
A metà degli anni Cinquanta l'autore, esonerato dall'insegnamento, ebbe l'occasione per un lungo confronto con la tradizione cristiana nella gioia dell'incontro con la tradizione viva che, sgorgata dal Vangelo, prosegue senza interruzione nella vita della Chiesa. Interpretando e spiegando con rigore scientifico e entusiasmo, de Lubac ha compiuto un itinerario che i più recenti progressi filologici e storici non hanno annullato. Il testo presentato è il primo volume della sezione quinta "Scrittura ed Eucarestia", ovvero il 17° volume dell'Opera Omnia.
A metà degli anni Cinquanta l'autore, esonerato dall'insegnamento, ebbe l'occasione per un lungo confronto con la tradizione cristiana nella gioia dell'incontro con la tradizione viva che, sgorgata dal Vangelo, prosegue senza interruzione nella vita della Chiesa. Interpretando e spiegando con rigore scientifico e entusiasmo, de Lubac ha compiuto un itinerario che i più recenti progressi filologici e storici non hanno annullato. Il testo presentato è il secondo volume della sezione quinta "Scrittura ed Eucarestia", ovvero il 18° volume dell'Opera Omnia.
A metà degli anni Cinquanta l'autore, esonerato dall'insegnamento, ebbe l'occasione per un lungo confronto con la tradizione cristiana nella gioia dell'incontro con la tradizione viva che, sgorgata dal Vangelo, prosegue senza interruzione nella vita della Chiesa. Interpretando e spiegando con rigore scientifico e entusiasmo, de Lubac ha compiuto un itinerario che i più recenti progressi filologici e storici non hanno annullato. Il testo presentato è il terzo volume della sezione quinta "Scrittura ed Eucarestia", ovvero il 19° volume dell'Opera Omnia.
Con questo volume si conclude l'Esegesi medievale di de Lubac e si giunge ad Erasmo, aprendosi così a quell'Umanesimo già insito nel Medioevo, che però l'Europa interpretò successivamente in forme riduttive. Nella "Memoria intorno alle mie opere" l'autore ricordò le circostanze in cui nacquero i quattro volumi che compongono "Esegesi medievale". A metà degli anni Cinquanta, esonerato dall'insegnamento, ebbe l'occasione per un lungo confronto con la tradizione cristiana nella gioia dell'incontro con la tradizione viva che, sgorgata dal Vangelo, prosegue senza interruzione nella vita della Chiesa. Interpretando e spiegando con rigore scientifico e entusiasmo, de Lubac ha compiuto un itinerario che i più recenti progressi filologici e storici non hanno annullato. Il testo presentato è il quarto volume della sezione quinta "Scrittura ed Eucarestia", ovvero il 20° volume dell'Opera Omnia.
Le vie di Dio non sono inaccessibili all'uomo, anzi sono tracciate per l'uomo
La sezione dellíOpera Omnia nella quale Ë collocato il presente volume si chiama líuomo davanti a Dio. Eí come la delimitazione di un campo. Sulla scena del mondo líuomo puÚ semplicemente negare Dio come fecero tanti pensatori del XX secolo: ha allora origine il dramma dellíateismo le cui conseguenze sono ancora di fronte a noi. Si possono invece riorganizzare schematicamente le conoscenze ricevute in modo ìscolasticoî e allora ha origine il sistema cui sfugge líessenziale. Si puÚ, infine, secondo la via scelta da de Lubac, mettersi in ascolto della tradizione per coglierne lo slancio vitale ad accogliere Dio e la sua rivelazione.
Tre sono i movimenti interni al volume. Vi Ë uníidea di Dio presente nellíuomo e in qualche modo costitutiva della sua persona. Solo líaffermazione di Dio, difatti, permette di sostenere la dignit‡ dellíuomo e il suo destino eterno. Al contrario le prove dellíesistenza di Dio come la sua conoscibilit‡ devono passare al vaglio purificatore della negazione: quello che conosciamo di Dio, infatti, Ë riduttivo e alienante rispetto alla sua grandezza. La poca conoscenza che líuomo ha di Dio si scontra poi con líinsufficienza delle sue capacit‡ espressive. Dio resta perciÚ un mistero che sovrabbonda le capacit‡ concettuali dellíuomo. Dio stesso perÚ si Ë messo in viaggio per farsi conoscere dallíuomo; questi deve a sua volta mettersi in viaggio per accogliere Dio, per fare in sÈ spazio alla sua immensa ricchezza.
La conclusione Ë un inno di ringraziamento a Dio per il suo amore manifestatosi nella creazione e nella redenzione. Uno dei volumi pi˘ affascinanti di de Lubac, uníopera che parla realmente di Dio, non degli artifici pi˘ o meno brillanti dei teologi.
"Una notizia sorprendente". È con queste parole che Henri de Lubac accoglie l'annuncio della sua partecipazione al Concilio Vaticano II. I suoi Quaderni ripercorrono i due anni di preparazione e le quattro sessioni conciliari, senza tralasciare le intersessioni. Ci permettono così di assistere alla discussione degli ordini del giorno, ma anche, in occasione delle riunioni della Commissione teologica e delle sottocommissioni, all'elaborazione dei testi successivamente presentati ai Padri conciliari. Padre de Lubac, eminente teologo e uomo di grande spirito, offre al lettore una guida sicura, introducendolo in quel magma teologico che fu il Concilio e permettendogli di cogliere la posta in gioco di dibattiti talvolta animati. Questi quaderni ci invitano ad una più profonda comprensione storica e teologica del Concilio. Oggi, seguendo lo stesso schema preparato da de Lubac, l'"Opera Omnia" esce anche in francese presso le Editions du Cerf, che hanno da poco pubblicato in lingua originale i quaderni del Concilio.
"I due volumi di de Lubac mantengono tutto l'interesse per la storia della ricezione e degli effetti del pensiero di Gioacchino da Fiore. Anche in tutte queste pagine, appare l'erudizione prodigiosa del gesuita francese. Quella che egli delinea è una straordinaria storia del pensiero e della nostra tradizione. [...] Il gesuita teologo non ha fatto però soltanto opera di storico erudito. È stato teologo e uomo di Chiesa, e non ha nascosto le sue carte. Egli medesimo ci dà la chiave di lettura, il suo punto di vista, e riconosce la sua come una lettura non neutra della storia (ma esiste una lettura totalmente neutra, distaccata?). Per capire, ricordiamo che egli pubblica negli anni dopo il concilio Vaticano II, e dopo quel sommovimento della società occidentale che è indicato (simbolicamente) come il 'sessantotto'. [...] Gioacchino da Fiore ha lasciato un'eredità importante, forse anche ingombrante. Ma ha anche trasmesso in determinati momenti storici e per una parte della sua posterità una certa speranza, a volte diventata utopia, a volte suscitatrice di apertura allo Spirito di Dio, che è sempre Spirito creatore". (dall'introduzione di Azzolino Chiappini)
«I due volumi di de Lubac mantengono tutto l’interesse per la storia della ricezione e degli effetti del pensiero di Gioacchino da Fiore. Anche in tutte queste pagine, appare l’erudizione prodigiosa del gesuita francese. Quella che egli delinea è una straordinaria storia del pensiero e della nostra tradizione. […] Il gesuita teologo non ha fatto però soltanto opera di storico erudito. È stato teologo e uomo di Chiesa, e non ha nascosto le sue carte. Egli medesimo ci dà la chiave di lettura, il suo punto di vista, e riconosce la sua come una lettura non neutra della storia (ma esiste una lettura totalmente neutra, distaccata?). Per capire, ricordiamo che egli pubblica negli anni dopo il concilio Vaticano II, e dopo quel sommovimento della società occidentale che è indicato (simbolicamente) come il ‘sessantotto’. […] Gioacchino da Fiore ha lasciato un’eredità importante, forse anche ingombrante. Ma ha anche trasmesso in determinati momenti storici e per una parte della sua posterità una certa speranza, a volte diventata utopia, a volte suscitatrice di apertura allo Spirito di Dio, che è sempre Spirito creatore». (Dall’Introduzione di Azzolino Chiappini)
La separazione tra Medioevo e Rinascimento è il risultato del mancato adempimento delle possibilità culturali del movimento rinascimentale.
«Il senso che la Chiesa, e l'appartenenza ad essa, riveste per il credente in Cristo, per il suo essere uomo e la sua salvezza è tutt'altro che scontato: verrebbe anzi da dire che è sempre meno scontato. Quale sia il motivo per cui, in altri termini, la salvezza si realizzi - pur in modo incipiente - in forma ecclesiale e perché il credere del cristiano sia strutturalmente un con-credere rimane quasi sempre questione inevasa. [...] La visione ecclesiologica di de Lubac resta a tutt'oggi, tra gli studi occidentali, una delle poche all'altezza di una tale fondamentale questione. Ciò è evidente quando si leggano i testi a carattere ecclesiologico del teologo di Lione in raffronto con gli altri suoi studi, soprattutto quelli sul soprannaturale: cosa assolutamente legittima e forse doverosa dal momento che, come ha notato un autorevole commentatore come Balthasar, in Cattolicismo c'era già in nuce tutto quanto si sarebbe sviluppato nella monumentale opera di de Lubac. In un tale orizzonte appare infatti evidente come esista, per così dire, un "aspetto sociale del soprannaturale": tanto più visibile quanto più si passi da una sua considerazione in termini formali a una sua lettura che ne rifletta la concretezza cristologica. L'uomo è creato non solo in una generica immagine di Dio, ma porta impressa in sé l'immagine del Figlio fatto uomo, dell'Unigenito che si è fatto il "primogenito di molti fratelli" (Rm 8,29): per questo non esiste altra vocazione umana che non sia quella alla filiazione divina e, dunque, alla fraternità con gli altri uomini. Il senso per il quale la Chiesa sia la forma incipiente della salvezza è rinvenibile quando si consideri che non esiste uomo se non in Cristo e, dunque, vocato alla filiazione divina e alla fraternità inter-umana. Per l'uomo essere è partecipare dell'essere di Cristo e dunque, co-essere con gli altri uomini, suoi fratelli. Si tratta di dimensioni fondamentali e in certo senso previe a qualunque altra riflessione ecclesiologica, su cui l'opera delubachiana può ancora beneficamente indirizzare.» (Dall'Introduzione di Roberto Repole alla Sezione terza dell'Opera Omnia)
«Il senso che la Chiesa, e l'appartenenza ad essa, riveste per il credente in Cristo, per il suo essere uomo e la sua salvezza è tutt'altro che scontato: verrebbe anzi da dire che è sempre meno scontato. Quale sia il motivo per cui, in altri termini, la salvezza si realizzi - pur in modo incipiente - in forma ecclesiale e perché il credere del cristiano sia strutturalmente un con-credere rimane quasi sempre questione inevasa. [...] La visione ecclesiologica di de Lubac resta a tutt'oggi, tra gli studi occidentali, una delle poche all'altezza di una tale fondamentale questione. Ciò è evidente quando si leggano i testi a carattere ecclesiologico del teologo di Lione in raffronto con gli altri suoi studi, soprattutto quelli sul soprannaturale: cosa assolutamente legittima e forse doverosa dal momento che, come ha notato un autorevole commentatore come Balthasar, in Cattolicismo c'era già in nuce tutto quanto si sarebbe sviluppato nella monumentale opera di de Lubac. In un tale orizzonte appare infatti evidente come esista, per così dire, un "aspetto sociale del soprannaturale": tanto più visibile quanto più si passi da una sua considerazione in termini formali a una sua lettura che ne rifletta la concretezza cristologica. L'uomo è creato non solo in una generica immagine di Dio, ma porta impressa in sé l'immagine del Viglio fatto uomo, dell'Unigenito che si è fatto il "primogenito di molti fratelli" (Rm 8,29): per questo non esiste altra vocazione umana che non sia quella alla filiazione divina e, dunque, alla fraternità con gli altri uomini. Il senso per il quale la Chiesa sia la forma incipiente della salvezza è rinvenibile quando si consideri che non esiste uomo se non in Cristo e, dunque, vocato alla filiazione divina e alla fraternità inter-umana. Per l'uomo essere è partecipare dell'essere di Cristo e dunque, co-essere con gli altri uomini, suoi fratelli. Si tratta di dimensioni fondamentali e in certo senso previe a qualunque altra riflessione ecclesiologica, su cui l'opera delubachiana può ancora beneficamente indirizzare.» (Dall'Introduzione di Roberto Repole alla Sezione terza dell'Opera Omnia)