
"Essere conservatore" condensa e aggiorna le riflessioni che il filosofo Roger Scruton va svolgendo dai primi anni 1970 sulle origini, gli sviluppi e i vari aspetti di quel pensiero conservatore anglosassone che trova in Edmund Burke alla fine del secolo XVIII uno dei "padri fondatori". Alla luce dei suoi princìpi, e di una fitta trama di riferimenti culturali, Scruton sottopone a critica serrata le varie correnti ideologiche che dominano la scena della politica attuale - il nazionalismo, l'ambientalismo, per esempio, ma anche l'islamismo. Ne scaturisce un'agile apologia del conservatorismo, una prospettiva che solo a tratti è riuscita a "bucare" la cultura post-illuministica dominante nel mondo occidentale lungo tutto l'Ottocento e il Novecento, ma non per questo è meno fondata nei suoi presupposti critici e positivi.
Il libro si sofferma sulle principali ideologie del Novecento e mostra come esse si presentino come nuove e capaci di operare cambiamenti, ma in realtà esprimano ripetitivamente il bisogno di fingere il nuovo, approdando su posizioni che inizialmente avevano affermato di sovvertire. Il saggio tende però anche a individuare nelle pieghe di questo movimento ripetitivo un percorso di emancipazione dal bisogno di riproporre la finzione del nuovo e ne segnala le possibili implicazioni pratiche soprattutto per quanto riguarda il problema della sanità psichica.
Dai trattati di strategia militare dell'antica Cina un'affascinante esplorazione dei fondamenti più nascosti della nostra cultura. Che cosa significa la parola "efficacia"? Che cosa intendiamo quando diciamo che un'azione è efficace? La tradizione europea non è mai riuscita, neppure nei suoi grandi pensatori realisti, a rispondere in termini convincenti a queste domande se non ricorrendo all'intervento provvidenziale del divino, o alla Fortuna, o infine all'eroismo dell'exploit individuale. A questa difficoltà teoretica, si contrappone il concetto cinese di strategia.
Questo libro, che raccoglie le lezioni di Adorno all'Università di Francoforte nel semestre estivo del 1965, si connette strettamente alla sua opera maggiore, la "Dialettica negativa". L'ultima parte del corso ripercorre, infatti, i temi che saranno svolti, a un livello di maggiore complessità stilistica ed espressiva, in quella parte della "Dialettica" che s'intitola "Meditazioni sulla metafisica". Nel corso sulla metafisica Adorno affronta le questioni ultime alle quali la filosofia non può sottrarsi: la difficoltà di pensare dopo Auschwitz, il modo in cui questo evento trasforma l'interrogazione sul senso e rende obsoleta ogni filosofia affermativa, le domande radicali sulla morte e sulla finitezza del singolo, la natura paradossale della trascendenza, che non si lascia né affermare né negare. Nelle lezioni qui pubblicate, però, emerge anche un altro aspetto della riflessione adorniana: il confronto diretto e puntuale con il pensiero di Aristotele, inteso come l'originario momento fondativo della tradizione metafisica dell'Occidente. Nell'interpretazione dei concetti cardine della metafisica aristotelica (universale e particolare, forma e materia, potenza e atto, movimento e motore immobile) emerge l'acume critico del pensatore francofortese, che lo colloca a pieno titolo tra i grandi maestri del Novecento.
Il paradigma di "immunizzazione" consiste nell'esigenza sempre più pressante di salvaguardare la vita nel suo nudo significato biologico. Come il corpo individuale, così anche quello sociale può essere immunizzato dal male che lo minaccia soltanto attraverso la sua immissione preventiva. Per sfuggire alla presa della morte, la vita è costretta a incorporarne il principio. Alla fine dell'epoca moderna, tuttavia, questo meccanismo immunitario sembra giunto al limite. E oltre questo limite si dischiude la drammatica scelta fra un esito autodistruttivo e il suo rovesciamento in una possibilità ancora inedita. "Immunitas" intreccia il linguaggio giuridico a quello teologico e antropologico, la prospettiva politica a quella biologica.
Questa introduzione alla filosofia della mente, rivolta in primo luogo agli studenti universitari di filosofia e di psicologia, è focalizzata su di un problema specifico, l'intenzionalità, e proprio per questo si differenzia dai testi attualmente in circolazione, che sono in prevalenza rassegne generali. Presentandosi come un'introduzione teoricamente orientata, il volume permette di allineare, in forma compatta, una serie di problemi utili allo studente per addentrarsi direttamente nello specifico della materia, attraverso la ricognizione ragionata delle varie posizioni degli autori che si sono occupati dei diversi criteri di intenzionalità: da Russell, Husserl e Wittgenstein fino a Searle, Fodor, Dennett e Putnam.
Pierre Hadot è solo un ragazzo quando il cielo stellato gli regala un'esperienza indimenticabile, in cui più tardi riconosce ciò che Romain Rolland chiama il "sentimento oceanico". "Credo di essere filosofo a partire da quel momento", dice una sessantina d'anni dopo. Che cos'è filosofare? Per Hadot la filosofia è un'esperienza vissuta. I discorsi filosofici degli antichi sono "esercizi spirituali" che non mirano a informare, ma a formare e a trasformare noi stessi. E se filosofare vuoi dire "esercitarsi a morire", esercitarsi a morire vuoi dire esercitarsi a vivere con piena lucidità, staccarsi dal proprio io per aprirsi a una prospettiva universale l'itinerario della saggezza.
Nella scena politica e culturale dell'Atene democratica del V-VI secolo a. C. erano venute alla ribalta nuove e ambigue figure di intellettuali, che si proponevano quali maestri a pagamento di formazione politica, retorica e culturale della gioventù. I sofisti costituiscono sin dall'inizio uno dei principali obiettivi polemici di Platone. Già nei primi dialoghi il suo sforzo è volto a differenziare queste figure da Socrate, mettendo in luce la natura ingannevole della loro pretesa sapienza. Ciò porta Platone ad affrontare in modo radicale questioni fondamentali per il pensiero occidentale: come è possibile il falso nel pensiero e nel discorso? E cos'è l'Essere?
Alla fine di un dibattito che ha attraversato l'intero Novecento, il significato ultimo della nozione di "teologia politica" continua a sfuggirci. Nonostante i tentativi di venirne a capo, parliamo ancora il suo linguaggio, restiamo ancora nel suo orizzonte. Il motivo, per Roberto Esposito, sta nel fatto che la teologia politica non è né un concetto né un evento ma il perno intorno al quale ruota, da più di duemila anni, la macchina della civiltà occidentale. Al suo centro vi è l'articolazione tra universalismo ed esclusione, unità e separazione. La tendenza del Due a farsi Uno attraverso la subordinazione di una parte al dominio dell'altra. Tutte le categorie filosofiche e politiche che adoperiamo, a partire da quella, romana e cristiana, di persona, riproducono ancora questo dispositivo escludente. Perciò il congedo dalla teologia politica - in cui risiede il compito della filosofia contemporanea - passa per una radicale conversione del nostro lessico concettuale. Solo quando avremo restituito al pensiero il suo "posto" - relativo non al singolo individuo ma all'intera specie umana - potremo sfuggire alla macchina che da troppo tempo imprigiona le nostre vite.
Secondo Christopher Preston la cosa più sorprendente del nostro futuro è legata alle tecnologie emergenti che promettono di darci il potere di sostituire alcune delle funzioni fondamentali della natura. Quello che abbiamo di fronte è un mondo progettato da ingegneri e tecnici: la nascita della prima età sintetica del pianeta. Preston descrive una gamma di tecnologie che riconfigureranno il metabolismo stesso della Terra: nanotecnologie che possono ristrutturare le forme naturali della materia; la «produzione molecolare» che permette un riutilizzo illimitato delle molecole stesse; la possibilità di costruire, e non solo leggere, un genoma grazie alla biologia sintetica; «mini-macchine biologiche» che possono riprogettare l'evoluzione; il trasferimento e la bio-risurrezione di specie viventi; i tentativi dell'ingegneria climatica di gestire la radiazione solare sintetizzando una «foschia» vulcanica, la possibilità di ottenere temperature terrestri più fresche aumentando la luminosità delle nuvole e rimuovendo il carbonio dall'atmosfera con alberi artificiali che lo catturano dal vento...
Questo libro sfida l'ortodossia scientifica, e propone una nuova e accorata difesa del libero arbitrio impugnando gli stessi criteri naturalistici che di solito vengono impiegati per confutarlo. Christian List ammette che il libero arbitrio, insieme ai suoi prerequisiti - intenzionalità, possibilità alternative, controllo causale sulle nostre azioni -, non fa parte della fisica, e sostiene che esso vada invece considerato un fenomeno di «livello superiore», appartenente all'ambito della psicologia. È uno di quei fenomeni che, pur emergendo dai processi fisici, al pari di un ecosistema o dell'economia, resta autonomo da essi. Quando il libero arbitrio viene contestualizzato in modo corretto, ammettere che è reale non solo è scientificamente onesto, ma diventa indispensabile per spiegare il nostro mondo.