
La centralità moderna del soggetto ha sigillato la dignità di ogni singolo venire al mondo: umani si nasce. Tale conquista, però, non ha spostato di un millimetro la nostra resa all'insignificanza della destinazione di questo nascere: l'umano è un effetto senza causa adeguata - praticamente un miracolo - ma la sua morte azzera tutto. Insomma, si nasce per niente. Non abbiamo il coraggio di dirlo ai figli, ma ci siamo convinti, dati scientifici alla mano, che il passaggio della nascita non si ripeterà in nessun altro modo. Eppure, nemmeno l'astrofisica, oggi, lo giurerebbe in tribunale. I segnali più antichi dell'ominizzazione della vita della coscienza coincidono con la ritualizzazione della morte come passaggio: come se lo sapessimo da sempre. Il cristianesimo, poi, ha introdotto la generazione e la risurrezione nell'intimità dell'essere divino, aprendovi la destinazione per un'umanità imperfetta. Impensabile anche per la religione più alta: eppure la fede cristiana non si muove da lì. Credenti o non credenti, quanti siamo, abbiamo forse dilapidato l'eredità migliore della nostra storia?
Josep Maria Esquirol è il filosofo della prossimità. Contro il narcisismo e il solipsismo di questi nostri tempi disorientati e confusi, costruisce una riflessione sull'uomo e il mondo utilizzando, come gli è consueto, una metafora efficace: siamo tutti piccole verticalità che restano in piedi l'una grazie all'altra e nel calore della prossimità e della non-indifferenza riusciamo ad avvertire l'infinito che ci attraversa e a trovare la maniera di rispondergli generando legami e senso. Una cosa può avere un ruolo fondamentale nel coltivare questa attitudine alla risposta, nel sostenere ognuno nel proprio cammino verso una vita matura e feconda: è la scuola, intesa non solo come istituzione, ma, nel suo registro più ampio, come luogo in cui si allena l'attenzione alle cose del mondo e agli altri, un luogo dedicato all'insegnare e all'educare nel loro senso originario di indicare, mostrare e aiutare qualcuno a trovare in sé risorse e modi. È questa la 'scuola dell'anima', un'educazione alla cura che può esercitarsi nel luogo concreto di un edificio scolastico, ma che può anche durare tutta la vita, con la porta aperta per tutti e per ogni età. «Andare a scuola. Trovarvi qualcuno che ti aiuta a vedere che puoi, che sei origine. Prestare attenzione alle cose e cominciare a scorgere la profondità del mondo. Diventare manovale del mondo. Sostenere gli altri. Persistere e rispondere alla rivelazione del mondo e della vita. E trovare, così, la buona maniera di vivere».
Molti dei testi che introducono alla filosofia hanno un carattere storico. In questo volume, invece, l'autore segue un percorso tematico, attraverso l'esame e la lettura di diversi nodi concettuali (l'essere e la libertà, il male e la giustizia, la coscienza e la verità) che hanno accompagnato il pensiero dell'uomo attraverso i secoli. Il concetto, in filosofia, è una rappresentazione razionale di una realtà complessa, potenzialmente infinita, e nasce quando si pensa essa nella sua totalità, quando si ragiona secondo il tutto. Questo libro è dunque un approccio all'esercizio del pensiero critico sui temi più importanti della filosofia, per coglierne l'importanza e concettualizzarli, al fine di imparare a ragionare meglio e affinare quegli strumenti necessari a leggere la complessità, argomentando in modo corretto ed efficace il proprio pensiero.
DESCRIZIONE: L'interrogativo sull'uomo è fondamentale per chi voglia comprendere se stesso; esso anzi costituisce un problema di fondo anche per il pensiero filosofico contemporaneo, che cerca di conoscere l'uomo nella sua intima essenza. Oggi più che mai si sente l'esigenza di un'antropologia filosofica; essa richiede il posto che le compete nell'insieme dell'insegnamento e della ricerca, insidiata com'è da pretese egemoniche delle «scienze umane» in senso puramente empirico, da un lato, e contestata dall'altro da alcuni orientamenti esclusivamente fideistici di antropologia teologica.
Questo volume è derivato da corsi di lezione tenuti dall'Autore all'Università di Innsbruck, qui pubblicate in forma ampliata e completa. Il suo primo intento è quindi di servire agli studenti; vuole essere inoltre uno strumento per docenti e quanti lavorano nell'università; infine si rivolge a quella fascia più ampia di persone che cercano un orientamento riguardo al problema della realtà dell'uomo. Il tenore del libro è volutamente di carattere non troppo specialistico, e perciò scritto in maniera leggibile e didatticamente chiara.
COMMENTO: La settima edizione del volume, derivato dai corsi tenuti dall'autore all'Università di Innsbruck, che affronta il problema della realtà dell'uomo, scritto in maniera leggibile e didatticamente chiara.
EMERICH CORETH ha insegnato filosofia presso l'Università di Innsbruck. Tra le sue opere ricordiamo: Grundfragen des menschlichen Daseins, Innsbruck 1956; Metaphysik. Eine methodisch - systematische Grundlegung, Innsbruck 19642; Grundfragen der Hermeneutik, Freiburg im Br. 1969 (alcune tradotte in spagnolo), oltre ai numerosi articoli su ontologia e antropologia in importanti riviste o miscellaneee.
Cela un lato irrazionale il tema dell’immortalità: è la paura della morte alle origini dei culti primitivi, nonché delle religioni classiche e dei monoteismi – ebraismo, cristianesimo, islamismo. Tuttavia è la ragione che ha tradotto quella stessa speranza d’immortalità nel rigore delle categorie filosofiche: a partire da Platone, che nella fine di Socrate elogia l’esercizio filosofico della morte, il tema dell’immortalità è stato diversamente declinato nei grandi sistemi metafisici, cercandone i segni, trovandone le prove.
Il filosofo ebreo-tedesco Moses Mendelssohn nella sua opera Il Fedone, qui proposta in prima edizione italiana a cura di Francesco Tomasoni, riprende le argomentazioni platoniche nutrendole delle riflessioni filosofiche successive per renderle più efficaci, riscrivendo il Fedone in tre dialoghi fra Socrate e i suoi amici affermando l’immaterialità dell’anima.
Lo spirito illuministico che risuona in queste pagine – il tentativo di elevare la figura di Socrate a universale o l’idea di Dio a concetto comune a tutte le culture e le confessioni religiose – destina loro una posterità: non a caso Kant le cita nella Critica della ragion pura. Su un tema tanto scandagliato, questi dialoghi rimangono un classico per la scommessa sulla ragione che vi traluce.
DESCRIZIONE: Uscita postuma nel 1981 a cura di Fulvio Tessitore, quest’opera s’è imposta subito come il capolavoro di Piovani. Un testo dove confluiscono i suoi pluridecennali e innovativi scandagli su storicismo, esistenzialismo e filosofia morale nel pensiero contemporaneo, ed assumono un profilo teoretico spesso nascosto nelle opere precedenti. Qui è la categoria di «assenza» – deesse – ad assumere una funzione centrale: nell’uomo v’è una costitutiva «difettività» che pungola a costruire possibili orizzonti di senso, pur nella consapevolezza della loro fragilità. L’«assenza» è quindi il paradossale fondamento di un’etica della finitudine: «gli esistenti sono in quanto si fanno, il loro farsi è un produrre effettività, essi non possono essere in quanto sono, ma in quanto divengono e il loro divenire è un continuo difendersi dall’inesistenza, una continua assunzione di coscienza della precarietà combattuta». Sono pagine dove il dialogo con Pascal, Kant, Heidegger, Nietzsche delinea uno «storicismo esistenziale», un modello tragico della vita e una teoria pluralistica dei valori. Una prospettiva che – memore della teologia negativa – riconosce nella responsabilità dell’agire morale la religiosità dell’esistenza.
COMMENTO: Un classico della filosofia morale italiana contemporanea in una nuova edizione curata da uno dei suoi allievi. I temi trattati: l'uomo, la finitezza, la morte, l'agire morale...
PIETRO PIOVANI (1922-1980), tra i maggiori filosofi italiani della seconda metà del Novecento, ha insegnato a lungo all’Università di Napoli. Tra le sue opere ricordiamo: Filosofia e storia delle idee, Conoscenza storica e coscienza morale; Giusnaturalismo ed etica moderna; Principi di una filosofia morale. Presso la Morcelliana: La teodicea sociale di Rosmini.
DESCRIZIONE: Ha uno statuto proprio la filosofia della religione? In quale rapporto sta con la tradizione inaugurata da Kant, che fa della religione una forma della razionalità umana, e con quella fenomenologica che invece vede nella religione un fenomeno storico, irriducibile ad altro?
Domande che guidano l’autore nella ricognizione e ripensamento di autori e temi del Novecento: Rudolf Otto, Martin Heidegger, Mircea Eliade, i dibattiti sulla demitizzazione, la morte di Dio, l’ontoteologia, la postmodernità. Un percorso che diviene proposta di una filosofia della religione come ermeneutica del religioso, nelle sue contingenze storiche, confessionali e cultuali. Una prospettiva ove l’ascolto e l’interrogazione dei classici si trasforma in originale interpretazione dei loro testi e della cosa stessa in questione.
COMMENTO: Una introduzione alla filosofia della religione alla luce dei grandi dibattiti contemporanei: Heidegger, Gadamer, le teorie del sacro, le sfide del nichilismo...
PIETRO DE VITIIS è professore ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma 2 “Tor Vergata”. Le sue ricerche si sono orientate verso tematiche di filosofia della religione nel posthegelismo, a partire da Schelling e dal teismo speculativo dell’Ottocento (I.H. Fichte e Ch.H. Weisse) fino all’ermeneutica contemporanea, con particolare riferimento a Heidegger e Gadamer, e al decostruzionismo. Principali pubblicazioni: Heidegger e la fine della filosofia (1974), Immanuel Herman Fichte. L’“Aufhebung” del panteismo hegeliano (1978), Ermeneutica e sapere assoluto (1984), Il problema religioso in Heidegger (1995), Prospettive heideggeriane (Morcelliana 2006).
"Briciole filosofiche" è l'opera con la quale Kierkegaard nel 1844 intende conferire un "significato decisivo all'esistenza" sulla base della sola ipotesi cristiana, e giustificarlo dal punto di vista filosofìco. Il curatore del volume, Umberto Regina, evidenzia come in questo titolo sia condensato il senso stesso della ricerca kierkegaardiana. I due termini semplicemente accostati stanno a dire che se anche la quantità è poca, la qualità è tutto: è filosofia, appunto. In aperta polemica contro ogni sistema idealistico di tipo hegeliano, Kierkegaard si sottrae alla logica dell'identità per valorizzare il pensiero della differenza: essere coscienza in grado di cogliere la propria temporalità al cospetto dell'eternità. L'eterno dona, insieme alla verità, la condizione per riceverla: v'è un'asimmetria che si manifesta nel "paradosso", ovvero la "passione del pensiero per ciò che non può pensare". Ad essere rovesciata è la tesi parmenidea della coincidenza fra l'essere e il pensare nell'identità del tutto; ciononostante, è la stessa filosofia a mostrarci l'irriducibilità del paradosso, come passione per ciò che è eccedente - spiega Regina - "propria di chi è disposto a compiere qualsiasi sacrificio intellettuale pur di non aderire a una verità nemica dell'esistenza" quale sarebbe l'idea di "sostanza": "l'intelletto e il paradosso vogliono la stessa cosa, ma possono volerla solo nel momento". Il momento è quello della "fede", nella quale la loro inconciliabilità può divenire "intesa"
Confessarsi è un dialogo, anche quando è parlare di se con se stessi. Questo saggio intende esaminare gli slittamenti di significato di uno stesso genere letterario - le Confessioni - confrontando le celebri pagine di Agostino e di Rosseau: in gioco è il dialogo interiore nel passaggio dalla confessio agostiniana alla moderna "storia dell'anima", e con esso la costituzione dell'identità e della trascendenza, alla dura prova dell'aterità interiore, del male e della colpa. Temi che, sorpresi qui nella loro dimensione dialogica, fanno affiorare la specificità della "confessione" in pensatori fra loro così distanti. Un approccio capace, al contempo, di far luce sul reciproco implicarsi, nell'opera di Rosseau, di scritti autobiografici e morali, politici e padagogici.