
Nel 2007 Umberto Galimberti ha pubblicato un libro, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, in cui descriveva il disagio giovanile da imputare, a suo parere, non tanto alle crisi psicologiche a sfondo esistenziale che caratterizzano l’adolescenza e la giovinezza, quanto a una crisi da lui definita “culturale”, perché il futuro che la cultura di allora prospettava ai giovani non era una promessa, ma qualcosa di imprevedibile, incapace di retroagire come motivazione a sostegno del proprio impegno nella vita.
A distanza di anni cos’è cambiato di quell’atmosfera che Galimberti aveva definito “nichilista”? Non granché, fatta eccezione per una percentuale forse non piccola di giovani che sono passati dal nichilismo passivo della rassegnazione al nichilismo attivo di chi non misconosce e non rimuove l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna. E dopo un confronto serrato con la realtà, si promuove in tutte le direzioni, nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni.
La parola ai giovani raccoglie la voce di questi giovani, che hanno un gran bisogno di essere ascoltati per poter dire quelle cose che tacciono ai genitori e agli insegnanti, perché temono di conoscere già le risposte, che avvertono lontane dalle loro inquietudini, dalle loro ansie e dai loro problemi. E allora si affidano a un ascoltatore lontano, che prende a dialogare con loro, non per risolvere i loro problemi, ma per offrire un altro punto di vista che li faccia apparire meno drammatici e insolubili.
“Al nichilismo passivo della rassegnazione, non sono pochi i giovani che sostituiscono il nichilismo attivo di chi, prendendo le mosse proprio da quel desolante scenario, e non da consolanti speranze o inutili attese, inventa il proprio futuro.”
"Uscito nel 1971, 'Una teoria della giustizia' di John Rawls può essere ormai considerato un classico della filosofia morale e politica contemporanea, da decenni al centro della discussione e della critica. Portando a un alto grado di generalizzazione e astrazione la tradizionale teoria del contratto sociale, Rawls propone una teoria della giustizia come equità che ha per oggetto i principi che modellano l'assetto fondamentale delle istituzioni della società. I principi di giustizia sono quelli che persone razionali sceglierebbero in una posizione iniziale di eguaglianza. In questa situazione ipotetica, nessuno conosce la propria posizione nella società, la propria sorte nella distribuzione, naturale e sociale, di doti e capacità. Deliberando dietro un 'velo di ignoranza', gli individui determinano i loro diritti e doveri, accordandosi sullo schema equo (giustificabile per tutte le parti) di distribuzione dei costi e dei benefici della cooperazione sociale." (Salvatore Veca)
Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è diventata l'ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità che, misurandosi sui soli criteri della funzionalità e dell'efficienza, non esitano a subordinare le esigenze dell'uomo alle esigenze dell'apparato tecnico. Inconsapevoli, ci muoviamo ancora con i tratti tipici dell'uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona. E poiché il suo funzionamento diventa planetario, questo libro si propone di rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l'età umanistica e che ora, nell'età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati alle radici.
“Quando i giorni del Messia saranno vicini, in quel tempo il Libro dello Zohar sarà rivelato a tutti”
Lo Zohar (Libro dello Splendore) è una fonte senza tempo di saggezza ed è la base della letteratura kabbalistica. Fin dalla sua comparsa, circa duemila anni fa, esso è stato la fonte primaria, e spesso l’unica, usata dai kabbalisti. Per secoli la Kabbalah è rimasta nascosta al grande pubblico, che si riteneva non fosse pronto per riceverla. Tuttavia, la nostra generazione è stata designata dai kabbalisti come la prima pronta ad acquisirne i concetti. Scritto con un linguaggio unico e metaforico, lo Zohar arricchisce la nostra conoscenza della realtà ed espande la nostra visione del mondo, ma non va letto in modo classico. Dobbiamo riflettere pazientemente e ripetutamente su ogni frase, per cercare di penetrarne il pensiero, per estrarne tutte le sfumature. Anche se il testo ha un unico soggetto, la relazione con il Creatore, l’approccio ha varie angolature. Questo consente a ognuno di noi di trovare quella particolare frase o parola che ci aiuta a conoscere questa sapienza così profonda ed eterna. Il professor Michael Laitman prosegue la divulgazione della saggezza della Kabbalah, proponendo qui la sua traduzione e il commento a estratti dello Zohar e del Commentario di Rabbi Yehuda Ashlag. Il suo lavoro ha il grande merito di liberare lo studio dello Zohar da qualsiasi tentativo di ridurne il senso storico e spirituale profondo, e di restituirlo nella sua effettiva complessità.
L’aggettivo «postsecolare» circoscrive un panorama storico e culturale che negli ultimi anni sembra aver sconfessato le diverse teorie della secolarizzazione. Il ritorno del religioso si profila e si configura sotto forme molteplici e richiede di essere analizzato da diverse discipline come la filosofia, la sociologia, la teologia e le scienze politico-giuridiche.
Il dibattito Habermas-Ratzinger sugli esiti della secolarizzazione, le analisi sociologiche di José Casanova sulle trasformazioni pubbliche delle religioni mondiali, le indagini di Hans Joas sul ruolo della contingenza nella postmodernità rappresentano solo alcuni degli snodi teorici di un dibattito sempre più animato e fiorente a livello internazionale.
Parlare di «rivincita di Dio» o di «reincantamento del mondo» significa, oggi più che mai, possedere bussole interpretative e validi contributi teorici per orientarsi nel cosmo del pluralismo delle fedi o per analizzare le derive dell’integralismo e del fondamentalismo religioso su scala nazionale e internazionale.
Questo volume si propone di fornire un quadro critico-ricostruttivo delle teorie e dei dibattiti che hanno elevato la categoria di postsecolare a chiave interpretativa imprescindibile per la comprensione dei mutamenti del religioso e delle religioni all’interno del complesso panorama sociale e politico globale.
L'intera vicenda di uomo e di studioso di Gottfried Wilhelm Leibniz è segnata da tendenze fortemente contrapposte. Impegnato nei campi più disparati del sapere -filosofia, scienze, matematica, storia, diritto - ebbe un atteggiamento al tempo stesso sistematico, enciclopedico e dialogico, pronto ad accogliere sollecitazioni di ogni provenienza. Le sue opere fondamentali i "Saggi di teodicea", volti a giustificare la presenza del male nel mondo, e la "Monadologia", in cui si formula una vera e propria concezione dell'universo - hanno esercitato un influsso decisivo stilla riflessione successiva. Nel volume sono illustrate e documentate storicamente le idee leibniziane, ma anche ricostruite le questioni teoriche e gli obiettivi scientifici ad esse sottesi.
In età contemporanea l'estetica pare frantumarsi e non essere più riducibile a un'immagine coerente. Eppure, per la mole di testi di estetica prodotti, gli ultimi cento anni possono definirsi il "secolo dell'estetica". A partire da quattro campi concettuali - vita, forma, conoscenza, azione - Perniola individua le linee di riflessione estetica che ne derivano e le illustra richiamandosi a diversi autori: da Dilthey a Foucault (estetica della vita), da Wölfflin a McLuhan e Lyotard (estetica della forma), da Croce a Goodman (estetica e conoscenza), da Dewey a Bloom (estetica e azione). Se ne aggiunge poi una quinta, che tocca l'ambito dell'affettività e dell'emozionalità (Freud, Heidegger, Wittgenstein, Lacan e Deleuze). Conclude il volume un ampio capitolo sul pensiero estetico non occidentale.
Mario Perniola è professore ordinario di Estetica e direttore del Centro Studi e Documentazione "Linguaggio e Pensiero" nell'Università di Roma Tor Vergata. Fra i suoi libri ricordiamo, pubblicati da Einaudi, "Contro la comunicazione" (2004) e "Miracoli e traumi della comunicazione" (2009). Al Mulino è uscito anche "Del sentire cattolico" (2001).
Nel 1930 líallora giovane filosofo si misurÚ con le opere di Husserl, formulando uníopera che Ë allíorigine della fenomenologia francese. Egli scelse una direzione di ricerca del tutto autonoma, eticamente orientata, in virt˘ della quale la fenomenologia appare come una ìfilosofia della libert‡î. Questo studio, fondamentale ai fini della comprensione del dibattito novecentesco sulla fenomenologia husserliana, appare per la prima volta nel nostro paese e completa la traduzione italiana delle principali opere di LÈvinas.
C'è un luogo comune e universale che ha dato vita all'umanità e in cui ogni essere umano continua a nascere. Questo luogo è il discorso, il sermo, direbbe Orazio: liquido amniotico dello spirito che ci traghetta dalla natura alla cultura, dalla vita istintiva alla vita sociale. Questa semplice evidenza reca però con sé tutti i problemi e i paradossi delle nostre credenze e dei nostri saperi, quindi i limiti delle nostre pretese verità e l'ambiguità di una presunta idea di realtà che da molto tempo ci accompagna. Il libro ne attraversa esemplarmente numerose figure emblematiche: dall'idioma dell'antico mondo della poesia cinese alla riflessione greca sui nomi, ai dialetti e alle lingue del medio evo e del mondo romanzo, alla formazione della nostra lingua volgare, sino ai lessici paradossali delle moderne scienze della natura e alla evoluzione darwiniana delle forme di vita. Da questi e da ancora altri percorsi emerge la proposta di una nuova etica del discorso, che ne curi le cecità e le superstizioni: estremo dono della filosofia al senso dell'uomo planetario in cammino.
Tradizione filosofica, cristianesimo, islamismo sono grandi muri di pietra, recinti del pensiero davanti a cui la riflessione umana si è arrestata e le costruzioni intellettuali più salde, anche quelle teologiche o scientifiche, possono diventare un alibi per non proseguire nell'interrogazione, per non confrontarsi con il deserto di certezze che la pura filosofia inesorabilmente rivela. Emanuele Severino ci conduce di fronte al rigore della Follia dell'Occidente. Ripercorre la nostra tradizione millenaria, dal Mito alla civiltà della Tecnica, e ne mostra i tragici e inevitabili fallimenti. Nel corso degli ultimi due secoli, la filosofia, per chi ne sappia scorgere il sottosuolo, ha saputo affrontare, aggirare e smantellare le prigioni che la tradizione occidentale ha innalzato attorno a sé a propria difesa. Severino riscopre nelle parole di Leopardi e nello Zarathustra di Nietzsche, nella rivolta di Ivan Karamazov e in qualche modo in Heidegger altrettanti "martelli" per distruggere il muro di pietra, altrettante vie alla comprensione del divenire dei corpi e delle anime, della nullità da cui, secondo la Follia dell'Occidente, veniamo e verso cui siamo inevitabilmente risospinti. Una vertiginosa riflessione sulla progressiva coerenza dell'alienazione che oggi domina il pianeta e che, pur lasciandosi alle spalle il "sonno mortale del divino" non si volge ancora verso "la verità eternamente splendente e manifesta in ognuno di noi".
Alle radici della storia dell'Occidente, in concetti come azione, volontà, potenza, si trova l'alienazione più profonda della verità, ossia l'estremo disfarsi della verità: nel senso in cui ci si libera di una ricchezza rimanendo impoveriti. A questo principio cruciale della filosofia di Emanuele Severino è dedicato questo libro che, parlando di arte, cristianesimo, politica, diritto, economia, mostra in azione l'essenza del nichilismo, il più potente dei meccanismi dell'errare. "Quando si parla di "nichilismo"" scrive l'autore "si intende per lo più il crollo dei valori tradizionali. Inoltre, solitamente, il nichilismo è una crisi soltanto descritta, ossia è presentato come un fatto che accade, ma che sarebbe potuto o potrebbe non accadere." Queste pagine ci esortano invece a prestare ascolto alla spinta che ha provocato l'inevitabile accadere della resa al nulla. Da Dante e Leopardi fino allo stato-azienda e ai governi tecnici, la riflessione di Severino svela il meccanismo oscuro che culmina nel rovesciamento del mezzo in scopo. Il risultato è un'analisi che porta allo scoperto come lo "scambio delle parti" derivi dall'origine di ogni alienazione del destino della verità e che dimostra - con nuovi scorci e riferimenti - come "la malattia nascosta 'il culmine dell'errare' sia la persuasione che le cose siano nulla, e il viverle come un nulla".
L’"analogia" è un tema ampiamente trattato dalla filosofia classica e medievale; l'"autoreferenza", a sua volta, domina in modo inequivocabile il dibattito filosofico moderno e contemporaneo. La letteratura inerente a questi due temi è, dunque, prevedibilmente vastissima. Ciò che sorprende, invece, è che non esiste a tutt’oggi uno studio che si sia posto il problema di comprendere che rapporti vi siano fra analogia e autoreferenza, se ve ne sono, e che cosa abbia determinato il passaggio, nel pensiero filosofico occidentale, dal primato del paradigma analogico al primato del paradigma autoreferenziale. Colmando una lacuna notevole della cultura filosofica e scientifica contemporanea, questo libro si propone come un primo passo verso una comprensione delle complesse e articolate relazioni che sussistono fra analogia e autoreferenza. Gli studi qui raccolti sono connotati da un elevato livello di astrazione; ciò dona al libro un carattere specialistico, ma allo stesso tempo rigoroso, requisito indispensabile per chi intende seriamente il “lavoro” di ricerca filosofica. Il volume è arricchito dalla traduzione italiana del classico saggio di Bochenski, L’analogia. Il libro è frutto del lavoro di un gruppo di ricerca interdisciplinare formato e coordinato dall’Istituto Filosofico di Studi Tomistici di Modena.