
Questo libro riporta gli atti della giornata di studio omonima svoltosi presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum il 20 marzo 2007.
Una lettura attenta della teoria dell'azione di Tommaso d'Aquino e la sua relazione con l'intenzionalità che costituiscono una parte essenziale della filosofia analitica odierna a partire da un'analisi comparata dell'intelligenza umana e di quella artificiale, il concetto di intenzionalità si trova al centro di un dibattito che non può essere validamente affrontato solo dal punto di vista di una mera analisi logica dei fattori psicologici.La teoria dell'azione e la sua relazione con l'intenzionalità costituiscono una parte essenziale della filosofia analitica odierna, con implicazioni in campo logico, morale e linguistico. Questa opera, che già conta un'edizione in lingua inglese e una in lingua spagnola, offre una lettura attenta della teoria dell'azione di Tommaso D'Aquino; mostra l'originalità della sua percezione e rielaborazione della fisica e della metafisica aristoteliche e rende evidenti le linee di contatto tra la filosofia tomista e la filosofia analitica contemporanea.
Il dibattito sullo statuto metafisico che Tommaso d'Aquino intendeva attribuire al pulchrum è tuttora aperto. Autorevoli interpreti si sono interrogati e hanno preso posizioni spesso incompatibili sulla vexata quaestio se il bello sia o non sia un trascendentale, attribuendo di volta in volta intenzioni diverse all'Aquinate, e oggi la questione suscita una rinnovata attenzione. Questo libro intende dare un contributo alla discussione, nella consapevolezza che lo studio del pensiero del Doctor Angelicus non riveste un mero interesse erudito e neppure esclusivamente storico, ma è tuttora un prezioso apporto filosofico per i contemporanei. Una questione così puramente metafisica, inoltre, se si prende sul serio il pensiero dell'Aquinate, è solo apparentemente confinata nei meandri di più difficile accesso della filosofia, ma ha immediate ricadute sulla realtà per intero, quantomeno per quel che riguarda la concezione e la comprensione che abbiamo di essa. Lo studio intende calarsi nella forma mentis tommasiana e ricostruirne la sensibilità estetica e la concezione metafisica, muovendosi attraverso una puntuale analisi dei testi per giungere ad una conclusione il più possibile fedele alla verità storica. Non si intende comunque rinunciare, laddove si riveli opportuno, a proporre un'ipotesi interpretativa, consona alla statura del Doctor Communis.
Il problema pedagogico ha da sempre interessato la storia della filosofia, dagli accesi dibattiti fra i Sofisti e Platone agli attuali contributi delle neuroscienze, oggi fortemente reclamate non solo nella didattica ordinaria, ma anche in quella inclusiva. Agli autori del presente volume – di diversa formazione culturale – è sembrato necessario intervenire nel dibattito contemporaneo per colmare una lacuna assai profonda che caratterizza le scuole di pedagogia contemporanea: l’assenza di qualsiasi riferimento metafisico nei modelli antropologici assunti e proposti alla riflessione sistematica come pure alla pratica didattica. Ispirandosi alla tradizione tomista, alla quale cerca di introdurre il lettore digiuno dei metodi e del linguaggio dell’Aquinate, il volume intende fornire gli strumenti teoretici per una giustificazione dei presupposti e delle implicanze ontologiche dell’atto educativo, da contestualizzare in una visione non riduzionistica della realtà in cui l’uomo – in particolare il discente – è inserito. A tale scopo, pensando soprattutto ai percorsi scolastici della scuola secondaria, gli autori hanno voluto mostrare la forza dell’epistemologia tomista nella ricerca sui fondamenti delle scienze contemporanee (matematica, fisica, scienze biologiche) e, proprio a motivo di tale forza, quale punto di riferimento per una didattica che sappia infondere quel senso di bellezza e di stupore che solo la verità e la bontà dell’essere ispirano.
Nel corso del medioevo l’atteggiamento dei cristiani nei confronti degli ebrei era fondamentalmente negativo e si esprimeva anche attraverso le opere di una letteratura antiebraica, al cui interno spiccavano i testi di un monaco cluniacense, l’abate Pietro il Venerabile, e di un convertito spagnolo, Pietro Alfonsi. Gioacchino da Fiore conosceva questi testi, elaborando dal canto suo una posizione del tutto differente. Egli non si rivolgeva agli ebrei per convertirli, ma ai cristiani, per convincerli che con l’incarnazione di Gesù la storia del popolo di Israele non era finita: nel futuro degli ultimi tempi della storia, che secondo l’abate si stava avvicinando nei giorni in cui egli scriveva, gli ebrei e i gentili si sarebbero riuniti in un unico popolo di credenti.
Questa visione, che non trovava precedenti né ebbe seguito, fu affidata a un testo in cui Gioacchino da Fiore accumulava e commentava ampiamente brani delle Scritture sacre degli israeliti – il Vecchio Testamento dei cristiani –, trovandovi la conferma della dottrina della Trinità e la prefigurazione dell’avvento del Messia nella persona del Cristo. In tutto questo egli affidava a se stesso un ruolo analogo a quello del profeta Elia e indirizzava ai suoi ascoltatori una Esortazione a prepararsi ad accogliere insieme ebrei e cristiani alla fine della storia umana
Le Confessioni sono l’opera più celebre di sant’Agostino d’Ippona, scritta tra il 397 e il 400 d.C. Rappresentano il primo esempio di autobiografia spirituale nella storia della letteratura occidentale. Nel testo, Agostino racconta la sua giovinezza, il percorso di conversione al cristianesimo e la sua riflessione su Dio, il peccato, il tempo e la memoria. L’opera è divisa in 13 libri, in cui Agostino ha voluto porre davanti a Dio e a noi tutti il ricordo della sua anima e, con grande umiltà, rappresentare il suo vecchio e nuovo "io". Il libro è all’origine della vocazione religiosa di Papa Leone XIV. Il Papa, nel giorno della sua elezione sul solco di Pietro, ha detto con grande fierezza: "Sono un figlio di Sant’Agostino".
Questo libro, dice l'autore nella sua Introduzione, è un omaggio affettuoso e riconoscente al grande Aquinate, di cui abbiamo voluto mettere in risalto soprattutto il suo magistero dottrinale, sollecitati in questo da alcune affinità: il condividere lo stesso ideale di vita religiosa (l'ordine domenicano) che ha come programma apostolico la predicazione della verità; il fatto di svolgere la stessa attività di docenza e di ricerca teologica di cui egli è esemplare e sommo maestro; il trovare in lui una consonanza di metodo, di princìpi, di dottrina vivamente raccomandati dalla Chiesa, maestra di verità (p. 7).

