
Descrizione dell'opera
Il volume prende in considerazione la questione del rapporto tra il sistema hegeliano e la filosofia di Fichte assumendo come punto di partenza l’avvicinamento di due delle opere più profonde, complesse e stimolanti della filosofia moderna: la Scienza della logica di Hegel e il Fondamento dell’intera dottrina della scienza di Fichte. Tra le due impostazioni filosofiche emergono così i motivi di una contrapposizione decisiva per sondare fino in fondo le possibilità di riflettere sull’assoluto, di concepire in unità il sapere e di prospettare un agire comune.
Sommario
Premessa. Introduzione. Sul concetto di «critica filosofica»: la lettura hegeliana della dottrina della scienza tra riconoscimento e critica. 1. La critica hegeliana a Fichte nella «Scienza della logica». 2. La presenza fichtiana nella dottrina dell’essenza. 3. Conclusioni. La critica hegeliana a Fichte. Bibliografia. Indici.
Note sull'autore
Simone Furlani si è laureato in filosofia all’Università di Padova e ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia all’Università di Pisa. Ha studiato presso la Ludwig-Maximilian-Universität di Monaco di Baviera ed è stato borsista presso il Centro per le Scienze Religiose dell’Istituto Trentino di Cultura. Ha svolto attività di ricerca presso il dipartimento di Filosofia dell’Università di Padova.
"La grandezza e la modernità di Spinoza, che è uomo religioso, consistono nell'aver esorcizzato i fantasmi di una religiosità superstiziosa che continuamente evoca l'ultraterreno e sconfessa i poteri della ragione. Gli avversari più accaniti e intransigenti, tutti coloro che hanno esecrato Spinoza, erano ben consapevoli della sostanza esplosiva contenuta nel suo pensiero. Spinozismo vuol dire, infatti, sottoporre ogni evento naturale o sociale al controllo metodico di una ragione che obbedisce solo al suo "ductus", incurante di ogni autorità o di ogni vincolo che non siano l'esercizio stesso della ragione." (dall'introduzione di Remo Cantoni)
Aborrite, dunque, il male, coltivate e virtù, levate l'animo a rette speranze, protendete verso l'alto umili preghiere. Grande la necessità che vi è stata comminata, quella dell'essere onesti, se non volete fingere di non vedere, dal momento che voi vivete sotto gli occhi di un giudice che vede ogni cosa. (Severino Boezio)
Maria Zambrano (1904-1991) è stata una delle grandi figure della scena intellettuale di questo secolo, una pensatrice originale e profonda. Fu allieva del filosofo Ortega y Gasset e visse a lungo in esilio (in Italia dal 1954 al 1964), a causa della sua opposizione al franchismo. Tornata in Spagna nel 1984, vinse nel 1988 il Premio Cervantes. Nella sua opera occupa un posto privilegiato "Il sogno creatore", scritto nel 1965. Ma quella prima versione è soltanto una parte del presente volume, modificato e arricchito fino al punto di trasformarsi in un nuovo libro.
Pierre Sansot - autore, fra l'altro, di "Sul buon uso della lentezza" - se ne è andato lasciando un'opera postuma dedicata al tema di "quel che resta". Se l'eliminazione di ciò che viene ritenuto inutile, il culto forsennato del nuovo sembrano essere le parole d'ordine del mondo di oggi, Sansot invita a riconoscere con più serenità la presenza di tutto il resto, di tutto ciò che è altro da noi. Una presenza talvolta rivelatrice di assenza, un pieno che allude a un vuoto, una decisione che si fa all'improvviso esitazione. In questo libro si parla di briciole, rifiuti, avanzi, scarti, ma anche di reliquie, ricordi e rimorsi, di imponderabili tracce e devastanti macerie. Restare vuol dire anche insistere e resistere, difendere nella memoria di chi sopravvive il ricordo di un'esistenza, salvaguardare la propria umanità opponendo al resto spregevole della morte il potere di un sorriso, confidando che, qui e ora, "la nostra società e la nostra terra sono più belle che mai". Questo volume è un'opera incompiuta: il tempo e la malattia hanno impedito a Sansot di effettuare un'ultima revisione. Ma paradossalmente è proprio questa incompiutezza a rendere la prosa lieve e meticolosa.
L'obiettivo dichiarato di queste Lezioni - tenute da Foucault a Berkeley nel 1983 - è quello di ricostruire, attraverso la problematizzazione del concetto di verità, "una genealogia dell'atteggiamento critico nella filosofia occidentale". Il metodo seguito è quello dell'analisi filologica. Protagonista di questo seminario foucaultiano è infatti una parola, il termine "parresia", che connota, nella lingua greca, l'attività di colui che dice la verità. Seguendone il percorso nelle tragedie di Euripide, nei testi "socratici" di Platone, e via via in quelli di Aristotele e Plutarco, Epitteto e Galeno, Foucault restituisce a pieno le tensioni etiche della società greca, e insieme propone la questione centrale del suo metodo di indagine.
Uno dei maggiori esperti italiani della nonviolenza sintetizza, per un primo approccio propedeutico, i luoghi comuni più erronei sul tema e, dopo aver analizzato i tre ambiti in cui sperimentiamo la violenza (nella comunicazione sociale, negli scontri istituzionali e nei rapporti interpersonali quotidiani), l'autore illustra i principi essenziali della nonviolenza (da Gandhi a Galtung), le sue tecniche, le sue regole etiche, i suoi campi d'applicazione (dalla mediazione familiare all'opposizione alle guerre fra Stati). L'agile volumetto è completato con delle schede bio-bibliografiche su alcuni dei maggiori protagonisti della storia della nonviolenza nel mondo e con delle indicazioni pratiche per collegarsi con le 2 maggiori associazioni nonviolente in Italia.