
Non c'è filosofo, tra gli antichi e i moderni, che non abbia parlato di felicità. Dare ragione della vita e del modo di renderla migliore è stato parte essenziale di una competenza sui generis, dichiaratamente fondata sulla conoscenza dell'uomo, che ha mantenuto alto per secoli il prestigio di questa figura intellettuale. Medici dell'anima, o del disordine della mente, i filosofi hanno dispensato diagnosi e prescrizioni per rendersi felici con cognizione, indagando ogni piega del rapporto dell'individuo con se stesso, con gli altri, con la precarietà dell'esistenza. Il libro intende presentare al lettore, introducendoli e commentandoli, testi che esprimono con particolare forza la pretesa strategica che ha accompagnato a lungo la ricerca filosofica, dialogando spesso con gli altri saperi a disposizione di ciascuna epoca. Questo primo volume risale alle origini stesse della storia del pensiero, riconoscendo a queste voci un indiscutibile primato nel configurare una gamma di alternative poi sempre rivisitate. Il secondo volume, "Tra i moderni", ne presenta importanti sviluppi in alcune aree di discussione dell'età moderna, dove la questione si rinnova e diventa più complessa, rispetto all'universalismo fiducioso degli antichi, imponendo di superare alcuni parametri di implicita esclusione: il genere, la classe, la fede religiosa.
Alla fine del Seicento, Pierre Bayle sostenne con determinazione che era meglio essere atei, piuttosto che idolatri e superstiziosi, che era preferibile non avere una religione, piuttosto che una cattiva religione. Legata ad una appassionata difesa del principio di tolleranza, dei diritti della coscienza individuale, dell'autonomia morale, la società di atei teorizzata da Bayle si colloca agli antipodi dell'ateismo ideologico dei sistemi totalitari a noi più vicini. Questo libro non si limita a presentare la presa di posizione di Bayle e a studiarne le origini culturali, ma ricostruisce alcuni dei momenti della grande controversia sollevata dalle sue provocatorie tesi, che vide intervenire i massimi esponenti dell'età dei Lumi, da Montesquieu agli Enciclopedisti, da Rousseau a Kant. Ampio spazio è dato al contributo che il pensiero inglese, da Mandeville a Hume, portò, in sotterraneo dialogo con Bayle, sul problema delle origini e della funzione sociale della religione e sulla questione del rapporto fra ateismo e politica.
A un primo sguardo, musica e filosofia sembrano due attività umane disparate, lontane tra loro quanto possono esserlo la morbida sensualità del canto e il silenzioso rigore del pensiero razionale. Eppure, fin dall'antichità emerge l'idea di una segreta affinità tra musica e filosofia, che ne intreccia i destini. A partire dalle idee sulla musica dei filosofi antichi, attraverso le concezioni medievali e rinascimentali, il volume considera l'impatto della rivoluzione scientifica, la stagione illuminista e gli sviluppi ottocenteschi, per giungere infine al ricco dibattito teorico contemporaneo.
Che impatto ebbero le notizie etnografiche via via provenienti dal Mondo Nuovo sui maggiori filosofi moderni, quali Montaigne, Hobbes, Locke, Vico, Montesquieu, Rousseau, e su alcune correnti di pensiero come, nel Seicento, il libertinismo, e, nel Settecento, la scuola scozzese di Ferguson, Adam Smith, Robertson? Su quali basi si svilupparono le indagini filosofiche caratteristiche dell'età moderna, che riguardavano la relatività di costumi e valori, il rapporto fra le società e le istituzioni politiche, l'origine delle religioni, i modi di procurarsi il sostentamento, la distinzione, nell'uomo, fra natura e cultura? "I filosofi e i selvaggi" di Sergio Landucci ricostruisce con estrema chiarezza un complesso panorama intellettuale, filosofico e antropologico, popolato di grandi protagonisti del pensiero, di fondamentali teorie e scoperte che pervengono fino ad oggi: la possibilità di convivenza in assenza dello Stato, il radicamento della religione in reazioni emotive profonde, la dipendenza dei modi di vivere dai modi di soddisfare i bisogni primari, i costi della civilizzazione; senza trascurare di portare in luce la formazione di lessici adeguati a siffatte problematiche, con al centro la nozione stessa di civiltà.
Nel 1841 Schopenhauer riunisce sotto il titolo «I due problemi fondamentali dell'etica» due trattati: «Sulla libertà del volere umano» e «Sul fondamento della morale». Nel primo l'autore nega il libero arbitrio. Ogni vivente ha una sua natura, che è attiva; può fare quello che vuole, e perciò si ritiene libero, ma non può volere se non quello che la combinazione dei motivi e delle circostanze gli suggerisce. Nel secondo trattato individua come fondamento dell'etica la rottura del 'principium individuationis' che relega l'uomo nell'egoismo; l'unico antidoto all'egoismo è la compassione, che neutralizza l'istinto a servirsi degli altri come mezzo per il raggiungimento dei propri fini e che fa rispecchiare negli altri ("Tat twam asi" = questo sei tu).
Accanto alle varie interpretazioni filosofiche di questo enigmatico classico esiste da sempre in Cina una tradizione oracolare che si rifà alle immagini sciamaniche del testo, rifuggendo da letture precostituite. Su tale base, il contenuto immaginale del libro acquista senso specifico nel dialogo con la domanda e la situazione del consultante, così come accade nell'interpretazione di un sogno. La polivalenza di significato dei caratteri e l'assenza di struttura grammaticale danno ai testi cinesi più antichi una fluidità di senso sconosciuta alle lingue occidentali, ragione per cui ogni traduzione è inevitabilmente una restrizione della loro ricchezza semantica. La presente traduzione dell'"I Ching" si serve di accorgimenti particolari per ovviare a questa limitazione: un'unica parola italiana restituisce ogni carattere cinese, evidenziandone un nucleo semantico; a essa però si affianca l'intera gamma dei significati del carattere, in modo tale che chiunque possa accedere all'intero spettro semantico che un lettore cinese coglie immediatamente.
Interrogando in modo costruttivo il senso profondo della crisi di idee, valori e relazioni che vive il nostro paese, la domanda sul contributo dei cattolici può sottrarsi alla tentazione delle risposte piccole. Una serie di nodi irrisolti s'intravede oltre l'emergenza: giudizi storici - e autocritici - da condividere, vocazioni appassionate da suscitare, laboratori di discernimento culturale da istituire, progettualità competenti e coraggiose da elaborare, attitudini dialogiche e cooperative da mettere alla prova. Una proposta in dieci punti, che interpella la comunità cristiana e provoca la politica. Nel segno di una reciprocità virtuosa da ritrovare e di una storia comune da riscrivere.
Dove si trova oggi il potere? Ha ancora senso cercarlo negli spazi della politica, della vita militare e del mondo imprenditoriale, cioè negli ambiti con i quali è stato tradizionalmente identificato? Il filosofo Oreste Aime esprime l'idea che il potere vada cercato nella finanza e nella tecnica e, in particolare, nel loro intreccio. Sia l'una che l'altra, infatti, condividono la tensione alla crescita senza limiti perché il denaro vuole moltiplicarsi e la tecnica espandere la sua potenza.
"Come leggiamo nell'introduzione, anche 'Los bienaventurados', 'I beati', l'ultima opera di Maria Zambrano pubblicata prima della sua morte (1991), vuole realizzare una 'conoscenza poetica', ossia un genere di sapere che nasce dalla simbiosi di ragione e passione, lucidità intellettuale e trasporto emotivo. Un sapere, un pensiero, dunque, che potremmo definire 'creaturale', anzi, con la Zambrano, 'viscerale', e il cui organo a un tempo conoscitivo e creativo è una 'ragione poetica' che applica un metodo 'totale', valorizzando l'intuizione e la rivelazione senza rinnegare l'esigenza di chiarezza da cui è da sempre animata la filosofia. Una ragione così intesa, che Maria Zambrano chiama anche 'logos sotterraneo' o 'logos embrionario', alimenta l'opera della pensatrice andalusa sin dai suoi inizi. Le pagine de 'I beati' mostrano molto efficacemente come la ragione poetica trovi il suo veicolo ideale nella messa a fuoco e nell'interpretazione di alcuni simboli fondamentali: la serpe-vita, il ponte-speranza, l'esilio come espressione della perdita di identità necessaria all'acquisizione di un'identità più intera, i 'beati' come incarnazione del superamento dell'antitesi tra pensiero e vita. Nel loro scaturire dall'azione congiunta di riflessione e immaginazione, e come mette esemplarmente in chiaro un altro di essi, il simbolo della bilancia, questi simboli sono insieme seme e frutto della simbiosi, anzi della 'danza', tra sentire e capire, tra poesia e filosofia." Carlo Ferrucci
Parlare di filosofia ai bambini significa trasmettere la storia dei filosofi e delle loro idee o aiutarli a ragionare e a sviluppare un pensiero critico? Il libro racconta un'esperienza di insegnamento in cui le due opzioni non si escludono, ma sono complementari. I bambini possono riflettere sull'origine della vita, la responsabilità personale o il rapporto con gli altri mediante la conoscenza delle storie e delle idee di Pitagora, Platone, Confucio e Lao-tse. Attraverso una riflessione generale sull'insegnamento di questa disciplina e, in particolare, sulla sua didattica con i bambini, l'autore offre un esempio concreto e originale di pratica filosofica nella scuola elementare.