
Parla senza ascoltare, ha sempre ragione: è presuntuoso. Ha soldi e potere, tutto gli è dovuto: è borioso. E' bello e irraggiungibile, concentrato sul proprio corpo: è vanitoso. Sono questi oggi i superbi, esseri meschini, nei quali sembra difficile rintracciare qualcosa del bellissimo Lucifero che si ribella a Dio, o della tracotanza di Prometeo che ruba il fuoco o degli eroi omerici puniti dagli dei per la loro temerarietà e ambizione. La superbia occupa, nella gerarchia dei vizi, un posto speciale, ne è la regina perché radicata nella condizione originaria dell'uomo come male ambiguo, come desiderio di conoscere ma al tempo stesso di eccedere la misura. Queste pagine ci avvicinano ai grandi superbi della cultura occidentale: da Adamo ed Eva ai tiranni prigionieri delle ideologie, fino ai protervi paladini della tecnoscienza che manipola la vita, e alle figure banalmente arroganti dei nostri tempi. Con un interrogativo: la superbia ha definitivamente abdicato al suo senso eroico in favore della vanità e del narcisismo?
Laura Bazzicalupo insegna Filosofia politica nell'Università di Salerno. La sua area di ricerca è la biopolitica. Tra le sue pubblicazioni più recenti "Il governo delle vite. Biopolitica ed economia" (Laterza, 2006) e "Politica, identità, potere. Il lessico politico alla prova della globalizzazione" (Giappichelli, 2004).
E' il vizio che si vede, perché inscritto nella carne, oltre che nell'anima: cosa si può dire che non sia già stato detto sulla gola, sul vizio che con la sua diffusione planetaria è alla base del fenomeno dell'obesità globale o "globesity", come viene chiamata l'epidemia mondiale del sovrappeso? Si possono illustrare, accanto ai caratteri tradizionalmente attribuiti a questo peccato, tutti gli aspetti moderni che l'hanno modificato, attraverso gli eccessi del fast food e della McDonaldizzazione da un lato, e la ricerca dello slow food, del cibo genuino, biologico dall'altro. Il libro ripercorre le vicende dell'ingordigia, dagli smisurati e tragici banchetti del mondo antico ai menu del commissario Montalbano, dagli abusi gastronomici delle tavole imperiali all'insaziabile ingurgitare di Pantagruele. Se il rapporto col cibo è sempre stato difficile, ancor più difficile è trovare una misura tra concessione e proibizione. Ma poi peccato o malattia? Vizio volontario o predisposizione genetica, come si chiedono oggi dietologi e medici?
Francesca Rigotti insegna nelle Università di Lugano e di Zurigo. Per il Mulino è autrice di "La filosofia in cucina" (II ed. 2004), "Il filo del pensiero. Tessere, scrivere, pensare" (2002) e "Il pensiero pendolare" (2006). Ha inoltre pubblicato "Il pensiero delle cose" (Apogeo, 2007).
Fra le tragedie shakespeariane, "Amleto" è una delle più misteriose e ambigue; per intenderne il senso, sostiene Carl Schmitt in questo piccolo saggio magistrale, occorre far riferimento a un nucleo di eventi storici di cui Shakespeare fu spettatore, in particolare alla vicenda di Maria Stuarda e di Giacomo I, successore di Elisabetta I al trono d'Inghilterra. Ma a Schmitt non interessa tanto identificare questi con i personaggi di Amleto e della madre Gertrude, quanto vedere come la politica lasci la propria impronta sulle più alte manifestazioni espressive di un'epoca: il genio di Shakespeare sta nell'aver riconosciuto l'elemento politicamente tragico del suo tempo (il destino degli Stuart e la nascita dello Stato moderno) e nell'averne conservato, all'interno del dramma, l'essenza concreta e vitale. Presentazione di Carlo Galli.
I saggi qui raccolti, contraddistinti dalla piacevole scorrevolezza delle lezioni da cui originano, costituiscono l'essenza delle riflessioni di Paul Ricoeur sui temi della memoria e dell'oblio. Ma sono anche un contributo al dibattito storiografico che ossessivamente propone di non dimenticare. Ricoeur propugna una cultura del perdono in cui il passato gravato dalla colpa non viene cancellato o rimosso, ma mediante il riconoscimento del ricordo dell'Altro, ne allevia o toglie il peso. Una ventata d'aria fresca, si potrebbe dire, anche per il nostro paese dove il furore della memoria accende talvolta il dibattito pubblico e impedisce analisi più pacate.
Ognuno di noi ha provato la netta e improvvisa sensazione di aver già vissuto, in un passato indefinibile, situazioni assolutamente identiche. Tale anomalia ha però cominciato ad attirare ossessivamente l'attenzione di scienziati, filosofi e poeti solo a partire dalla prima metà dell'Ottocento. Attraverso l'analisi di poesie di Shakespeare, Rossetti, Verlaine e Ungaretti, delle teorie filosofiche di Bergson, Benjamin e Bloch e di ipotesi mediche del passato e del presente, Remo Bodei offre una ricostruzione delle diverse storie che si intrecciano su questo tema, e propone una rigorosa spiegazione del fenomeno.
Dalle risate confezionate delle sitcom americane al sorriso enigmatico della Gioconda, il libro coglie la radice autentica del comico nella frattura, nella discontinuità, nella contraddizione, nell'anomalia che solleva le quinte della realtà ordinaria, facendoci intravedere le possibilità che vi sono nascoste. Nella risata noi siamo come i personaggi dei cartoon che scoprono, tutto d'un tratto, di camminare sospesi nell'aria (e poi precipitano). Di qui il senso di sollievo e di liberazione racchiuso nel riso, che ci fa prendere le distanze dal mondo così com'è, rovesciandone la forza di gravità.
Incostanza e mutamenti repentini di vita privata e pubblica non lasciano molto spazio alla perseveranza. Che pure orienta i nostri destini a vari livelli: quando ci si applica per portare a termine gli studi o un progetto in cui si crede, o, su un piano più alto, quando si lotta per una società più giusta nonostante le smentite della storia ci spingano ad abbandonare l'idea. Ma che cosa motiva questa virtù, a volte fino al sacrificio personale? Forse la risposta va cercata, appunto, in quella scia di sacro che sembra indissociabile dalla parola. Perseveranza, ovvero come saldare la realizzazione di sé e il bene di tutti.
Dove si trova, se si trova, la linea di demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito?
Biologia, morale, religione, sesso, ambiente: esistono ancora limiti invalicabili nelle nostre vite? Gli sviluppi inarrestabili della scienza vedranno affermarsi un uomo geneticamente modificato, capace di manipolare la vita e la morte, e di svelare gli enigmi della materia e del cosmo. Con quali rischi? Riflettere sui limiti, provare a distinguerli e ribadire la validità di alcuni, come pure interrogare i nostri desideri, obiettivi e spazi di libertà sono tra le sfide più urgenti.
Remo Bodei è professore emerito di Filosofia all’Università di Pisa e insegna alla University of California a Los Angeles. Con il Mulino ha pubblicato anche «Le forme del bello» (1995), «Piramidi di tempo» (2006), «Ira» (2010), «La civetta e la talpa» (2014), «Ordoamoris» (2015).
Mai come oggi, in momenti di crisi drammatica per l'Europa comunitaria, ci si è interrogati sull'esistenza e il carattere di un'identità europea. Questo libro affronta il tema in una prospettiva di lungo periodo, delineando il mutevole rapporto tra le sue diverse componenti, nonché l'alterno gioco tra richiamo al passato e distacco dal passato. Lo fa senza indulgere all'abusato mito delle "radici" o di un'"essenza" europea. Al contrario l'autore mostra come l'Europa sia sempre stata il prodotto di processi molteplici, e come nel tempo la sua identità sia venuta configurandosi diversamente: lungi dall'essere qualcosa di stabile, è destinata a mutare anche in futuro, cosi come è mutata, e profondamente, nel corso dei secoli.
La fiducia è in primo luogo un legame originario: solo perché abbiamo ricevuto amore e sicurezza ne diveniamo capaci. La sperimentiamo quotidianamente nei legami parentali, amicali, sociali, come pure nelle istituzioni, che rendono possibili patti di lealtà anche fra persone estranee. E infine si ha fiducia quando la si ha - in una potenza altra, Dio, a cui ci si affida in ragione d'una promessa di salvezza. Di fronte a un'impossibile autosufficienza, fidarsi, anzitutto come atto di generosità, è un rischio che dobbiamo correre.
A lungo l'umanità si è considerata perfetta, attribuendo le proprie eventuali défaillances all'alienazione portata dalla tecnica o all'azione di entità arcane e malvage come il Capitale e l'Europa. Ma sarebbe bastato un esame di coscienza per capire che il problema era un altro: l'imbecillità, dentro e fuori di noi. L'imbecillità è una cosa seria, a cui sinora non si è dato che uno sguardo distratto, come fosse una cosa per pochi e, soprattutto, per altri. Non è così, e, appena ce ne accorgiamo, i conti tornano, nell'economia, nella società e nella storia. Parte da qui l'irresistibile riflessione del filosofo su questa imbarazzante caratteristica dell'umano. Ce n'è per chiunque: per i titani del pensiero, per i giganti indiscussi della letteratura, per i protagonisti della storia universale. L'umano, insomma, è essenzialmente (e non accidentalmente) un imbecille. Ed è di qui, solo di qui, dal sentirci tutti lambiti dalla grande ala dell'imbecillità, che ha origine il progresso, la lunga avanzata dell'umanità verso il bene - ossia, la sua fuga senza fine dall'imbecillità.
Proprio come l'Idra, il mostro mitologico le cui teste, mozzate da Ercole, avevano il potere di rinascere raddoppiandosi, il capitalismo, un tempo solo occidentale oggi planetario, ricompare sulla scena del mondo riproponendo nuove e più sofisticate forme di schiavitù. Ma se è vero che dai grandi conflitti del '900 il capitalismo è uscito vincitore trionfando su ogni rivoluzione, è altrettanto vero che «l'uguaglianza è una necessità che si ripresenta continuamente, come la fame». Nella trama della storia qual è il posto di questo anelito, proprio delle religioni di salvezza e del comunismo moderno?