
"Più che dissipare l'ombra di Caino, dobbiamo accoglierla. Perchè ci talloni in termini critici.
Si dice: "non voglio neanche vedere l'ombra di te" quando uno ci sta sullo stomaco. Invece noi l'ombra di Caino non dobbiamo scrollarcela di dosso, ma dobbiamo accoglierla e dissipare, semmai, lo spirito di Caino che è in noi."
Il rapporto con l'altro, con il diverso, con coloro cioè che non erano riducibili alla sua norma, il Signore l'ha sfuggito o l'ha cercato?
L'ha dribblato o l'ha provocato?
L'ha temuto o l'ha desiderato?
E quando è avvenuto il confronto con l'altro, Gesù ne ha rispettata l'identità o l'ha violentata?
Nelle sue relazioni umane con il diverso, prevale in Gesù il "riconoscimento dell'alterità" o la "smania dell'omologazione"?
Don Tonino aveva di certo intuito che la dignità non è questione di riconoscimento dell'altro. Così come è. Vale per le donne, ma non solo per loro.
Non vorremo però anche noi, come lui scrive a Myriam, essere accusati “di aver fornito imprudentemente ai circoli femministi pericolosi argomenti biblici, strumentalizzabili per le loro rivendicazioni”. Ma vorremmo che queste pagine fossero usate, e le donne soprattutto le usassero, per fare battaglie per riconoscere la dignità a ognuno e ovunque. Al di là delle quote e delle appartenenze. Perché la salvezza è universale: la facciamo tutti ed è un diritto di tutti
“C’è, nella storia, una continuità secondo ragione, che è il futurum. È la continuità di ciò che si incastra armonicamente, secondo la logica del prima e del dopo. Secondo le categorie di causa ed effetto. Secondo gli schemi dei bilanci, in cui, alle voci in uscita, si cercano i riscontri corrispondenti nelle voci in entrata: finché tutto non quadra.
E c’è una continuità secondo lo Spirito, che è l’adventus.
È il totalmente nuovo, il futuro che viene come mutamento imprevedibile, il sopraggiungere gaudioso e repentino di ciò che non si aveva neppure il coraggio di attendere.
In un canto che viene eseguito nelle nostre chiese e che è tratto dai salmi si dice: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi: ha fatto germogliare i fiori tra le rocce!”. Ecco, adventus è questo germogliare dei fiori carichi di rugiada tra le rocce del deserto battute dal sole meridiano.
Promuovere l’avvento, allora, è optare per l’inedito, accogliere la diversità come gemma di un fiore nuovo, come primizia di un tempo nuovo. Cantare, accennandolo appena, il ritornello di una canzone che non è stata ancora scritta, ma che si sa rimarrà per sempre in testa all’hit parade della storia”.
Fino a quando nelle nostre città la costruzione del regno non sarà organizzata dagli amici del cambio, dagli appassionati della rivolta, dai poveri che si ribellano, dai condannati alle piccole croci quotidiane, da chi vi rimane schiacciato sotto, da chi è ingiustamente spogliato di tutto come Cristo, da chi viene abbeverato con l'aceto e il fiele di una vita insostenibile, avremo sempre aurore senza mattino. E i macigni continueranno a ostruire i nostri sepolcri, lasciandoci privi di una memoria spiritualmente eversiva. Queste pagine sono dedicate a loro, pietre scartate dai costruttori che fanno le sorti della Storia. Il loro anelito di vita muta in serbatoio di speranze questa allucinante vallata di tombe che è la terra.
"Perché un'idea possa camminare deve entrare nella struttura. Però a un certo momento deve anche trascendere la struttura e uscirne, altrimenti si assolutizza la struttura. Questa è portata per natura stessa ad autoconservarsi; le lotte più feroci le fanno tante persone di potere non per raggiungere il potere ma per conservarlo. La conservazione del potere provoca più sangue di quanto non comporti la conquista del potere. Bisogna costantemente avere questa capacità critica per sapersi estraniare dalla struttura, per saperne uscire."
"La politica è anzitutto arte. Il che significa che chi la pratica deve essere un artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre più all'invenzione creativa che gli viene chiesta dalla irripetibilità della persona. La politica è, poi, arte nobile. Nobile perché legata al mistico rigore di alte idealità. Nobile, perché emergente di incoercibili esigenze di progresso, di pace, di libertà. Nobile, perché ha come fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria."
È noto che, in occasione del 150mo anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa universale, il Papa ha indetto uno speciale «Anno di San Giuseppe», durante il quale - come si legge nel Decreto della Penitenzieria Apostolica, col quale si concede il dono di speciali Indulgenze - «ogni fedele sul suo esempio possa rafforzare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio». Per guidare e accompagnare la nostra riflessione, Francesco ha pubblicato una lettera apostolica nella quale di san Giuseppe ha inteso illustrare un particolare aspetto: quello della paternità. La lettera ha, per questo, come titolo: Patris corde che, secondo una consolidata prassi, è l'espressione con la quale si apre il documento: «Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli "il figlio di Giuseppe"». Opportuna, dunque, l'iniziativa di ripubblicare un ampio testo del Servo di Dio Antonio Bello nel quale la figura di san Giuseppe è un po' il filo conduttore. Si tratta dell'intervento che egli fece ad Assisi in occasione del 42° Convegno Giovanile che si svolse dal 27 al 31 dicembre 1987 presso la Cittadella di Assisi sul tema: "Catturati dall'effimero?" Questo spiega il sottotitolo della conferenza ora di nuovo pubblicata: "Nella società dell'usa e getta", che fa da sfondo all'esposizione e, in qualche maniera, ne guida la stesura. (Dalla prefazione del Card. Marcello Semeraro) "La carezza di Dio" di don Tonino Bello in una nuova edizione, co-edita con Luce e vita, pubblicata in occasione dell'"Anno di San Giuseppe" indetto da Papa Francesco, con prefazione del Card. Marcello Semeraro e introduzione di Mons. Domenico Cornacchia.
Alle soglie del giubileo sacerdotale indetto da Benedetto XVI, il volume propone i principali scritti di don Tonino Bello sulle caratteristiche umane, ministeriali e profetiche del presbitero oggi. Non si tratta di una trattazione teorica ma di parole incarnate nell'esistenza e nell'impegno ecclesiale dello stesso don Tonino Bello, un testimone giunto dall'avvenire. Gli scritti, disposti in cinque sezioni, tratteggiano la figura sacerdotale nel mondo contemporaneo (Essere sacerdote oggi), propongono indicazioni di ruolo pastorale (Profili), offrono incoraggiamenti biblicamente fondati (Esortazioni), suggeriscono criteri interrogativi per l'esame di coscienza (Spine nel fianco), a prono alla contemplazione (Preghiere). Pagine quanto mai preziose, che rinviano ad altre pagine: in ogni riga è infatti leggibile la necessità, per il presbitero, di ridefinire la propria identità ritornando a Dio,alla sua Parola, al rapporto intimo con Cristo Signore nella preghiera.
Briciole. Cioè una parte del tutto, che allude al tutto e lo contiene. Come un pezzo di pane. Come un frammento di particola consacrata. Come un colore dell’iride rispetto alla luce. Come un do musicale che ingloba tutte le note. Ecco un volume bello e prezioso. Lampi di verità. Sintesi che sorprendono, su cui vale la pena attardarci per la vastità a cui rinviano, per la pienezza di cui sono presagio. Semi che ambiscono a diventare gemme. Poche parole, insomma, che se accolte in radice valgono più di mille libri, generano più di mille vocazioni, colorano più di mille arcobaleni, mutano più di mille alfabeti. (Formato extra-large: cm 15x15, con 50 foto a colori di Don Tonino Bello)
La necessità di riproporre all'uomo d'oggi la "novitas christiana", presuppone la disponibilità a ripartire per le strade del mondo con un equipaggiamento essenziale, limitato al bastone del pellegrino, segno di transumanza, e alla bisaccia del cercatore, scrigno pronto ad accogliere i valori altrui. Nella bisaccia, il carico leggero di cinque simboli quasi senza peso: un ciottolo del lago, un ciuffo d'erba del monte, un frustolo di pane, una scheggia della croce, un calcinaccio del sepolcro vuoto. Allegorie dell'accoglienza nel quotidiano, dell'altezza utopica delle beatitudini, dell'impegno concreto nell'affrontare le grandi sfide contemporanee, della disponibilità a perdersi per la vita del mondo, della speranza teologale che rende indomiti e presenti. Una chiamata per i giovani e per chi intende testimoniare la fede giovane.