
Il "Commento al Cantico dei Cantici" di Nilo di Ancira è il più antico commento greco completo a questo libro biblico, mentre gli altri commenti giunti fino a noi si fermano prima della fine. Eredita le prestigiose tradizioni esegetiche di Origene, Gregorio di Nissa e Evagrio Pontico. Nella sua esegesi Nilo fa una sorta di romanzo la cui eroina è una prostituta che sceglie di cambiare vita per diventare degna delle nozze con il re. Essa è figura metaforica dell'anima umana e dei suoi moti interiori. Composto tra la fine del IV secolo e l'inizio del V secolo, tratta diversi temi della vita spirituale la cui mira è la comunione di vita con Dio. Il Cantico è una profezia dell'unione del Verbo eterno con l'anima umana, che si realizza nella storia della salvezza mediante la morte e risurrezione di Gesù Cristo ed è resa a noi contemporanea attraverso la liturgia della Pasqua e del battesimo. Nelle ultime pagine Nilo presenta la persona umana completamente partecipe della luce e della gioia di Cristo glorioso asceso alla destra del Padre. Testo critico di Marie-Gabrielle Guérard. Introduzione, traduzione e note di Maria Benedetta Artioli.
In occasione del diciassettesimo centenario del Concilio di Nicea del 325, il volume esplora il Simbolo niceno e la sua eredità secondo due direzioni principali: la prima riguarda gli aspetti liturgici e catechetici del Simbolo nei commenti latini dei Padri della Chiesa tra IV e V secolo; la seconda è incentrata sulla ricezione moderna del Simbolo, con un'attenzione particolare nei confronti del ruolo svolto dai gesuiti nella diffusione del Credo e degli altri simboli di fede (apostolico tra tutti), nei secoli XVI-XIX, in alcuni contesti extra-europei in cui si svolse la catechesi missionaria dei gesuiti. La specificità di questo tema di ricerca e delle discipline coinvolte ha consentito di massimizzare i vantaggi della multidisciplinarietà, esibendo una profonda sinergia tra i diversi contributi offerti nel volume e consentendo di comprendere come la formula del Credo sia stata modellata in diversi contesti e di come, a sua volta, essa stessa abbia plasmato quei contesti.
San Gregorio di Narek, proclamato Dottore della Chiesa dal Santo Padre Francesco, il 12 aprile 2015 nella Basilica vaticana, rappresenta una grandezza nel suo genere unica nell'ambito della cultura religiosa e letteraria non solo dell'Armenia, ma della cristianità intera, dalle dimensioni umane e mistiche universali. Narekatsi - è stato detto - riassume in sé tutto ciò che lo spirito armeno abbia pensato fin dall'inizio. Tutte le angosce e le lotte, come pure tutte le vittorie e le speranze del suo popolo, lui le ha condensate nella sua opera. Il suo Matean Olbergutean, il Libro della Lamentazione, parole traducibili anche come il Libro della Tragedia, conosciuto comunemente tout court come il Narek, il capolavoro poetico, teologico e mistico di Gregorio, fu il libro più letto dagli Armeni.
Dialogo serrato e appassionante tra un credente e un non credente circa i fondamenti razionali e storici della fede cristiana e il rapporto scienza-fede. Dialogo serrato e appassionante tra un credente e un non credente circa i fondamenti razionali e storici della fede cristiana. Anche i problemi piu ardui sono affrontati apertamente. Ecco i temi principali: l'esistenza di Dio; la provvidenza; il mistero della Trinita e della creazione, del peccato originale e dell'incarnazione, della salvezza e della grazia; la Chiesa; i sacramenti; la morte e l'immortalita; il giudizio; l'inferno, il purgatorio e il paradiso.
E' un testo redatto nel primo secolo dell'era cristiana, fondamentale per ricostruire lo stile di vita dei cristiani e il rapporto tra di essi e il mondo in cui operavano. Si tratta anche di un testo di grande raffinatezza letteraria e stilistica.
A meta' del III secolo l'Impero romano attraversa un periodo di profonda crisi politica, militare ed economica. I pagani, impersonati da Demetriano, interpretano questa situazione generale di degrado come effetto della collera vendicatrice degli dei a causa dei cristiani che rifiutano il culto pagano...
La dottrina dei dodici apostoli è una breve e chiara esposizione della fede cristiana; un piccolo catechismo e insieme una raccolta di norme liturgiche e disciplinari. È un testo antichissimo – redatto forse in Siria verso il 50-60 d. C. – che mostra di non conoscere i Vangeli nella loro versione attuale, in quanto successivi.
Ci dà informazioni preziosissime sulle prime comunità cristiane. Tratta della formazione dei catecumeni e dei missionari; della scelta dei vescovi e dei diaconi; dei rapporti interni alle giovani e piccole Chiese; dell’importanza del lavoro svolto con serietà e impegno; della responsabilità data e richiesta all’assemblea dei fedeli.
Di massima importanza sono i brani relativi al battesimo, all’eucarestia – che aveva ancora una forma molto diversa dall’attuale – e all’agape fraterna, che all’epoca precedeva l’eucarestia.
Non conosciamo il suo autore. Il testo integrale è stato scoperto solo alla fine del 1800, all’interno di un manoscritto ritrovato a Gerusalemme. Ma l’Opera era già nota a causa delle citazioni che ne avevano fatto i Padri della Chiesa; segno che essa era, già nei primi secoli, molto diffusa per la sua autorevolezza.
La beneficenza è un dovere della vita cristiana, che ha come origine e modello la beneficenza di Dio per noi. L’amore del prossimo, infatti, ha come sua ultima radice l’amore di Dio, ossia la benevolenza di Dio per noi manifestata nella sua opera di salvezza.
Partendo da questi fondamenti teologici contenuti nella Sacra Scrittura, Cipriano espone le ragioni, la necessità e le modalità delle opere di carità, che hanno una dimensione personale ed ecclesiale.
La bontà di Dio ci ha fatto dono della salvezza in Cristo tramite il battesimo,ma ci offre un ulteriore mezzo di purificazione e di guarigione dai nostri peccati tramite la beneficenza e le elemosine, i cui vantaggi spirituali sono molteplici. Del resto, la generosità verso il prossimo è generosità verso Dio, poiché quanto è donato al povero e al bisognoso è donato a Dio.
Non si può dimenticare, infine, che il giudizio che Cristo pronuncerà sulla nostra vita verterà sull’amore che avremo negato o donato ai fratelli.
Questa Lettera è un documento di capitale importanza: scritta negli anni 95-100 dell’era cristiana, insieme alla Dottrina dei dodici apostoli (SC 6), è contemporanea agli ultimi libri del Nuovo Testamento. Siamo quindi di fronte a uno dei testi cristiani più antichi.
La tradizione la attribuisce a papa Clemente, terzo successore di Pietro sulla cattedra episcopale di Roma.
La Lettera è uno scritto di circostanza: la Chiesa di Roma interviene presso la comunità cristiana di Corinto, divisa da rivalità personali e da contestazioni che mettono in pericolo l’autorità dei presbiteri e l’unione fraterna.
Questo testo, dunque, è fondamentale per comprendere quale era l’autorità della Chiesa di Roma rispetto alle altre chiese locali e come era vissuto il cosiddetto primato petrino.
È anche particolarmente interessante per conoscere i temi usati nella predicazione sul finire del I sec. e le forme liturgiche della primitiva comunità cristiana di Roma.
La Lettera ha goduto sempre di una autorità eccezionale, al punto che in alcune chiese locali è stata considerata anche un testo ispirato e quindi usato nella Messa.
Il libro biblico dei Giudici narra la storia di Israele successiva all’ingresso nella Terra promessa. È una storia santa: i dati della narrazione storica sono congiunti all’interpretazione religiosa. Questa sostituisce volentieri il ruolo delle cause seconde di ordine umano con l’azione immediata di Dio. Il nostro predicatore, Origene, insiste sul fatto che si tratta di una successione storica non solo provvidenzialmente guidata, ma soprattutto orientata a svelare la presenza di Gesù Cristo. Così nella Omelia II,1 afferma: «Abbiamo stabilito di riferire a nostro Signore Gesù Cristo ciò che si leggeva di Gesù, figlio di Nave». E Gedeone, che è l’eroe principale delle ultime due Omelie, è presentato come immagine che anticipa alcuni aspetti della vita di Gesù Cristo: così Gedeone, che spreme il vello in un catino, riempiendolo d’acqua, anticipa Cristo che lava i piedi dei suoi discepoli (VIII,5); e Gedeone, che intima agli uomini timorosi e pavidi di andarsene e che ordina agli altri di scendere nell’acqua del fiume per metterli alla prova, è ombra di Cristo che dice: «Chi non prende la sua croce e non viene dietro di me non è degno di me» (IX,1).
Tra gli altri temi trattati in queste Omelie spicca la Chiesa e l’amorosa sollecitudine di Dio per gli uomini.
Testo della versione latina di Rufino
Introduzione, Note e Indici di Pierre Messié, Louis Neyrand, Marcel Borret
Traduzione italiana e aggiornamento di Riccardo Pane
Prima edizione italiana con testo critico latino e traduzione a fronte.
Questa "Apologia per i cristiani" fu scritta a Roma intorno al 153 per la famiglia imperiale. Fu infatti indirizzata all'imperatore Antonino Pio e a suo figlio, Marco Aurelio, e a suo nipote Lucio Vero, quali futuri imperatori. L'autore vuole discolpare i cristiani dalle accuse mosse contro di loro e a questo scopo usa argomenti di carattere morale e teologico, ma anche di tono giuridico e politico. Ricorda agli imperatori che la loro pretesa di avere un governo illuminato e degno di filosofi va dimostrata nei fatti. In particolare chiede che i cristiani siano condannati solo dopo che sia provato il male che essi - secondo i pagani - commetterebbero. L'obiettivo dell'Apologia è duplice: ottenere la legalizzazione del cristianesimo e quindi la fine delle persecuzioni; e mostrare agli imperatori e ai pagani che solo la fede in Cristo può soddisfare la loro sete di verità, perché Cristo è il Logos, la Ragione divina fatta carne. Sete di verità che le filosofie e le religioni hanno soddisfatto solo in minima parte. Giustino denuncia anche i limiti e le contraddizioni delle religioni pagane e sviluppa temi insoliti per un'opera destinata alla lettura dei pagani, cioè la dimostrazione della divinità di Cristo sulla base delle profezie e la descrizione del rito eucaristico. L'Apologia, infatti, è un testo storico di capitale importanza per ricostruire il modo con il quale i cristiani del II secolo celebravano l'eucaristia.
E' l'indiscusso capolavoro di Tertulliano e anche una delle opere piu' significative della letteratura latina.