essere «in esilio» per la maggior parte di noi? Le pagine di questo volume sono insieme un esercizio di memoria e uno sforzo responsabile di aggiornamento per non perdersi «nel precetto» e tornare alla fonte.
Sommario
Introduzione. I. Primo, non avrai altro Dio al di fuori di me. II. Secondo, non nominare il nome di Dio invano. III. Terzo, ricordati di santificare le feste. IV. Quarto, onora il padre e la madre. V. Quinto, non uccidere. VI. Sesto, non commettere atti impuri. VII. Settimo, non rubare. VIII. Ottavo, non dire falsa testimonianza. IX. Nono, non desiderare la donna d’altri. X. Decimo, non desiderare la roba d’altri.
Note sull'autore
Vinicio Albanesi, presbitero della diocesi di Fermo, è presidente della Comunità di Capodarco dal 1994, fondatore dell’agenzia giornalistica «Redattore sociale» e, con don Luigi Ciotti, del Coordinamento delle comunità di accoglienza. Ha collaborato con le riviste Famiglia Cristiana, Jesus, Vita Pastorale, Il Regno ed è autore di numerosi saggi. Tra i più recenti, pubblicati da Àncora, I tre mali della Chiesa in Italia (2012), Il sogno di una Chiesa diversa (2014) e I quattro gradi dell’amore del prossimo (2016).
Attorno ai quattro simbolici alberi della vita, della conoscenza, del giudizio e della sapienza il libro articola un itinerario ispirato alla tradizione cristiana, soprattutto patristica, e all'esperienza dell'accompagnamento spirituale. Nella forma di un esteso commento al Salmo 119 e alle beatitudini evangeliche, il testo si propone di rispondere alla domanda d'integrità che emerge con forza nella coscienza contemporanea e nella Chiesa. In particolare, chi assume con serietà il rischio dell'avventura cristiana deve avere la più lucida cognizione dell'impegno da sostenere per portare a termine la "costruzione della torre", per non cominciare un'opera senza completarla.
Sant'Atanasio di Alessandria, vescovo e teologo, considerava il Salterio un «libro degli affetti», un testo che consente di riconoscere gli infiniti registri dell'anima. I salmi, infatti, sono lo specchio dei sentimenti: da un lato ci rivelano il nostro stato interiore, dall'altro i moti più negativi che richiedono risanamento e maturazione.«Il libro dei Salmi - secondo Atanasio - possiede una sua propria grazia meritevole di particolare attenzione; oltre a tutto quello in cui vi è comunione e relazione con gli altri libri, ha anche questo di meraviglioso, che riporta impressi e scritti in esso i moti di ciascuna anima e il modo con il quale essa cambia e si corregge».
A differenza della favola, che fa parlare alberi o animali, la parabola è un racconto che mette in scena personaggi e fatti della vita quotidiana e immagini della natura. Gesù se ne serve per annunciare la vicinanza del Regno di Dio, l’appello alla conversione e l’importanza di comprendere il presente come tempo che esige una decisione esistenziale.
Molte delle parabole evangeliche esaminate in questo libro sono dedicate al volto di Dio, che offre il suo amore a tutti senza eccezione, e all’inevitabile reazione negativa da parte degli zelanti della Legge. Due parabole sull’amore del prossimo, stile di comportamento del discepolo nel tempo nuovo, concludono l’insieme.
L’analisi del testo permette di ritrovare l’insegnamento originale delle parabole narrate da Gesù e di comprendere le riletture compiute dalle comunità cristiane dei primi tempi.
Con Abramo, Dio riprende la storia della salvezza dopo la tragica dispersione di Babele. Il primo grande patriarca diviene così l'archetipo dell'uomo chiamato a ritrovare se stesso. Ciò richiede però un lungo cammino, che porta anzitutto alla scoperta di sé, della propria identità vocazionale, di chi ci è prossimo e, non da ultimo, di Dio, nel quale si scopre il senso dei giorni e delle opere.Abramo, per ritrovarsi, dovrà lasciare la sua terra, i suoi beni e i suoi legami familiari; dovrà lasciare - in una parola - ogni sicurezza. Ma questa rinuncia aprirà per lui un cammino di fecondità insperata. Egli diverrà infatti una «benedizione» per tutte le genti. L'esodo proposto al patriarca è perciò un invito a crescere verso il compimento di sé secondo il disegno di Dio. Il cammino di Abramo - paradigmatico per ogni credente - diviene così la sfida che Dio ripropone continuamente a ogni uomo affinché divenga soggetto responsabile della propria storia.
L’importanza che il Cantico dei cantici riveste nell’ebraismo è testimoniata dal fatto che ancora oggi e a partire dall’VIII secolo della nostra era, esso viene letto nella festa di Pasqua, quando il popolo di Israele ricorda l’evento fondante della sua storia.
L’uso di leggere il Cantico dei cantici è stato fatto proprio anche dalle comunità cristiane dei primi secoli, che vi trovavano molti elementi per formare la spiritualità, far crescere la fede, educare alla vita i catecumeni che nella notte di Pasqua sarebbero stati battezzati.
In questo libro Francesca Cocchini propone di leggere il Cantico secondo il metodo interpretativo della tradizione ebraica e della più antica tradizione cristiana, che può essere sintetizzato nella famosa espressione «La Bibbia si interpreta con la Bibbia». Esso richiede che, per poter comprendere in profondità il significato di un determinato passo della Scrittura, l’interprete lo metta in rapporto con altri che gli si possano accostare a motivo della presenza, in tutti, di almeno uno stesso termine: in tal modo il significato viene non solo approfondito, ma ampliato a dismisura, nella convinzione che esso sia inesauribile.
Sommario
I. Il Cantico dei cantici. Una lettura commentata. Una parola ha detto Dio, due ne ho udite (Sal 62). Un dialogo nel Monte degli Ulivi. Nella storia: la liturgia. Nella storia: tra un «già» e un «non ancora». Il lavoro della vigna. Il «dove» dell’incontro. Che io conosca me, che io conosca te. Una storia in attesa di compimento. Lo stupore di un combattimento. Il giardino. Una voce e un rifiuto. Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rm 5,20). Un’ultima descrizione. L’umanità redenta e il suo operare nella storia. II. Testo integrale del Cantico dei cantici.
Note sull'autore
Francesca Cocchini, professore ordinario di Storia del cristianesimo all’Università di Roma «La Sapienza», fa parte dell’Association Internationale d’Etudes Patristiques e del Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la tradizione alessandrina. È professore invitato all’Istituto Patristico Augustinianum. Per EDB dirige la collana «Primi secoli» e ha pubblicato di recente Le sei parole di Maria (2019).