
Diversi sono i percorsi e diversi i temi che convengono in questo volume: dalla finitudine dell’esistenza all’incontro col sacro, dalla declinazione drammatica del tempo agli argomenti risolutivi della metafisica, dalla concettualità speculativa al linguaggio dell’analogia e della metafora, dall’identità della coscienza religiosa al suo confronto con i moduli più propri del sapere filosofico. Tuttavia la molteplicità dei percorsi obbedisce a un’unica intenzione speculativa, che per se stessa poteva, appunto, dispiegarsi solo per lati e per approcci concentrici. I principi della tradizione classica vengono così a coniugarsi con i metodi che la modernità, da Cartesio a Husserl, ha via via affinato. Ritorna in tal senso l’analisi della vita coscienziale, orizzonte invalicabile in cui si decide del senso stesso dell’essere. Ma proprio risalendo alle condizioni ultime della coscienza, la ricerca di Melchiorre giunge al versante più alto della domanda filosofica, dove la fenomenologia si traduce in metafisica, dove da ultimo si fa presente il richiamo dell’originario, del primo Principio dell’essere. L’asserto del Principio deve poi incrociarsi con la finitudine e con la storicità dei linguaggi: la sua dizione trapassa, infine, nei modi della concettualità analogica o in quelli dell’espressione poetica, nella ricerca dei rigori logici e insieme nel circolo delle letture ermeneutiche. L’incontro col sacro resta dialetticamente teso fra parola e silenzio. Ed è, insieme, sempre approdo e rinvio, contemplazione e distanza.
Virgilio Melchiorre è nato a Chieti nel 1931. Ha insegnato Filosofia morale presso l’Università di Venezia e presso l’Università Cattolica di Milano, ove ora insegna Filosofia teoretica. Ha iniziato le sue ricerche con alcuni studi su Kierkegaard, volgendosi poi a Kant, Hegel, Marx, Gramsci, Mounier, Maritain, Husserl, Heidegger, Maréchal. Sul piano teoretico la sua ricerca è volta a coniugare il metodo della fenomenologia trascendentale con i grandi temi della metafisica classica. In questa direzione ha approfondito le costituzioni del pensiero moderno portandole alla possibilità di fondare sia una nuova interrogazione ontologica, sia una rinnovata concezione antropologica. Fra i suoi scritti più recenti si possono ricordare: "Essere e parola", Vita e Pensiero, Milano 1993 (4a ed. integrata e ampliata); "Corpo e persona", Genova 1987; "Studi su Kierkegaard", Genova 1998 (2a ed. ampliata); "Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant", Milano 1991 (opera insignita del Premio Mursia per la cultura e la ricerca scientifica); "Figure del sapere", Vita e Pensiero, Milano 1994; "La via analogica", Vita e Pensiero, Milano 1996; "Creazione, creatività, ermeneutica", Brescia 1997; "Al di là dell’ultimo", Vita e Pensiero, Milano 1998; "I segni della storia", Ghezzano La Fontina 1998; "Sulla speranza", Brescia 2000; "Ethica", Genova 2000.
Sul finire dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento si sviluppò in Germania un intenso dibattito intorno ai rapporti tra pensiero ed esperienza che, a partire dalla teoria dei due mondi di Lotze, coinvolse la corrente psicologista, il neokantismo, Dilthey, Lask e la fenomenologia. Attraverso le analisi husserliane, Heidegger poté abbozzare un programma di superamento delle contraddizioni contenute in tale discussione, in particolare riflettendo sulle condizioni di possibilità dell’intenzionalità, che riconducevano a un contesto finito costituito dall’apertura di un mondo. Si sviluppa così una prospettiva teoretica che riconduce il giudizio e il significato al mondo, inteso come totalità governata da regole di coerenza. In questo modo, i pensieri cessano di essere fatti coscienziali, poiché vengono resi possibili da un certo contesto di esperienza, la quale, tuttavia, non si contrappone al linguaggio in generale, ma solo all’uso che del linguaggio viene fatto nel giudizio. Di conseguenza, l’esperienza da cui procede il pensiero è costituita dagli enunciati d’azione, che si radicano nella vita del mondo. Heidegger delinea dunque una prospettiva che da un lato considera i significati qualcosa di ‘oggettivo’, poiché essi non sono relativi ai soggetti, e dall’altro evita di ritenerli ‘intemporali’, dato che i mondi all’interno dei quali essi possono apparire si danno temporalmente. Dal punto di vista della questione della verità, si avanza così l’ipotesi che l’impostazione heideggeriana, pur mantenendosi distante e critica verso una concezione soggettivista della verità, indichi tuttavia una posizione fondamentalmente antirealista.
Vincenzo Costa (San Cono, CT, 1964) insegna Storia della filosofia contemporanea presso la sede piacentina dell’Università Cattolica. Si è occupato della filosofia tedesca a cavallo tra Ottocento e Novecento, della filosofia francese contemporanea e della fenomenologia, alla cui analisi ha contribuito con numerosi saggi. Ha tradotto le “Lezioni sulla sintesi passiva di Husserl” (Milano 1992) e curato “Il problema della genesi nella filosofia di Husserl di J. Derida” (Milano 1992), il “Libro dello spazio” (Milano 1996) e le “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologia” (Torino 2002) di Husserl. Ha pubblicato “La generazione della forma” (Milano 1996), “L’estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl” (Vita e Pensiero, Milano 1999) e (con P. Spinicci e E. Franzini) “La fenomenologia” (Torino 2002).
La riflessione etica è davvero separabile da un’indagine sulla natura dell’uomo, come ritiene gran parte della filosofia morale contemporanea? Non è questa l’opinione di Charles Taylor, uno dei più importanti filosofi contemporanei: in questo volume, che riunisce per la prima volta in traduzione italiana un’ampia selezione degli scritti di etica e di antropologia filosofica, lo studioso canadese chiarisce come i due piani del discorso – quello etico e quello antropologico – si intersechino e si combinino costantemente e fruttuosamente. Da questo intento principale trae origine una riflessione ricca di spunti e temi in cui trovano spazio questioni filosofiche fondamentali come la comprensione dell’agire umano, la definizione di persona, la relazione tra emozioni e ragione e tra la natura umana e il linguaggio, le aporie dello scetticismo e del relativismo etico, la diversità dei beni umani, i limiti dell’utilitarismo e delle etiche procedurali. Il tutto in uno stile di pensiero originale che unisce il rigore dell’approccio analitico e l’ampiezza di orizzonti della filosofia continentale.
Charles Taylor (Montreal, 1931) è professore di Filosofia e Diritto alla Northwestern University di Chicago e professore emerito di Filosofia e Scienze politiche alla McGill University di Montreal. È autore, tra l’altro, di Hegel e la filosofia moderna (Bologna 1984), Radici dell’io (Milano 1993), Il disagio della modernità (Roma-Bari 1994), La modernità della religione (Roma 2004), Modern Social Imaginaries (Durham 2004).
Paolo Costa (Milano, 1966) è dottore di ricerca in Antropologia filosofica. Svolge attività di ricerca presso l’Istituto per le Scienze Religiose di Trento. È autore, tra l’altro, di Verso un’ontologia dell’umano. Antropologia filosofica e filosofia politica in Charles Taylor (Milano 2001) e ha curato l’edizione italiana di La modernità della religione.
Questo volume si inserisce nel panorama di un vivace, recente interesse per l'opera di Alessandro di Afrodisia, autore assai significativo nella storia del pensiero filosofico, e tuttavia relativamente poco frequentato fuori dalla cerchia degli "addetti ai lavori". Esso propone una serie di puntuali studi sul commento di Alessandro, e dello pseudo Alessandro, alla Metafisica di Aristotele, ai quali si aggiunge un saggio sulla critica alla metafisica avanzata dal pirronismo antico. Giancarlo Movia, autore del saggio, è professore ordinario di Storia della filosofia antica e docente di storia della filosofia medioevale nell'Università di Cagliari.
A poche opere di filosofia è toccato il singolare destino di venire concepite al fronte durante la prima guerra mondiale. Forse soltanto i Quaderni su cui L. Wittgenstein trascriveva, a pagine alterne, impressioni privatissime e le osservazioni sulla logica che sarebbero poi divenute il Tractatus logico-philosophicus costituiscono un corrispettivo perfetto delle cartoline postali da campo, spedite sistematicamente a casa da Franz Rosenzweig, su cui presero forma in prima intuizione la struttura e il contenuto della Stella della redenzione. Non a caso entrambe queste opere presentano una nuova prospettiva che rompe radicalmente con assetti, concezioni e acquisizioni sedimentati e ritenuti intangibili nelle rispettive discipline. E non sfugge agli autori l’audacia del loro gesto teorico: Rosenzweig sa di avere lanciato con il suo libro «il guanto di sfida all’intera venerabile comunità dei filosofi dalla Ionia fino a Jena».
Con La stella della redenzione Rosenzweig è inoltre consapevole di avere scritto l’opera della sua vita, non solo perché questo lavoro costituisce il rendiconto, e la fondazione, della sua posizione intellettuale personale, ma anche perché esso inaugura un’ardita, innovativa proposta teoretica con cui si ripromette di influenzare l’intero corso della riflessione occidentale. In questo libro l’autore dà corpo all’ambiziosa speranza di portare il pensiero a una nuova condizione, facendogli prendere atto della fine della filosofia nata nella Grecia classica, connotata da processi di astrazione, staticità, essenzialismo, e avviandolo a una nuova modalità della teoresi, fiduciosa e confidente nel linguaggio, nella temporalità, nella narrazione. Condividendo le posizioni dell’ultimo Schelling, Rosenzweig si ripromette di sanare qui quella fondamentale separazione tra filosofia e teologia che condiziona da millenni il percorso intellettuale dell’Occidente e di mostrare come le due discipline possano non solo dialogare e prestarsi a vicenda inestimabili servigi, ma pure trovarsi unite in uno stesso pensatore ‘in unione personale’. Tuttavia non è questa la sola innovazione clamorosa del ‘nuovo pensiero’ qui proposto. Nella Stella della redenzione assume ruolo centrale anche una riformulazione di cristianesimo ed ebraismo, ricondotti alle loro fondamentali prospettive comuni e reinterpretati, pur nella innegabile diversità e divaricazione delle rispettive missioni, come ‘lavoratori intenti a una stessa opera’ al cospetto del medesimo Dio. Una prospettiva di durevole pax theologica tra le componenti della tradizione giudeo-cristiana per cui i tempi paiono, da molti segni, finalmente maturi.
Franz Rosenzweig (1886-1929) è uno dei massimi filosofi del Novecento. Il suo pensiero, che attinge alla tradizione ebraica, si svolge in profondo ascolto del cristianesimo e della filosofia del primo Novecento. Di Rosenzweig sono state tradotte in italiano: Hegel e lo Stato (Bologna 1976); Il nuovo pensiero (Venezia 1983); Dell’intelletto comune sano e malato (Trento 1987); La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929 (Roma 1991); La radice che porta (Genova 1992); Ebraismo, Bildung e filosofia della vita (Firenze 2000); Il filosofo è tornato a casa (Reggio Emilia 2003).
Il termine ‘narrativismo’ rimanda alla centralità della categoria di narrazione nei più svariati ambiti della cultura contemporanea, anche filosofica. L’estensione del termine sembra però minacciarne la densità: che cos’è la narrazione, che il narrativismo nomina di continuo? Il volume di Francesca Cattaneo prende le mosse dalle origini del termine ‘narrativismo’ e dalla sua accezione più stretta, riferita a una corrente della filosofia della storia angloamericana sviluppatasi dalla prima metà degli anni Sessanta. Analizzandone la genesi e le principali evoluzioni fino agli anni Ottanta, il testo si propone di mostrare come il narrativismo sviluppi uno studio del collegamento narrativo e delle sue differenti funzioni, approfondendo ora la dimensione sequenziale della narrazione, ora la sua dimensione sintetica (portata in primo piano dall’opera di L.O. Mink e H. White). Nelle diverse proposte narrativistiche viene inoltre identificato come centrale il nesso tra azione e narrazione, esplorato tramite lo studio del rapporto tra narrazione e azione narrata (primo narrativismo), oppure tematizzando l’azione stessa del narrare in quanto azione poetico-retorica (dopo la ‘svolta’ whiteana), o interrogandosi sul rapporto tra le azioni narrate e l’azione del narrare, come nel caso del narrativismo di matrice fenomenologica (F.A. Olafson, D. Carr), che analizza le implicazioni ontologiche della continuità tra le narrazioni storiche e le azioni che vi sono rappresentate.
Francesca Cattaneo (Cantù 1980) è dottoranda di ricerca in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove nel 2005 ha conseguito il premio «Massimiliano Ferrara» per la migliore tesi di laurea sul tema della ragion pratica degli anni 2003/2005. Ha curato i lemmi narrativismo e Hayden White in Enciclopedia Filosofica, Milano 2006 e ha pubblicato il saggio L’azione narrativa nel volume di F. Botturi (a cura di), Prospettiva dell’azione e figure del bene, Vita e Pensiero, Milano 2008.
Lo Stato sovrano creato all’inizio dell’età moderna non risulta più capace di proteggere noi e tanto meno le generazioni future dal pericolo di una guerra nucleare e dagli effetti del riscaldamento globale, le uniche due sfide veramente globali che chiudono la modernità – ma in modo ben diverso da quel che credono i ‘postmoderni’. La politica si trova ormai dinanzi al compito di lavorare per la sopravvivenza della civiltà materiale che rende possibile la vita del genere umano – e non semplicemente per la sicurezza dei singoli Stati. Ci riuscirà o fallirà? Furio Cerutti ricostruisce qui la genesi storica di quelle minacce letali sorte dalle attività stesse degli uomini e s’interroga sul significato profondo del nostro rapporto con i posteri, la vera chiave per capire se siamo tenuti o meno a fare sacrifici a loro beneficio. Rinuncia invece a fornire ricette di immediata – e caduca – spendibilità politica, preferendo penetrare con sguardo analitico i problemi normativi e istituzionali che soggiacciono alle sfide globali. Questo libro «audace» (Andrew Gamble, recensione dell’originale inglese su «The Political Quarterly»), «rigoroso e ben costruito» (Giacomo Marramao su «Iride») è amaro nel dar nome al male che gli esseri umani hanno fatto e rischiano di fare a se stessi, ma rifugge dal catastrofismo e dai toni predicatori, attestandosi su un discorso insieme filosofico e scientifico che include la scienza politica, la strategia nucleare e la climatologia. «Un libro impegnativo, ma non difficile», come ha scritto un altro recensore, Luca Fonnesu, grazie alla limpidezza delle argomentazioni e alla loro ricca illustrazione empirica.
Gli autori
Furio Cerutti è professore di Filosofia politica all’Università di Firenze e membro della rete europea d’eccellenza «Garnet». Ha recentemente curato il quaderno speciale di «Science and Engineering Ethics» dedicato a Risk and Responsibility e il volume The Search for a European Identity: Values, Policies and Legitimacy of the European Union (2008, con S. Lucarelli). L’edizione originale inglese di questo libro è stata pubblicata nel 2007 negli Stati Uniti.
Coscienza e autorità, religione e libertà, rinnovamento e tradizione: alcuni tra i principali interrogativi posti da Frederick Denison Maurice (1805- 1872) sono tuttora al centro del dibattito filosoficoantropologico ed etico-politico. Maurice, sacerdote anglicano, a lungo professore di teologia e filosofia morale a Londra e a Cambridge, focalizza la sua riflessione sui concetti di conscience, social order e divine order, confrontandosi con alcuni dei pensatori più significativi dell'epoca, come J. Bentham, A. Comte, J.S. Mill, H. Mansel e J.H. Newman. Dopo aver ripercorso gli anni della formazione di Maurice, il volume esamina a fondo i suoi scritti, mostrando come il punto di confluenza delle diverse problematiche filosofiche, religiose e sociali, di cui essi si occupano, sia reperibile nella questione della natura e del dinamismo della coscienza: in aperta polemica con il soggettivismo razionalista e lo scetticismo empirista di certa modernità, Maurice rivendica alla coscienza un'apertura oggettiva e una capacità veritativa, che ne fanno il fulcro dell'identità personale e il fondamento della moralità, individuale e sociale.
I testi riuniti in questo volume, composti nell'ultimo decennio sotto il profilo dell'ontologia o dell'etica o dell'estetica, stanno nell'arco di un'unica ricerca: insistono, da diverse prospettive, sulla questione di un ultimo senso dell'essere e sulla sua declinabilità nel linguaggio dell'uomo. Di questa ricerca si può ripetere con Kierkegaard come del paradosso o come dell'ambivalente e più alta passione del pensiero che, mentre si riconosce nella propria radice, deve però avvertirne la trascendenza, l'indicibilità, senza peraltro desistere dalla sua memoria e dal tentativo di darle un volto. Il titolo della raccolta allude a questa condizione dicendo dell'impossibilità del nome e, insieme, della mai esaurita prossimità del nome di Dio. Di questa tensione è detto attraverso i diversi approcci teoretici ma anche nei percorsi storiografici dedicati a Kant, Kierkegaard, Husserl e Bernard.
Si parla sempre più di interculturalita, sempre meno di multiculturalismo. In effetti, la molteplicità culturale non è certo una novità. C'è sempre stata nella storia umana. E tutto questo potrebbe dirsi anche dell'interculturalità. Perché allora queste realtà sociopolitiche sono diventate problema? Semplice: perché nessuno tollera più culture egemoni. Ogni cultura rivendica una qualche parità ed esige rispetto: chiede di poter partecipare alla vita comune sulla terra senza anatemi. A volte anche senza restrizioni. Ma questo è davvero possibile? E soprattutto: questo è giusto? Sembra proprio di no. Senza alcune restrizioni, a volte no: dice l'etica. Anche le realtà culturali, come tutte le realtà di questo mondo, devono essere attraversate e illuminate dalla domanda intorno al bene e al male. Il fatto è che nessuna cultura è, in sé e per sé, buona o cattiva: va interrogata nelle sue forme e nelle sue pretese, perché potrebbe portare con sé elementi che giocano contro la comune umanità (per esempio, certi casi di mutilazione del corpo). Ogni cultura va rispettata e onorata, certo, ma a misura che essa, a sua volta, rispetti e onori l'umanità comune. Il principio del riconoscimento, che è il punto di riferimento regolativo di tutto il libro e che è l'ispiratore, più o meno celato, del recente passaggio dalla cifra fattuale del multiculturalismo alla cifra prescrittiva dell'interculturalità, deve poter dispiegare la sua universalità anche riguardo alle differenti identità culturali.
Dopo più di due millenni, può la filosofia di Platone dire ancora una parola nuova al pensiero contemporaneo? Quale è il suo insegnamento oggi? Hans-Georg Gadamer (1900-2002), studiando per tutta la sua lunga vita il pensiero dell'Ateniese, ha tentato di coglierne, nei suoi numerosi studi, i tratti peculiari, muovendo dal neokantismo, passando attraverso le interpretazioni fenomenologiche heideggeriane, sino a entrare a contatto con la nuova interpretazione di Platone delle Scuole di Tubinga e di Milano. In questi molti stimoli, recepiti variamente, pare essere colta la stessa forza del pensiero platonico: il dialogo, l'apertura verso l'altro, la potenza del comprendere. Questo libro ricostruisce il pensiero di Platone nell'interpretazione di Gadamer, nell'intento di restituirne alla storia della filosofia una lettura organica. Attraverso una specifica esegesi della teoria delle idee e dell'Idea di Bene, dei dialoghi e delle 'dottrine non scritte', della metamatematica platonica e dei concetti di numero, eidos, idea, logos, methexis, si ripercorre, da un lato, la storia dell'interpretazione di Platone del Novecento, dall'altro, si mette in moto quel circolo ermeneutico per il quale, contro ogni sofistica, non si confonde l'essere con il mezzo e il mezzo con l'essere, ma si scorge nel logos l'accadere dell'essere.

