
Se c'è un libro che mostra fin dove si può spingere la comprensione di un simbolo, questo è "II simbolismo della croce". Pubblicato nel 1931, dopo i due grandi libri indiani ("Introduzione generale allo studio delle dottrine indù" e "L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta"), è l'opera in cui Guénon scelse l'immagine stessa su cui è fondata la civiltà occidentale cristiana per condurre una dimostrazione rigorosa e inflessibile, che permettesse di cogliere la "pluralità dei significati inclusi in ogni simbolo". I quali nel caso scorreranno davanti agli occhi del lettore come anelli di un'aurea catena: fra gli altri, la teoria indù dei tre guna (le qualità fondamentali che compongono il mondo), la simbolica della tessitura, l'Albero della Vita e l'Albero della Scienza, il rapporto fra il punto e l'estensione, il vortice sferico universale, infine la Grande Triade (Cielo, Terra, Uomo) della Cina arcaica.
La tradizione del diritto naturale poggia sulla convinzione che esista una giustizia oggettiva e universale che trascende e fonda le espressioni particolari della giustizia umana. In questo volume l'autore, distinguendo tra filosofia e ideologia, chiarisce i termini della questione orientando il lettore attraverso il perenne dibattito sul giusnaturalismo.
Ci sono gli scettici che dicono che non esiste nessuna verità oggettiva. Non possono avere ragione perché la verità si presenta da se stessa nella storia della persona ed in quella della comunità umana. Senza verità non è possibile vivere. Chi vorrebbe vivere un grande amore che non è però un amore vero? Poi ci sono i dogmatici, quelli che la verità ce la hanno in tasca e sono sempre pronti a condannare chi non accetta a scatola chiusa la loro verità. Anche così non è possibile vivere perché la ricerca non finisce mai e la vita apre sempre nuove prospettive che mettono in questione quello che credevamo di sapere. Questo libro cerca di aprire una diversa prospettiva: dobbiamo essere fedeli alla verità che abbiamo conosciuto ma anche aperti alla verità che si è rivelata nella esperienza dell'altro uomo per camminare insieme verso una verità più grande.
Il testo qui presentato in traduzione italiana costituisce un documento di grande valore per un'approfondita comprensione della riflessione filosofico-scientifica e politica di Popper sin dai suoi inizi negli anni Venti del secolo XX. Nelle pagine di questo volume Popper ripercorre infatti pressoché tutte le tematiche affrontate nei suoi numerosi scritti - dal falsificazionismo e dall'induttivismo alla concezione evoluzionistica della conoscenza, dallo storicismo all'antitotalitarismo alla società aperta commentando, ora in modo simpatetico ora con notevole vis polemica, i contributi critici di molti importanti pensatori, scienziati e storici della cultura sulle sue concezioni. Le repliche di Popper ai suoi critici, oltre a fornire importanti precisazioni e articolazioni delle principali tesi del filosofo austriaco, offrono altresì un fondamentale quadro storico-teorico dei più importanti dibattiti filosofici, scientifici e politici del secolo XX, ancora vivi e centrali nel nostro tempo.
Il XXI secolo si sta rivelando marcato dall'aumento delle disuguaglianze sociali, da guerre di ogni genere, dalle conseguenze devastanti del cambiamento climatico, nonché dall'ascesa di partiti conservatori e reazionari, i quali a loro volta stanno intensificando tali fenomeni: questo è il volto tangibile dell'Antropocene, qui inteso come l'aumento dell'entropia termodinamica, biologica e dell'informazione causato dalle attività umane. È in tale contesto di urgenza che nasce il Collettivo Internation, guidato dal grande filosofo francese Bernard Stiegler, che in questo libro analizza i concetti di entropia e località. Abbandonata spesso nel ripostiglio dei principi politici, la località - da non confondersi con il localismo delle retoriche sovraniste - oggi può essere la chiave per ripensare la ricerca e il sapere, la collettività, la tecnologia e la politica, in direzione ostinata e contraria rispetto al processo che ha condotto all'Antropocene.
Sono stati qui identificati e descritti, in circa 300 lemmi, i concetti principali della filosofia greca, cioè del pensiero che sta al fondamento della tradizione culturale dell’intero Occidente. Non si tratta però di un compendio: quanto piuttosto della messa a punto di uno strumento di base utile a chi voglia essere sempre in grado – come diceva Epicuro – «di venire in aiuto a se stesso», una volta che sia risultata chiara l’importanza di tenere a mente la propria storia e l’impronta della propria esistenza.
Inoltre, cinque vocabolari (greco-italiano, latino-greco, inglese-greco, francesegreco, tedesco-greco) permettono di raggiungere, per percorsi intrecciati, i lemmi di riferimento; si spera così di venire incontro anche all’esigenza di chi, soprattutto oggi, deve affrontare testi e saggistica di ambito filosofico in lingua straniera, ma che non sempre è in grado di cogliere le corrispondenze più corrette.
Stefano Maso, fino al 2004 professore di Filosofia e Storia nei licei, è attualmente
ricercatore di Filosofia Antica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. È membro del comitato di redazione della rivista internazionale «Lexis», edita presso Hakkert (Amsterdam) e del direttivo della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica). I suoi libri sono dedicati soprattutto alla Sofistica, ad Aristotele, ad Epicuro e alla Filosofia romana (Cicerone e Seneca).
La preoccupazione tardiva per ciò che Hannah Arendt ha chiamato le attività della vita della mente, relative all'azione, all'etica e alla politica, prende forma consistente dopo il processo a Adolf Eichmann. Se la questione centrale in "Vita activa" è quella di pensare "ciò che stiamo facendo" e attestare la preoccupazione che attraversa tutta la sua opera (la definizione dell'azione politica comune), già ne "La vita della mente" l'autrice ci sfida a una fenomenologizzazione della vita contemplativa, il cui punto di vista privilegiato è la visibilità delle azioni e del linguaggio. Il punto cruciale per una praxis etica della visibilità è come il soggetto si singolarizza nella comunità politica, un'etica della responsabilità personale. Ci chiama a una costante "resa dei conti", verso noi stessi, verso gli altri e verso il mondo. Questa etica della visibilità apre la possibilità di riproblematizzare il pathos tra il self e il mondo comune, tra coscienza e esperienza - i pilastri che ispirano una nuova simbologia etica nella politica.
Il termine distanza viene immediatamente colto nella sua accezione topografica, nel senso di un intervallo tra un oggetto e un altro. Essere distanti può anche esprimere uno stile, un modo di essere di chi vuole mantenere un distacco dalla vita, dalle cose che lo circondano e dagli altri, come se non ci fosse nulla per cui valga veramente la pena di vivere. Il presente lavoro intende pensare la distanza come possibilità di approssimarsi senza invadere, soccorrere senza sostituire, riconoscere senza proiettarsi sugli altri, scoprendo un modo più costruttivo di essere e vivere in relazione. Solo a condizione di mantenere una buona e giusta distanza tra sé e sé e tra sé e gli altri è possibile mantenere un rapporto autentico nel segno della libertà e del rispetto.
Più volte ristampata e tradotta in un numero crescente di paesi, quest'opera è una rilettura originale della storia contemporanea, dove l'analisi critica del revisionismo storico - a cominciare dalle tesi di Nolte sull'Olocausto e di Furet sulla rivoluzione francese - si intreccia con quella di una serie di fondamentali categorie filosofiche e politiche come guerra civile internazionale, rivoluzione, totalitarismo, genocidio, filosofia della storia. Questa edizione ampliata analizza le prospettive del nuovo secolo. Da un lato il revisionismo storico continua a riabilitare la tradizione coloniale, com'è confermato dall'omaggio che uno storico di successo (Niall Ferguson) rende al tramontato Impero britannico e al suo erede americano, dall'altro vede il ritorno sulla scena internazionale di un paese (la Cina) che si lascia alle spalle il "secolo delle umiliazioni". Sarà in grado l'Occidente di tracciare un bilancio autocritico o la sua pretesa di essere l'incarnazione di valori universali è da interpretare come una nuova ideologia della guerra?
Nella Grecia antica lo Stato è paragonato a una nave che deve compiere una traversata per giungere felicemente in porto. È qui che nasce la nozione di governo e con essa le domande politiche fondamentali: come deve essere governata una città per evitare i conflitti interni, approdare alla concordia e salvaguardare la pace? Come garantire l'alternanza al potere? Affidare il governo della città ai filosofi è la condizione per eliminarne i mali? Che cosa significano amicizia e concordia tra i cittadini? Platone e Aristotele vissero in un mondo di città più o meno autonome, circondato da grandi monarchie, e avevano sotto gli occhi in primo luogo Atene, la polis che allora rappresentava la forma più complessa e articolata di democrazia. Il carattere diretto della forma ateniese di democrazia era assicurato non soltanto dalla partecipazione alle decisioni comuni attraverso il voto nelle assemblee aperte a tutti i cittadini a pieno titolo, ma anche da una articolata istituzione nella rotazione delle cariche, potenzialmente accessibile a tutti i cittadini attraverso elezione o sorteggio. Giuseppe Cambiano, uno dei massimi studiosi del pensiero antico, restituisce la riflessione di Platone e Aristotele sul buon governo illuminando il loro e il nostro presente.
Carl Schmitt è ancora oggi un pensatore che divide, ma è indubbio che nessuno come lui sia stato capace di pensare rotture e instaurazioni dell'ordine politico e giuridico. Jean-Francois Kervégan "riparte" da Cari Schmitt in due modi, da un lato prendendone congedo quando necessario, dall'altro cogliendo i concetti che ci aiutano a reinterpretare il mondo contemporaneo: perché Schmitt, dalla sua posizione esterna e anche ostile nei riguardi dei presupposti delle nostre riflessioni sulla società moderna, ci aiuta a comprenderne le contraddizioni e ad affrontarle meglio.