
John Stuart Mill (1806-1873) è una figura di riferimento per l'etica e la filosofia politica contemporanea. Il suo contributo spazia dalla riflessione sul romanticismo ai grandi lavori sulla logica, l'economia politica, il liberalismo, l'utilitarismo, il governo rappresentativo, la filosofia della psicologia e la religione. Il filo rosso che attraversa e accomuna l'intervento di Mill nei campi più diversi delle scienze umane è l'idea di ripensare il quadro illuminista e utilitarista alla luce dei nuovi temi che il romanticismo aveva messo al centro della scena, in particolare la dimensione della soggettività e dell'interiorità e il ruolo della storia e della cultura.
Come scocca la scintilla della novità, della creatività, della genialità? Cosa succede nel nostro cervello quando si accende la lampadina dell'idea, dell'intuizione? Si tratta di un momento magico, di una sorta di illuminazione, o piuttosto lo sbocciare di un'idea è il frutto estemporaneo di una lunga preparazione silenziosa? E come distinguere le buone intuizioni da quelle inutili? Le dinamiche di quel misterioso fenomeno che chiamiamo genericamente creatività sono sempre state, in particolar modo nella cultura occidentale, al centro di un vivo interesse, che si è alimentato di discussioni, ipotesi e ricerche non solo scientifiche. Oggi l'attenzione per questo particolare aspetto della mente e della natura umana ha raggiunto livelli altissimi e la società contemporanea attribuisce un valore senza precedenti al potenziale creativo degli individui, nella sua accezione più estesa: dalla fantasia manifestata in età infantile fino alla ricerca scientifica, dalle innumerevoli forme di espressione artistica alla produzione di beni, tecnologici e non. Tuttavia il termine "creatività" è volatile, ambiguo e troppo spesso usato in modo improprio. Di cosa parliamo veramente quando parliamo di creatività?
È possibile abitare il mondo senza fughe in un’improbabile trascendenza, e senza deliri d’onnipotenza? La fortezza, la temperanza, il coraggio, in breve tutte quelle che un tempo si chiamavano virtù, esistono ancora? Sembrano dimenticate. Ma in una società mobile, complessa, frammentata, in un mondo dove orientarsi non è facile, si sente il bisogno di darsi un’identità, d’instaurare rapporti giusti e fecondi con gli altri, si sente il bisogno di concedere e ricevere fiducia. Per questo le virtù riaffiorano e, anche quando il bisogno non è dichiarato, se ne sente tuttavia la mancanza.
Indice
I. Vita mortale, morte immortale - II. Cura di sé ed estetica dell’esistenza - III. La pratica delle virtù nel tempo presente - IV. Virtù personali, destini comuni - Note
I "valori dimenticati" dell'Occidente provengono dai due grandi cespiti della civiltà europea: la filosofia greco-romana e la religione ebraico-cristiana. In Socrate, Platone, Aristotele e Plotino ritroviamo i concetti di cura dell'anima, assimilazione a Dio, virtù, giustizia, verità, bene e bellezza. Nell'Antico Testamento, nei Vangeli e nei grandi pensatori cristiani come Agostino ritroviamo invece i concetti di persona, amore, rivelazione e salvezza.
Attraverso un appassionato scambio di idee tra Monsignor Scola e Giovanni Reale, il libro analizza e commenta la situazione attuale della società e dell'uomo. Con un intervento di Armando Torno.
Quale ruolo è immaginabile, oggi, per l'università in Italia? Che cosa significano libertà di ricerca, di insegnamento, di studio? Come è possibile dialogo fra differenti persone, discipline, culture? Collocandola nel dibattito sul dialogo interculturale, il volume affronta una questione di grande attualità, quella del rapporto fra università e lavoro, ricerca e insegnamento, saperi teologico-filosofici e scientifico-laici, scienza e istituzioni, libertà e verità. A partire da un approfondimento filosofico della libertà, l'università è pensata come autonomo libero spazio interrogativo, di apertura ad ogni ricerca e comunicazione, per avviare un rapporto fecondo fra saperi, culture e religioni, le molteplici persone e realtà dell'universo umano, al di là delle contrapposizioni dominanti bellicosamente il mondo odierno. In un'agile forma filosofico-divulgativa, attraverso brevi capitoli a tema, l'autore formula i principi del sapere universitario: inscindibilmente costituito di insegnamento e ricerca, criticità e creatività, autonomia e responsabilità, differenza e interdisciplinarietà, verità e libertà. La tesi centrale è che non c'è autentica libertà senza relazione con differenti prospettive, sino all'apertura dell'uomo alla verità che lo trascende, restando né religiosamente né ideologicamente qualificata.
“La filosofia come avventura infinita:
una sorta di navigazione a vista
nel gran mare dell’essere.
Per ripristinare il senso più autentico
della domanda filosofica.”
Un’avventura che non vuole traghettarci da nessuna parte; ma farci fare un’autentica esperienza di pensiero. E condurci nel cuore di alcune tra le grandi questioni della filosofia. Insomma, un modo per cercare di capire in cosa consista veramente quella in-servibile forma di conoscenza che da molti viene giustamente guardata con sospetto e perplessità. O anche: un modo per accompagnare il lettore alle radici di quella pratica intellettuale che sta alla base delle discipline specialistiche che i più ormai ritengono finalmente libere da ogni nefasta tentazione unitaria. Un volume che pretende di rivolgersi anche a chi non abbia mai avuto occasione di imbattersi in quella enigmatica forma di interrogazione che ha sempre caratterizzato il non-sapere filosofico. Sì, perché l’avventura della ricerca filosofica ha questo di caratteristico: di non pretendere alcun prerequisito, alcuna carta di identità, alcuna pregiudiziale attestazione d’appartenenza, ma di offrirsi piuttosto alla libera disponibilità di una mai appagata docta ignorantia.
Un esperimento insolito e originale forma l'oggetto di questo libro di Giacomo Marramao: la messa a fuoco dei punti d'intersezione tra le genealogie filosofiche e le diagnosi radicali del Potere, del Comando e della Legge fornite, in tempi e contesti diversi, da due grandi scrittori mitteleuropei come Elias Canetti (attraverso un confronto costante con l'opera di Kafka) e Herta Müller (lungo l'asse che collega la figura del Lager alle esperienze di sorveglianza, isolamento e derelizione esistenziale presenti nelle stesse democrazie). Per afferrare il senso delle trasformazioni del potere occorre andare alle radici: all'arche o al principio che l'ha originato come fattore transculturale e trans-storico comune a tutte le società umane. Il potere non può essere soppresso: ogni tentativo di 'superarlo' - sopprimendo questa o quella forma del suo esercizio - non ha finora fatto che potenziarlo. Il potere deve essere, invece, sradicato, sovvertito nella sua logica costitutiva: la logica dell'identità, innervata nell'illimitatezza del desiderio e nella doppia scena paranoica della paura e della morte dell'altro. Tracciare una linea di frattura e di opposizione al potere significa, nel cuore del nostro presente globale, spostare il focus sui soggetti e sulla loro potenza di metamorfosi/rigenerazione. Ma ciò è possibile solo staccandosi dal rumore dell'attualità e riprendendo il filo interrotto di opere solitarie ed estreme.
Non è vero - neanche in tempi di crisi - che è utile solo ciò che produce profitto. Esistono, nelle democrazie mercantili, saperi ritenuti "inutili" che invece si rivelano di una straordinaria utilità. In questo saggio, Nuccio Ordine attira la nostra attenzione sull'utilità dell'inutile e sull'inutilità dell'utile. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi (Platone, Aristotele, Zhuang-zi, Pico della Mirandola, Montaigne, Bruno, Kant, Tocqueville, Newman, Heidegger) e di grandi scrittori (Ovidio, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Cervantes, Lessing, Dickens, Gautiér, Kakuzo Okakura, Garcia Lorca, Garcia Màrquez, Ionesco, Calvino), Nuccio Ordine mostra come l'ossessione del possesso e il culto dell'utilità finiscono per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l'arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la dignità, l'amore e la verità. Con un saggio di Abraham Flexner.
Apparso per la prima volta nel 1766, il 'filosofo ignorante' inscena il libero indagare di una ragione che, ben consapevole dei propri limiti e della propria inadeguatezza a comprendere i più alti segreti dell'universo, si rivolge alla filosofia per trovare le risposte che va cercando.
L'"Eutifrone" mette a nudo la povertà e la carenza strutturale del rapporto teologico della 'religione olimpica', incarnata dal sacerdote Eutifrone, e, tramite Socrate, mostra l'esigenza di una concezione religiosa totalmente rivoluzionaria e fondata sulla ricerca dialettico-filosofica del vero. E le conseguenze di tale rivoluzione sono enormi: anche se in via solo allusiva, Platone rivela, di ricercare in questo modo un nuovo rapporto tra l'uomo e il divino, un rapporto svincolato da quel 'commercio' fatto di scambi tra richieste e sacrifici propiziatori, a cui spesso si riduceva la religione greca tradizionale. Introdurre questo nuovo rapporto significa comprendere che dal divino viene all'uomo solo il bene e non il male.
Una raccolta di pensieri, articolati in 50 massime, che insegnano a vivere il più felicemente possibile.