
«Sappiamo delle lacrime e del sangue di cui hanno grondato i progetti di trasformazione del mondo mediante la guerra o la rivoluzione. A partire dal saggio pubblicato nel 1921 da Walter Benjamin, la filosofia del Novecento si è impegnata nella ‘critica della violenza’ anche quando essa pretende di essere ‘mezzo a fini giusti’. Ma cosa sappiamo dei dilemmi, dei ‘tradimenti’, delle delusioni e delle vere e proprie tragedie in cui si è imbattuto il movimento ispiratosi all’ideale della non-violenza?».
Domenico Losurdo ripercorre una storia affascinante: dalle organizzazioni cristiane che nei primi decenni dell’Ottocento si propongono negli Usa di combattere in modo pacifico i flagelli della schiavitù e della guerra fino ai protagonisti dei movimenti che con passione o per calcolo di Realpolitik hanno agitato la bandiera della non-violenza: Thoreau, Tolstoj, Gandhi, Capitini, Dolci, M.L. King, il Dalai Lama e i più recenti ispiratori delle ‘rivoluzioni colorate’.
Cos'è la giustizia e il giusto, se e perché dobbiamo essere giusti, il rapporto fra utilità e giustizia: sono quesiti fondamentali già a partire dall'antichità con le riflessioni di Platone e Aristotele. Dopo di loro, la riflessione di Hobbes, Locke, Hume, Rousseau e Kant arriva a inquadrare il problema della giustizia all'interno della discussione pubblica in politica. Nel XIX secolo Marx pone la questione che le riflessioni su questo tema siano in stretta relazione con la capacità della giustizia di soddisfare fini e aspettative sociali. Infine nel XX secolo filosofi come Hayek e Rawls elaborano diverse ipotesi nell'ambito della teoria politica e arrivano a conclusioni teoriche ancora oggi dibattute
La coscienza è davvero ciò che ci distingue dagli altri esseri animati? È riducibile a processi chimici e meccanici? Se sì, che parte hanno in questi processi il dolore e l'amore, i sogni e la gioia? Sono alcune delle grandi domande su cui si arrovellano filosofi e scienziati a partire Cartesio, ma le teorie sulla coscienza elaborate finora, sostiene Dennett, sono tutte sbagliate, anche se la loro semplicità intuitiva ci spinge a crederle vere. Vero è, semmai, che non c'è traccia nel nostro cervello di un "Autore Centrale", responsabile assoluto del nostro "Sé", produttore di un unico e definitivo flusso di coscienza. La nostra mente non funziona tanto come una dittatura o una monarchia, quanto come una democrazia molto sofisticata: "Spiegherò i vari fenomeni che compongono ciò che chiamiamo coscienza, mostrando come siano tutti effetti fisici delle attività del cervello, come queste attività si siano evolute e come facciano sorgere le illusioni sui loro poteri e le loro proprietà. Proporrò, insieme ai fatti scientifici, una serie di storie e analogie per rompere vecchi abiti di pensiero e aiutare a organizzare un'unica visione coerente, sorprendentemente diversa dal tradizionale punto di vista sulla coscienza."
Raccogliamo in questo volume i contributi a un seminario pluriennale sulla filosofia italiana contemporanea svoltosi presso il Centro studi filosofico-religiosi "Luigi Pareyson". Il seminario prevedeva, per ciascuna seduta, la relazione di un filosofo italiano contemporaneo che oltre a presentare le linee fondamentali del suo pensiero parlasse anche della sua scuola d'origine, dei suoi maestri, ed enucleasse la portata che la sua proposta speculativa o quella espressa dalla sua scuola di appartenenza avevano avuto e continuavano ad avere sulla cultura filosofica contemporanea. La richiesta trovò una risposta generosa ed entusiastica da parte dei colleghi delle diverse sedi universitarie italiane, sì che ne è scaturito un quadro della filosofia italiana contemporanea ricco, complesso, mosso e vivo, in cui luoghi, momenti e svolte fondamentali del pensiero italiano degli ultimi cinquant'anni emergono con tutta chiarezza e con una completezza di contorni che le presentazioni, pur nella loro necessaria sinteticità, evidenziano e che nel suo insieme trova pochi analoghi nella storiografia e nella pubblicistica corrente. Il volume potrebbe anche essere inteso come la cronaca di un viaggio nell'Italia filosofica del nostro tempo.
Carl Gustav Jung è un personaggio che sfugge alle definizioni. Conosciuto essenzialmente come primo importante seguace di Freud e poi fondatore di un'autonoma psicologia analitica, Jung è però autore che ha segnato profondamente anche la storia del pensiero filosofico, religioso, scientifico. In questo libro, l'opera dello psicologo svizzero viene analizzata con atteggiamento imparziale, enucleandone i significativi contributi senza trascurarne le oscure aporie. La scelta di seguire la psicologia junghiana nella sua evoluzione, inoltre, ne evidenzia alcuni aspetti, se non ignoti, certo sottovalutati.
Scritti in occasione del quinto centenario del Principe, questi nuovi saggi di Gennaro Sasso affrontano i principali aspetti del pensiero di Machiavelli, a partire dal rapporto tra politica e storia, che si stringe nei nodi della decadenza e del conflitto: il modello della storia romana si condensa nell'ossessione machiavelliana per la decadenza e per la capacità della costituzione di non spegnere i conflitti ma di farne materia viva di accrescimento. Riprendendo i motivi della sua interpretazione, elaborata in oltre cinquant'anni di studi, l'autore si sofferma sul Principe e sui Discorsi, proponendo una forte rivalutazione delle Istorie fiorentine, un autentico capolavoro, dove il confronto tra la storia fiorentina e quella romana perviene a una drammatica meditazione sul passato italiano. I diversi saggi affrontano i temi dell'eternità del mondo, della presenza di Lucrezio e Dante in Machiavelli, nonché le interpretazioni di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce. Per i diversi fili di un'indagine sorretta da competenza filologica e storiografica, emerge un'immagine attuale della grande figura del Segretario fiorentino.
La dimensione estetica associa l'umano sentire a un "comune" che si è soliti qualificare "universale" per via di una natura percettivo-sensibile di cui tutti siamo partecipi e che l'arte trasfigura in forme. Di questo sentire ci parlano le voci diversissime eppure segretamente accordate di venti figure esemplari della cultura moderna che hanno intrecciato nei loro sguardi Occidente e Oriente e che sono qui ripartite sotto tre insegne. La prima, Sguardi da Occidente, allinea le voci di Goethe, Schlegel, Schopenhauer, Montessori, Rilke, Focillon, Lacan, Malraux, Lévi-Strauss, Dorfles, Barthes, Zolla. Sotto la seconda, Sul confine tra Occidente e Oriente, troviamo Solov'ëv e Florenskij. La terza, Sguardi da Oriente, raccoglie le interpretazioni di Tagore, Nishida Kitar?, Coomaraswamy, Kuki Sh?z?, Fung Yu-lan, François Cheng. Sono venti perle di un pensiero comparativo con due secoli di storia scelte per costituire un unico filo di riflessioni sulla bellezza, sullo svelarsi inesauribile dei suoi riflessi; perché, come dice Solov'ëv, «la bellezza non appartiene né al corpo materiale del diamante né al raggio di luce che quello rifrange ma è un prodotto d'ambedue nella loro azione reciproca».
A partire dalla pubblicazione di testi inediti di Anselmo d'Aosta e della sua cerchia, il volume porta nuova luce sulla costellazione di scritti e di autori - Lanfranco di Pavia, Guitmondo d'Aversa, Bosone del Bec, Eadmero ed Elmero di Canterbury - legati alla sua ricerca e al suo insegnamento al Bec e a Canterbury. Il saggio si addentra nel settore ancora poco esplorato della produzione filosofico-teologica del mondo monastico medievale anglo-normanno dei secoli XI e XII, proponendo un'ampia ricognizione della ricchezza dei suoi contenuti e le peculiarità della loro trasmissione e rielaborazione, che manifestano la fecondità tanto delle idee quanto del metodo teologico di Anselmo. Alla luce di questi orizzonti stimolanti e promettenti, il libro colma, pertanto, una lacuna negli studi e nella recensione critica dei testi anselmiani finora pubblicati da studiosi come André Wilmart, Franciscus Salesius Schmitt, Richard William Southern e Jean Leclercq.
A confronto con il pensiero di Martin Heidegger, Peter Sloterdijk offre al lettore un'analisi corrosiva del mondo contemporaneo, ove la tecnica si avvia a dominare tutti gli aspetti della vita umana, dalle relazioni più semplici, alla politica, alla medicina. Divagando tra protesi chirurgiche, riferimenti all'attualità politica e alla filosofia, Sloterdijk offre un quadro inquietante, lucido, persino comico del "Parco umano" all'inizio del XXI secolo.
Pubblicate per la prima volta a Salamanca nel 1597, le "Disputazioni metafisiche" del gesuita spagnolo Suárez sono un'opera che ha fatto "epoca". È stato uno dei più celebri teologi del Siglo de Oro a tentare, per la prima volta, un trattato autonomo di "Metafisica", non concepito più come commento al testo di Aristotele, secondo l'usanza medievale, ma come fondazione di una disciplina autonoma e sistematica. Le Disputazioni possono essere considerate come l'ultima summa del pensiero scolastico, lì dove - in un estremo tentativo di sintesi della linea tomista e di quella scotista - si delinea quell"'ontologia" che fornirà il lessico concettuale di riferimento per i filosofi moderni, da Descartes, Spinoza e Leibniz sino a Wolff, Kant e Hegel. Non a caso questo testo ha avuto una diffusione straordinaria non solo nelle Università cattoliche ma anche in quelle protestanti del XVII e del XVIII secolo; ha attraversato silenziosamente tutto l'Ottocento ed è riemerso infine con grande risalto nella critica filosofica novecentesca. Dell'immensa mole delle 54 Disputazioni vengono tradotte qui le prime tre: esse si presentano come una vera e propria "introduzione alla metafisica", riguardo alla natura, all'oggetto e al metodo di questa scienza. Il testo è preceduto da un'introduzione del curatore e seguito da una nutrita serie di apparati: le note al testo, l'elenco dettagliato delle fonti, un lessico di parole chiave, l'indice completo di tutte le Disputazioni e un'esauriente bibliografia.
Il capolavoro dell'Imperatore Filosofo, ultimo epigono del neostoicismo romano (di cui in parallelo vengono pubblicati gli scritti minori), in una nuova traduzione con testo greco a fronte; i Pensieri di Marco Aurelio sono riflessioni morali, rivolte a sé medesimo, miranti a rendere l'animo imperturbabile e tranquillo, rinchiuso in una sorta di cittadella interiore, al riparo dagli agenti esterni (gli eventi del fato) e interni (le passioni), che sono sempre causa di sofferenza e turbamento se non vengono disciplinati dalla ragione egemonica, che deve ridurli al rango di indifferenti. Solo così è possibile raggiungere la tranquillità interiore nell'accettazione del destino, unica salvezza a portata di mano con le sole forze della ragione.