
Cos'è successo in questi anni che hanno aperto il nuovo millennio? Che senso dare ad accadimenti catastrofici o irrisori, tragici o futili, alle guerre, alle mode, alle nuove parole d'ordine? Come tenere insieme nella lingua di ogni giorno fatti, notizie e concetti incomparabili? Con cadenza diaristica Rocco Ronchi, filosofo e comunicatore internettiano, ha registrato settimana dopo settimana gli avvenimenti planetari - dall'attacco terroristico al ritrovamento di un polpo gigante su una spiaggia cilena -, e le parole-chiave attraverso cui quegli avvenimenti diventavano leggibili. L'attualità è opaca. I media aggravano questa specie di accecamento. La comunicazione diventa il principale campo di battaglia di un'umanità sempre più divisa. Per questo è necessario rivolgere l'arma della critica contro la banalizzazione della lingua, che è la premessa di ogni altra distruzione morale e materiale. Non per aggiungere un'altra opinione alle tante già espresse, ma per compiere ogni volta da capo, con semplicità, l'esercizio filosofico praticandolo sui materiali della vita quotidiana. Il risultato è un lessico di inesauribile ricchezza, che può essere consultato in vari modi: per argomento, per cronologia (2000-2006), attraverso i personaggi della scena pubblica. È al tempo stesso un diario speculativo e un dizionario della contemporaneità che, nelle sue centosessantasette voci, coniuga concisione, profondità e chiarezza.
"I princìpi primi, gli assiomi, le regole di calcolo, le procedure di formalizzazione, le proposizioni e i loro legami sintattici, tutto ciò che, in breve, costituisce il contenuto e le strutture delle scienze obbiettive, presuppongono gli uomini esistenti (scienziati e no) coi loro bisogni materiali, con le loro necessità di ordinata convivenza, con le loro aspirazioni alla chiarezza e alla comprensione razionale. Non c'è scienza senza coscienza e non c'è coscienza senza l'essere dell'uomo al mondo".
"La resistenza alla legge del tempo, l'isolamento dalla relazione o l'inserimento in questa in modo da renderla ulteriormente impossibile sono le forme diverse di presentazione del male, la cui possibilità è interamente racchiusa nell'ambito della relazione esistenziale. In fondo, quello che si dice male è l'errore sotto il profilo etico e l'errore, sia etico che gnoseologico ed estetico, è sopraffazione della relazione da parte di un termine della relazione stessa, è la superaffermazione solitaria di un termine della relazione che annulla la relazione. Errare è deviare, uscire dall'ordine e dalla coerenza relazionale".
Il Medioevo fu realmente un’epoca buia, barbara e priva di vitalità culturale, come spesso è stato descritto e considerato? Si tratta di un pregiudizio che, fin dal Rinascimento, ha bollato con un marchio quasi indelebile il periodo che va dalla dissoluzione dell’Impero Romano alla fine del XV secolo. La realtà storica è invece ben diversa e proprio la filosofia, in particolare quella cristiana, è in grado di illuminare questi secoli e svelarne tutta la ricchezza culturale. Alla sapienza dei medievali questo agile volume affida dunque un compito importante: far camminare il lettore contemporaneo al fianco di giganti del pensiero e della fede, come san Paolo, sant’Agostino e san Tommaso. I loro ragionamenti cristallini, la loro sincera ricerca della Verità e l’appassionata contemplazione della Somma Bellezza condurranno a dissolvere le tenebre di un’epoca considerata “oscura” e restituiranno al Medioevo la dignità e il rispetto che merita.
La vita non è forse la cosa più naturale al mondo? Eppure, dagli albori del pensiero filosofico l'uomo s'interroga su come viverla. "Non mi ci raccapezzo", ammetteva Wittgenstein, esperienza che non ci è certo estranea. "Pure Kant si trova a disagio di fronte alla confusione che regna tra i più diversi maestri dell'arte di vivere". Sì, perché la vita può essere oggetto di una vera e propria arte. Se "l'escursione nella filosofia", come argomenta Wilhelm Schmid in questo saggio, "inizia quando l'esistenza viene messa in questione", l'antichità si è interrogata a lungo su come vivere: dalle scomode domande di Socrate all'idea del bene di Platone, dalla virtù aristotelica alle scuole epicuree, stoiche, fino ai latini Seneca, Marco Aurelio, Cicerone. E dall'epoca moderna in poi che l'arte di vivere diserta la scena, quando certezze e criteri tradizionali si dissolvono progressivamente. L'uomo moderno procede a tentoni, saggiando, rivela Montaigne, grande artefice della sua riscoperta. Essa prende allora una via sperimentale, "senza sapere davvero dove si possa essere condotti percorrendola". Oggi il filosofo tedesco Schmid, che dell'arte di vivere ha fatto il perno della sua ricerca, ci guida attraverso la sua storia e le sue poste in gioco.
Eccentrico, pigro, contraddittorio, smemorato, Montaigne è il filosofo che infranse un tabù e parlò di sé in pubblico. Dopo oltre quattrocento anni, i lettori continuano a tornare da lui in cerca di compagnia, saggezza, intrattenimento - e di se stessi. Nella sua avversione per la crudeltà, e in generale per qualunque ambizione sovrumana, Montaigne ci esorta a salvaguardare la nostra umanità nelle epoche buie: rappresenta una mai spenta vocazione alla libertà e un antidoto contro ogni forma di esaltazione. E una fonte preziosa di piccoli consigli: leggere molto, mantenendo però la mente sgombra; essere conviviali, riservandoci però un "retrobottega" tutto nostro; guardare il mondo da angolazioni diverse, evitando così di irrigidirsi nelle proprie convinzioni. Non trovò mai una risposta definitiva, ma non smise di porsi la domanda: Come vivere? Ossia: come relazionarsi agli altri? Come affrontare la violenza? Come superare la paura della morte? Come rassegnarsi alla perdita di qualcuno che amiamo? Attraverso Sarah Bakewell, Montaigne ci ammaestra nell'arte più ardua di tutte: vivere bene quest'unica vita. Rifiutandosi di lasciarlo confinato nel suo tempo, Bakewell inaugura un nuovo modo di scrivere biografie e ci mostra che capire Montaigne è un po' come capire noi stessi.
La sensazione di vivere in un'epoca di decadenza e confusione, in cui l'uomo sembra aver smarrito le proprie certezze sul senso dell'esistenza e del suo ruolo nel mondo, è un malessere trasversale a ogni periodo storico, e in particolare per gli intellettuali è sempre stato motivo di profonda inquietudine. Ma quello che a proposito di questa "nausea" scrive Albert Schweitzer, premio Nobel per la Pace e filosofo di raro acume, suona per noi oggi quanto mai intimo, come qualcosa che ci riguarda da vicino. Negli ultimi secoli l'umanità ha conosciuto un progresso che non ha precedenti nella storia, ma allo stesso tempo ha smarrito il senso di cos'è la civiltà, e il "peccato originale" alla base di questo vuoto è il fallimento della filosofia, che non è stata in grado di attendere a quella che fin dagli albori del logos è stata la sua vocazione: fondare, giustificare e diffondere una visione del mondo che permettesse di avere chiaro l'orizzonte di cosa ha valore e cosa no, di cosa ha senso e cosa no. Dopo l'avvento delle scienze naturali, che sembravano in grado di descrivere il mondo meglio di quanto tutta la storia del pensiero avesse fatto fino a quel momento, la filosofia si è ridotta in uno stato di sudditanza, convincendosi che il suo ruolo fosse esaurito, e da pensiero attivo è diventata storia della filosofia, una galleria di nature morte che non affrontano più le questioni fondamentali su cui gli individui dovrebbero riflettere.
E se un giorno chi detiene le chiavi dell'economia mondiale prendesse le sue decisioni non solo ricercando il profitto, ma lasciandosi guidare da principi morali universali? Forse il benessere sarebbe più diffuso e nei momenti di crisi alla fine si conterebbero meno vittime... Questa prospettiva è decisamente di là da realizzarsi. Ciò non toglie che si possa cominciare a porre le basi ideali per una fondazione morale dell'economia, che abbia al suo centro l'attenzione per l'uomo e - esigenza non più rinviabile - la cura dell'ambiente. In questo libro si apre una riflessione a tutto campo che invita gli attori economici a chiedersi non solo che cosa sia più vantaggioso, ma che cosa sia più giusto fare. Questa domanda fondamentale viene via via declinata in interrogativi più specifici: è vero che tutto può essere comprato e venduto? Bene e utile coincidono? L'interesse di chi bisogna perseguire nella propria iniziativa imprenditoriale? L'avidità è il motore del progresso oppure un vizio? In quale misura sono accettabili le diseguaglianze economico-sociali? Che tipo di uomo vuole essere il businessman? Quale rapporto ha la ricchezza con la felicità? Quali valori sono in gioco nell'attività economica? Che cosa si intende per sviluppo, e lo sviluppo di chi si deve ricercare? Lungo questo percorso, a segnare i punti fermi del ragionamento, si ritrovano alcuni imperativi morali, che intendono offrire un orientamento per capire come rendere eticamente corretto il proprio agire economico. Da questa prospettiva l'etica e l'economia non sono discipline separate o addirittura in competizione tra loro, ma modalità di intervento sulla realtà in dialogo e mutua collaborazione, entrambe dirette verso il «bene», concetto che è tanto più urgente riscoprire quanto più oggi suona fuori moda e privo di significato.
"Come leggiamo nell'introduzione, anche 'Los bienaventurados', 'I beati', l'ultima opera di Maria Zambrano pubblicata prima della sua morte (1991), vuole realizzare una 'conoscenza poetica', ossia un genere di sapere che nasce dalla simbiosi di ragione e passione, lucidità intellettuale e trasporto emotivo. Un sapere, un pensiero, dunque, che potremmo definire 'creaturale', anzi, con la Zambrano, 'viscerale', e il cui organo a un tempo conoscitivo e creativo è una 'ragione poetica' che applica un metodo 'totale', valorizzando l'intuizione e la rivelazione senza rinnegare l'esigenza di chiarezza da cui è da sempre animata la filosofia. Una ragione così intesa, che Maria Zambrano chiama anche 'logos sotterraneo' o 'logos embrionario', alimenta l'opera della pensatrice andalusa sin dai suoi inizi. Le pagine de 'I beati' mostrano molto efficacemente come la ragione poetica trovi il suo veicolo ideale nella messa a fuoco e nell'interpretazione di alcuni simboli fondamentali: la serpe-vita, il ponte-speranza, l'esilio come espressione della perdita di identità necessaria all'acquisizione di un'identità più intera, i 'beati' come incarnazione del superamento dell'antitesi tra pensiero e vita. Nel loro scaturire dall'azione congiunta di riflessione e immaginazione, e come mette esemplarmente in chiaro un altro di essi, il simbolo della bilancia, questi simboli sono insieme seme e frutto della simbiosi, anzi della 'danza', tra sentire e capire, tra poesia e filosofia." Carlo Ferrucci
"Come i greci insegnavano che conoscenza è reminiscenza, così la filosofia moderna insegnerà che tutta la vita è una ripresa. [...] Ripresa e reminiscenza rappresentano lo stesso movimento ma in direzione opposta, perché ciò che si ricorda, è stato, ossia si riprende retrocedendo, mentre la vera ripresa è un ricordare procedendo. Perciò la ripresa, ammesso che sia possibile, rende l'uomo felice, mentre la reminiscenza lo rende infelice, a condizione però che l'uomo si dia tempo di vivere e non cominci appena nato a trovare un pretesto per riandarsene, magari con la scusa di aver dimenticato qualcosa. Il solo amore felice è l'amore-ricordo, ha detto un certo scrittore. Bisogna convenire che è giusto, purché non si dimentichi che esso al principio ha reso l'uomo infelice. L'amore-ripresa è in verità il solo amore felice perché non porta con sé, al pari dell'amore-ricordo, l'inquietudine della speranza, né la venturosa trepidazione della scoperta, né la commozione della rimembranza, ma soltanto la felice certezza del momento. La speranza è un vestito nuovo fiammante, che non fa pieghe né grinze, ma non puoi sapere se ti va, né come ti va, perché non l'hai mai indossato. Il ricordo è come un vestito smesso, per quanto bello non puoi indossarlo, perché non ti entra più. La ripresa è una veste che non si può consumare, che non stringe né insacca, ma dolcemente aderisce alla figura. La speranza è una bella fanciulla che ci guizza via dalle mani."