
María Zambrano, allieva di José Ortega y Gasset e di Xavier Zubiri all'Universidad Central di Madrid, fu esiliata dopo la guerra civile e viaggiò, peregrinando e nascondendosi, dal Messico a Cuba, da Roma alla Svizzera. Con uno sguardo profondo e delicato, Luigina Mortari compone il ritratto di una vita in fuga e di un pensiero libero: "La filosofia di Zambrano spazia sui paesaggi dell'anima, apre all'immensità del cosmo, addolcisce il discorso con parole di poesia, e per queste sue qualità può sembrare una filosofia dell'intimo. Ma così non è: è filosofia per la vita, non solo per la vita intima dell'anima ma per la vita con gli altri, per quella vita che è convivere". Il pensiero di Zambrano è magmatico e denso di mistero. La sua parola è melodia. La scommessa è la rinuncia alla sicurezza illusoria di ogni sistema, alla pretesa divina di spiegare l'essenza delle cose, per cercare un pensiero capace, semplicemente, di risuonare. Ispirata dalla tradizione pitagorica ed eraclitea, Zambrano propone un metodo che "non è una cosa della mente ma della vita, tutta la vita è un cammino di saggezza". E inaugura così una nuova, rivoluzionaria postura per pensare l'esperienza.
Per tutta la vita Jean Baudrillard si è misurato con la tradizione del pensiero razionale occidentale, cercando di prenderne le distanze. L'ossessione millenaria della filosofia per la realtà e il tentativo di eliminare dal mondo l'apparenza e l'illusione si sono rivelati un vero fallimento: oggi tutto si presenta ai nostri occhi come il regno del simulacro e della simulazione. Con lo sviluppo delle tecnologie digitali, la realtà sociale che conta è quella inquadrata da un qualche obiettivo. Sullo schermo del cellulare la nostra rappresentazione mediatica diventa sempre più importante, mentre la confusione tra il reale e l'immaginario aumenta. La razionalità non sopporta questo paradosso, perché non tollera l'incoerenza. Il pensiero, scrive Baudrillard, "se non aspira più al discorso della verità, deve prendere la forma di un mondo da cui la verità si è ritirata". Vanni Codeluppi getta luce sul pensiero radicale del grande maestro, guidandoci nella rete dei suoi continui rimandi interni come in un ologramma, dove ciascuna parte rinvia sempre al tutto e ogni singolo elemento contiene l'informazione totale. In un dizionario che attraversa i meandri più attuali dell'opera di Baudrillard, la sua eredità si libera di ogni semplificazione e ci offre una chiave di lettura della nostra incapacità di uscire dagli inganni della ragione moderna.
Ciascuno di noi ha due vite, e la seconda comincia proprio nel momento in cui realizziamo di averne solo una. Dopo "Essere o vivere", François Jullien ritorna con un saggio che analizza quel fondamentale momento di rottura in cui, mentre esistiamo, all'improvviso diventiamo pienamente consci di essere vivi. È l'inizio di una nuova vita, che germoglia dentro la vita stessa. Ed è anche un grande colpo di fortuna. Jullien comincia questo percorso filosofico ed esistenziale a partire da una considerazione tanto semplice da sembrare ovvia: a mano a mano che il tempo passa e la vita avanza, perché scegliamo di continuare a vivere? Una domanda universale, valida per tutti. Eppure, una domanda dalle mille risposte, spaventosamente enigmatica. La saggezza cinese, capace di pensare l'immanenza e la trasformazione, ma anche i "Dialoghi" di Platone sono i punti cardinali di Jullien, che ci guida lungo un percorso di consapevolezza, senza accontentarsi mai di risposte banali, e cerca una comprensione più alta e più ambiziosa, in grado di conquistare il senso della nostra seconda vita. La seconda vita si trova proprio qui, nel mezzo del tempo quotidiano della vita ordinaria. Per conquistarla dobbiamo innanzitutto interrogarci sulle certezze che consideriamo verità. Non le verità della scienza, ma quelle della vita di tutti i giorni, che diamo per scontate. E magari metterle alla prova, rimetterle in discussione alla luce della nostra esperienza. Allora scopriremo che alcune certezze sono negative e ottenebranti, e che la vita è apertura, è infinita pienezza di possibilità. Uno sguardo a questo nuovo orizzonte e possiamo cominciare a vivere davvero.
Una riflessione sull'esperienza del dolore in cerca dei luoghi comuni e topoi della tradizione greca e ebraico-cristiana dell'Occidente. Una ricerca sulle tensioni presenti nell'universo del dolore e sulle aporie del futuro. Un'occasione terapeutica di individuazione della giusta distanza per tener testa al proprio patire individuale.
Dell'anima è stato detto di tutto: che è mortale o immortale, che può salvarsi o dannarsi, conoscere la verità o cadere nell'errore, che eleva e nobilita tutto ciò che nell'uomo è poco nobile, cosicché anche il desiderio non è solo dei corpi. Due secoli fa si pensò che potesse ammalarsi, proprio come il corpo, e richiedere medici dell'anima: nacquero la psichiatria, la psicoanalisi, la psicologia, che tolsero all'anima la sua aureola e contribuirono a disperderne la verità nei vari saperi. Ma per Umberto Galimberti è necessario andare al di là del linguaggio della razionalità e delle scienze psicologiche. Bisogna recuperare l'irrazionale che abita la profondità dell'anima e ci fa accedere alla radice da cui si dipartono sia la ragione sia la follia, giungere al fondamento non storico della storia. Oggi non conosciamo più l'anima universale che gli antichi descrivevano ai limiti dei due mondi, dello spirito e della materia: ci sono solo anime individuali rese asfittiche dall'incapacità di correlare la loro sofferenza quotidiana con il dolore del mondo. Ogni indagine sull'anima implica quindi per Galimberti un esplicito riconoscimento della sua dipendenza da ambiti culturali più vasti, un dialogo ininterrotto con tutte le forme di cultura e gli scenari storico-culturali che possono dare modelli interpretativi, e il recupero della visione degli antichi che avevano dato un'anima sia all'uomo sia al mondo, e nell'armonia delle due anime vedevano la bellezza.
"I saggi qui raccolti sono variazioni sul tema della frattura che si apre nell'esistenza e nella cultura quando l'essere umano non può aprirsi al mondo e quindi al presente. I vari tipi di crisi, dell'autorità, della libertà, dell'istruzione, persino del pensiero, sono riportati alla fondamentale lacuna dell'agire. Questa assume l'aspetto decisivo di una interruzione della tradizione. (...) Un aforisma di René Char fa da epigrafe ideale di questo libro: "La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento". Non c'è modo migliore di illuminare il paradosso tipicamente moderno, per cui ogni generazione, in una cultura educata nella storia più di ogni altra, dimentica le motivazioni di quelle che l'hanno preceduta." (Introduzione di A. Dal Lago)
Richard David Precht, che insegna filosofia in Germania e negli USA, accompagna il lettore in un entusiasmante viaggio filosofico: 35 località per 35 domande. Si parte con "Che cos'è la verità?", l'interrogativo che riecheggia a Sils Maria, al quale si risponde sulle note di Lucy in the Sky with Diamonds (ma anche con l'aiuto di Nietzsche...). L'itinerario geografico-filosofico si conclude (provvisoriamente) con un'altra domanda, "La vita ha un senso?". Il quesito risuona all'interno della macchina di Matrix e mobilita il sapere dei fratelli Wachowski e Stanislaw Lem, di Platone e Tolstoj, di Cartesio e Luhmann, Douglas Adams e Lewis Carroll... Richard David Precht conosce i maestri del pensiero, ascolta i Beatles e il rap, è fanatico di cinema, ama le fiabe e la fantascienza, è aggiornato sulle più recenti scoperte scientifiche. Soprattutto, è in grado di fare capire, in termini chiari e spesso divertenti, senza alcuna pedanteria, le grandi questioni che da sempre si pongono gli esseri umani, le stesse domande alle quali, da sempre, i filosofi hanno cercato di dare una risposta.
"Le virtù hanno un ruolo necessario nella vita dell'uomo così come il pungiglione nella vita delle api": ma come facciamo a giudicare se qualcosa è "buono" per gli esseri umani? Per gli organismi viventi in generale, è buono ciò che serve per nutrirsi, vivere e prosperare, vale a dire ciò che serve a realizzare le potenzialità della specie. Tuttavia, nel caso particolare dell'uomo, questo criterio di giudizio appare inadeguato, perché non si può concepire l'essere umano in senso soltanto biologico. Esistono attività di pensiero e sfere di vita - la capacità di usare l'immaginazione, di cantare o danzare ad esempio - senza le quali gli esseri umani potrebbero sopravvivere e riprodursi, ma non potrebbero raggiungere un pieno sviluppo. Ricollegandosi a una tradizione di pensiero che attraverso Tommaso d'Aquino risale sino ad Aristotele, Philippa Foot si interroga in queste pagine su che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, sulla virtù e sul vizio, sulle basi stesse del giudizio morale, e giunge a individuare i tratti che caratterizzano efficacemente la forma di razionalità pratica specificamente umana.
I lavori di Kurt Gödel (1906-1978), considerato il più grande logico dopo Aristotele, uniscono la trasparenza della logica agli oscuri miraggi della magia, una combinazione da cui deriva il fascino tutto speciale del loro autore, un personaggio schivo e imprevedibile che, con Einstein, Schrödinger, von Neumann, Crick e pochi altri, ha a buon diritto un posto tra i protagonisti del Novecento responsabili della chiusura definitiva con il passato e della proiezione nel futuro. Ma queste grandi figure della scienza sono spesso ridotte a simboli caricaturali di una divulgazione semplificata, così che, se per Einstein si dice che tutto è relativo, nel caso di Gödel si citano i limiti della ragione, o addirittura la giustificazione della fede. Evitando ogni imprecisione e approssimazione, Gabriele Lolli sgombra il campo dalle versioni inesatte ed esagerate del pensiero gödeliano facendo luce, con uno stile chiaro e accessibile, sui temi che più colpiscono i non specialisti: la completezza logica, l'incompletezza e l'indecidibilità della matematica formale, la teoria degli insiemi, le origini dell'informatica, la filosofia della matematica.
La storia dell'opposizione bene/male coincide con la storia stessa dell'umanità. Non solo, ma bene e male sono sempre stati assunti in una costellazione di concetti affini e interdipendenti: da un lato bene, vero, innocenza, ordine, benessere, felicità; dall'altro male, falso, malvagità, disordine, sofferenza. A partire dal pensiero antico (Platone e Aristotele) e da quello cristiano (Agostino e Tommaso), l'autore ripercorre tutta intera la riflessione filosofica che l'Occidente ha svolto su tale opposizione, per approdare infine ai pensatori contemporanei del "dopo Auschwitz", fra i quali Jonas, Arendt e Ricoeur.
Oggetto del volume, che si presenta come un'elegante scorribanda all'interno di qualche millennio della cultura occidentale, è la storia di una famiglia di metafore connesse all'idea del mondo naturale come cosa da leggere, che Blumenberg traccia per episodi salienti a partire dal biblico "libro della natura" scritto da Dio per arrivare all'interpretazione dei sogni freudiana e al DNA come codice da decifrare. Raccontata letteralmente per immagini, per emblemi, quella che si disegna in questo libro è la storia della conoscenza e del rapporto fra l'uomo e il mondo.
E' un flusso potente di energia, che può esplodere per un'ingiustizia subita, un amore ferito, una speranza delusa o un sentimento di vergogna; è una passione forte che può sconvolgere la vita del singolo o il corso della storia, e che spesso si incrocia con l'odio, il risentimento e la superbia, accompagnandosi al desiderio di vendetta o di riscatto. Molteplici strategie sono state attivate per inibire, canalizzare o sublimare il suo impeto spesso selvaggio. Lo sguardo del filosofo, cogliendone il senso e offrendone una spiegazione teorica, getta luce anche sulle infinite manifestazioni di questo nodo dell'anima, sulle sue origini naturali e culturali, sulle sue declinazioni storiche, politiche e sociali, essendo l'ira in grado di mobilitare sette, partiti, folle o interi popoli. Una forza dirompente, non sempre negativa, che può essere elaborata e riportata a proporzioni adeguate alle circostanze e a criteri di giustizia.
Remo Bodei, professore di Filosofia nella University of California, Los Angeles, ha insegnato a lungo alla Scuola Normale Superiore e all'Università di Pisa. Tra le sue numerose pubblicazioni: "Geometria delle passioni" (Feltrinelli, VII ed. 1991), "Destini personali" (Feltrinelli, III ed. 2002), "Paesaggi sublimi" (Bompiani, 2008), "La vita delle cose" (Laterza, IV ed. 2009); con il Mulino "Le forme del bello" (II ed. 2005), "Ordo amoris" (III ed. 2005) e "Piramidi di tempo" (2006).

