
"Il semplice fatto che alla fine del volume precedente della "Teodrammatica" non si sia potuto abbozzare un'antropologia neutrale, ma soltanto un'antropologia analogicamente articolata in base all'evento "storico di Gesù Cristo, già dimostra che una teoria dell'uomo (e del mondo che l'uomo ricapitola) si può portare a termine soltanto in una cristologia che le faccia da sfondo". "Questo volume si affida per più di una ragione alla comprensione del lettore. Anzitutto per la sua posizione paradossale in una teodrammatica: intende presentare i personaggi più in vista del dramma senza entrare ancora nel dramma stesso, cosa possibile soltanto se essi sono già caratterizzati come personaggi del dramma, cioè come già intimamente incisi e condizionati dal loro carattere drammatico e dalla loro effettiva, posizione nel processo teologico del mondo. In più di un punto ciò si vedrà da sé o lo si richiamerà. Perciò, quanto ai personaggi principali, dovremo invadere ogni tanto il campo dei grandi "trattati" teologici, la ricchezza materiale dei quali qui non potrà essere neppure passata in rassegna. In questa nostra "locandina teatrale" verrà esposto soltanto il profilo, lo schizzo dei personaggi, soltanto nella misura in cui dovrà risultare riconoscibile la loro posizione nel dramma. Il "profilo" non viene poi tracciato in vista di un completamento dei contenuti da farsi più avanti: più avanti non si tratterà che della drammatica proposta nel titolo generale." (dalla introduzione e prefazione)
In questo quarto volume si tratta di un'«azione» lungamente preparata. Nel primo è stata anzitutto elaborata una precomprensione della categoria del drammatico come introduzione alla comprensione della rivelazione (o «teologia»). Poi occorreva presentare i personaggi del dramma. Ma nella tensione tra la libertà riconosciuta della creatura davanti a Dio (vol. due) e l'inclusione di questa libertà in Cristo, a partire dal quale soltanto si danno personaggi teodrammatici (vol. tre), c'era già l'esca di accensione per qualcosa di così esplosivo che non si poteva cominciare altrimenti che nel «segno dell'Apocalisse». Essa già indica che l'agire della libertà umana non può essere aggirato o sorvolato dal più vasto agire dell'«Agnello come immolato» e ridotto a fattore inoffensivo. Qui il discorso non è quello di una apocatastasi che inserisce l'impegno cristiano tra Dio e l'uomo in un panorama filosofico (alla maniera di Plotino o di Hegel) circa un'emersione e un rientro del mondo nella divinità. Giacché si dà un'insurrezione titanica degli uomini contro la loro inclusione nel mistero della croce. Fin dal tempo di Cristo esiste una passione anticristica: «Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, essi sarebbero senza peccato». Solo là dove si apre il cielo si spalanca anche l'inferno.
"Questo libro ultimo della Teodrammatica sfocia in pieno in ciò che Karl Rahner definisce di tutto diritto enfaticamente come il mistero di Dio. Ciò che si può dire alla fine circa l'ultimo atto del dramma tra cielo e terra non sono che termini stupefatti e balbettanti, che girano intorno a questo mistero, termini che si appoggiano ad alcune lampeggianti parole ed allusioni della Scrittura. Sì è tentato di andare fino al limite consentito dalla Scrittura - per alcuni forse un passo più avanti - ma di fermarsi rigorosamente là dove speculazioni apparentemente logiche hanno condotto soltanto in un vuoto astratto o davanti a superflue segnalazioni di divieto. Non è "scientifico", neppure in campo teologico, parlare 'con esattezza' di cose che non si possono sapere (per esempio dello 'stato intermedio'). Conforme all'avvertimento dell'Aquinate si è cercato di costruire della teologia sugli articoli di fede (e non inversamente) - sulla Trinità, sull'Incarnazione del Figlio, sulla sua vicarietà per noi in croce e nella resurrezione, sulla sua missione dello Spirito a noi nella Chiesa apostolica e nella Communio Sanctorum - la quale teologia è la sola chance per il fatto che anche oggi ed in futuro si possa attuare una testimonianza di vita (e di morte) per 'il supremo dono di Dio', che solo così diviene 'irreversibile e insuperabile'." (dalla nota preliminare)
Verità del Mondo è il primo volume di Teologica, la terza anta della trilogia di Balthasar che vede prima Gloria (l’Estetica) e Teodrammatica. Come nell’Estetica sono messe in relazione bellezza del mondo e gloria di Dio, e come nella Teodrammatica la libertà finita e divinamente infinita, così nella Teologica si riflette sulla relazione tra la struttura della verità creata e di quella divina.
«Il presente volume, Verità del Mondo, procede prevalentemente per via filosofica. L’essere finito viene indagato nelle sue strutture di verità [...]. In questa indagine il lettore incontrerà forse qualcosa di meno solito, qualcosa di impercettibilmente uscito di vista a cominciare dall’antichità ed anche dalla patristica, ma che si può senz’altro giustificare in retrospettiva sulla grande tradizione. [...] Solo nel capitolo finale diverrà tematico il rinvio delle strutture intramondane da noi indagate a un divino Logos trascendente».
«L’unità indissolubile della verità terrena con il movimento del bene e del bello indica con sufficiente chiarezza in direzione del significato di questo mistero dell’essere, che deve consistere nell’assoluto accrescimento e adempimento del mistero di Dio stesso: mistero della dedizione senza perché, alla quale dev’essere ricondotto tutto ciò che si deve capire come alla causa che fonda se stessa. [...] Ma che ci sia in genere verità ed eterna verità ha il suo fondamento nell’amore. Se la verità è la cosa più estrema in Dio, allora noi potremmo guardare con gli occhi aperti nei suoi abissi, abbacinati forse da tanta luce, ma non impediti nella spinta del nostro desiderio di verità».
Lo Spirito della Verità è il terzo volume di Teologica, la terza anta della trilogia di Balthasar che vede prima Gloria (l'Estetica) e Teodrammatica.
Come nellEstetica sono messe in relazione bellezza del mondo e gloria di Dio, e come nella Teodrammatica la libertà finita e divinamente infinita, così nella Teologica si riflette sulla relazione tra la struttura della verità creata e di quella divina.
Questo terzo volume di Saggi teologici si aggira attorno al tema «Spirito Santo». Il primo era costruito, come attorno al suo centro, attorno al Verbo di Dio fatto uomo; il secondo, attorno alla Chiesa conformata a Lui, e le due opere si completavano a vicenda. Lo Spirito Santo, da una parte, è certo lo Spirito che è attivo tra Cristo e la Chiesa, cosicché molti argomenti dei primi due volumi in questo si trovano svolti ulteriormente con sviluppo organico; ma d’altra parte Esso è lo Spirito Santo che promana dall’unità Cristo-Chiesa (come dall’eterna unità del Padre col Figlio) e quindi apertura che l’unione d’amore tra Sposa e Sposo sperimenta verso il nuovo, verso il Figlio, verso il mondo della creazione, oggi anche e appunto verso il mondo ‘mondano’, non cristiano. Il Vaticano ii ha orientato in modo distintivo la sua riflessione verso questa apertura, e ha stimolato i cristiani a fare altrettanto; proprio in questo, il periodo post-conciliare è un tempo all’insegna dello Spirito Santo. Che quest’apertura possa costituire pure un pericolo per gli uomini custoditi al sicuro entro la Chiesa, quando vengano spinti repentinamente, senza adeguata preparazione, ad affrontare tutta la secolarità del mondo, che irrompe nella Chiesa in ampi flutti attraverso le dighe disserrate, noi lo esperiamo nella vita quotidiana, e senz’altro non in misura decrescente. Perciò alcuni saggi del presente volume hanno un nuovo carattere: cercano di concentrare il messaggio cristiano, di indirizzare verso il centro inalienabile, di metterlo al sicuro, di coltivarne lo studio partendo da tutti i lati e da tutte le periferie, alla scuola dello Spirito, il quale adempie il suo compito nell’economia trinitaria non altrimenti che impegnandosi a spiegare il messaggio del Verbo incarnato, crocifisso e risorto, in forma creativamente nuova a sempre nuove generazioni, e ad esercitarle in esso. (da Parole di accompagnamento)
Hans Urs von Balthasar nasce a Lucerna il 12 agosto 1905. Nel 1929 entra nella Compagnia di Gesù. Decisivi per la sua formazione teologica sono gli incontri con Erich Przywara, Henri de Lubac e Karl Barth. La collaborazione con Adrienne von Speyr porta alla fondazione dell’Istituto San Giovanni, della Johannes Verlag, e all’elaborazione di un pensiero teologico dominato dall’idea secondo cui solo l’amore è credibile. Nominato cardinale per il suo contributo alla teologia cattolica, non fece in tempo a indossare la porpora. Morì il 26 giugno 1988. Jaca Book ha in corso di pubblicazione la sua Opera secondo il piano redatto dallo stesso von Balthasar, e numerosi altri titoli che vengono periodicamente riproposti.
Negli anni '40 von Balthasar fu a lungo in dialogo con Karl Barth (La teologia di Karl Barth, Jaca Book). Dell'autore protestante egli ammirava in particolare la dottrina dell'elezione, «questo geniale superamento di Calvino», per cui in Cristo Dio ha pronunciato il suo sì per il mondo e per ogni uomo. Tuttavia egli intravede anche le obiezioni che si possono avanzare a Barth: che senso ha la storia prima di Cristo? Si può ancora parlare di storia cristiana se tutto dipende dall'evento unico e irripetibile di Cristo? Balthasar aveva già tentato di dare una risposta a questi interrogativi in Teologia della storia, scritto nel 1950. Ritorna sull'argomento nel 1963, quando, pur essendo già iniziata la pubblicazione di Gloria, esce II tutto nel frammento, che ancora una volta si interroga sul significato del tempo di fronte all'eternità. «Come nel mio precedente breve libro Teologia della storia, anche qui non verrà presentata una trattazione globale sulla teologia della storia. Saranno presi in considerazione soltanto alcuni temi principali secondo un movimento di pensiero "ciclico", per cui gli stessi problemi - o altri analoghi - saranno ripresi più di una volta a diversi livelli. Così ci si imbatte pressoché costantemente in temi come il problema del tempo, del centro e della fine del tempo, la questione dell'apertura della ragione e della rivelazione, il problema dei Giudei e dei Pagani e così via. Le questioni sono scelte secondo un preciso riferimento al tema generale indicato nel titolo: dove dobbiamo rivolgere il nostro sguardo per scorgere, nella frammentarietà della nostra esistenza, una tensione verso l'Intero? Ogni frammento di un pezzo di ceramica suggerisce la totalità del vaso, ogni "torso" di marmo viene visto nella luce dell'intera statua. Sarà la nostra esistenza a costituire un'eccezione? Ci lasceremo persuadere forse che quello stesso frammento che è la nostra esistenza costituisce l'intero?» (dalla nota dell'autore)
Il discorso sull'angoscia sembra scomparso dall'orizzonte culturale ma non si è dileguato il senso di paura, di abbandono e solitudine dell'uomo. Balthasar apre uno spazio di riflessione entrando in stretto dialogo con la filosofia, in modo particolare con Heidegger e con le analisi del pensiero freudiano. A partire dalle intuizioni dell'unica riflessione teologica esistente nei tempi moderni su questo tema, il 'Concetto di Angoscia' di Kierkegaard, Balthasar intende dar corpo a una «teologia dell'angoscia» che, da un lato, ne ridimensioni l'«ipertrofia» nella nostra epoca e, dall'altro la collochi all'interno di un discorso rivelativo: il grido di Gesù sulla croce «dice» di Dio e dell'Uomo. Il libro, partendo dalla parola delle Sacre Scritture, mette poi in rilievo i molteplici livelli in cui si articola il fenomeno dell'angoscia, cogliendone nessi, distinzioni e movimenti, per concludersi con un affondo sull'essenza dell'angoscia, in cui verificare se l'impostazione biblica ha potuto dirci di più e più in profondità di Kierkegaard e dei suoi prosecutori.
Come per i volumi precedenti dei Saggi teologici anche questo titolo deve essere inteso come una specie di leitmotiv, che riecheggia in libere variazioni attraverso la maggior parte degli articoli)qui raccolti. Solo uno d'essi fa risuonare il motivo espressamente, anch'esso senza la pretesa di esaurirne le intrinseche potenzialità. Per quest'intero libro composto di saggi è circostanza caratterizzante invece che l'oggetto principale sia abbordato dai lati più diversi, che sovente esso s'affacci ad inattese svolte del cammino e si presenti in modo nuovo allo sguardo. Esiste sì una luce centrale, ma ne divengono visibili solo diverse irradiazioni. Forse uno spirito assetato di sistematicità, che vorrebbe senz'altro costruire, dai frammenti, una totalità, potrebbe mettere in ordine le pietruzze e poi comporle in un mosaico. L'autore diffida di tali intraprese, che vogliono trar fuori il mysterium dal suo nascondimento ed esibirlo svelato. Dio abita in una luce inaccessibile. Il tema tuttavia, intorno a cui ci si aggira senza pretese, è tale da interessare in modo centrale Chiesa e cristiani. Nel divergere dei due aspetti uniti nel titolo sta il motivo d'ogni minaccia e d'ogni atrofia del cristianesimo attuale. E poiché è assai difficile congiungere rinnovatamente gli aspetti, una volta che siano stati separati, preferibilmente cerchiamo di considerarli dalla sfera donde hanno origine, nella quale essi, fecondandosi eternamente in modo reciproco, stanno intrinsecati l'uno nell'altro.
La riforma non si compie mai col reincollare i pezzi rotti; ma: «Dal tronco di Isai germina un pollone, e un germoglio spunta dal suo ceppo».
Filippo
"Dante e la Divina Commedia" fa parte del lavoro di Balthasar sugli «Stili laicali», figure essenziali della sua Estetica Teologica. Per l'autore ci sono opere letterarie che ci prendono per mano, come Beatrice fa con Dante, per condurci verso la Rivelazione. La chiave di lettura di Balthasar punta a individuare l'orizzonte e il culmine della visione dantesca, che è costituito da Maria, con l'inno alla Vergine, che Dante affida a san Bonaventura. Maria tra gli angeli è la Signora del Paradiso, quel lato del Paradiso che Dante si sente di descrivere preparato e accompagnato da Beatrice, che ha sostituito Virgilio nella peregrinazione. Dante non si addentra oltre nel mistero cristologico e trinitario, la sua filosofia e la sua poesia si compiono nella contemplazione di Maria. Nell'Inferno Dante era stato un fine lettore della Storia e Balthasar non può non notare che l'Inferno di Dante non è ancora stato visitato dal Cristo risorto. Il Cristo risorto dell'arte bizantina, che prende e porta con sé Adamo ed Eva e l'umanità tutta.
"Verità del mondo" è il primo volume di Teologica, la terza anta della trilogia di Balthasar che vede prima Gloria (l'Estetica) e Teodrammatica. Come nell'Estetica sono messe in relazione bellezza del mondo e gloria di Dio, e come nella Teodrammatica la libertà finita e divinamente infinita, così nella Teologica si riflette sulla relazione tra la struttura della verità creata e di quella divina. «Il presente volume, Verità del Mondo, procede prevalentemente per via filosofica. L'essere finito viene indagato nelle sue strutture di verità [...]. In questa indagine il lettore incontrerà forse qualcosa di meno solito, qualcosa di impercettibilmente uscito di vista a cominciare dall'antichità ed anche dalla patristica, ma che si può senz'altro giustificare in retrospettiva sulla grande tradizione. [...] Solo nel capitolo finale diverrà tematico il rinvio delle strutture intramondane da noi indagate a un divino Logos trascendente». «L'unità indissolubile della verità terrena con il movimento del bene e del bello indica con sufficiente chiarezza in direzione del significato di questo mistero dell'essere, che deve consistere nell'assoluto accrescimento e adempimento del mistero di Dio stesso: mistero della dedizione senza perché, alla quale dev'essere ricondotto tutto ciò che si deve capire come alla causa che fonda sé stessa. [...] Ma che ci sia in genere verità ed eterna verità ha il suo fondamento nell'amore. Se la verità è la cosa più estrema in Dio, allora noi potremmo guardare con gli occhi aperti nei suoi abissi, abbacinati forse da tanta luce, ma non impediti nella spinta del nostro desiderio di verità».
Teodrammatica è la seconda parte della grande esposizione balthasariana della fede cattolica. Prendendo le mosse dagli attributi dell'essere (bello, buono, vero), egli ha trattato nella prima parte (Gloria) della bellezza del mondo e della gloria di Dio; nella seconda (Teodrammatica) della libertà finita e infinita e nella terza (Teologica) l'insieme delle questioni concernenti la verità creata, la verità divina, nonché il loro reciproco rapporto. Dopo il volume primo della Teodrammatica, la Introduzione al dramma, il secondo è antropologico, il terzo cristologico, il quarto soteriologico; questo quinto è trinitario. Ciò che si può dire alla fine circa l'ultimo atto del dramma fra cielo e terra non sono che termini stupefatti e balbettanti, che girano intorno a questo mistero, termini che si appoggiano ad alcune lampeggianti parole ed allusioni della Scrittura. Si è tentato di andare fino al limite consentito dalla Scrittura, per alcuni forse un passo più avanti, ma di fermarsi rigorosamente là dove speculazioni apparentemente logiche hanno condotto soltanto in un vuoto astratto o davanti a superflue segnalazioni di divieto. Non è scientifico, neppure in campo teologico, parlare con esattezza di cose che non si possono sapere (per esempio dello stato intermedio). Conforme all'avvertimento dell'Aquinate si è cercato di costruire della teologia sugli articoli di fede (e non inversamente) sulla Trinità, sull'Incarnazione del Figlio, sulla sua vicarietà per noi in croce e nella resurrezione, sulla sua missione dello Spirito a noi nella Chiesa apostolica e nella Communio Sanctorum la quale teologia è la sola chance per il fatto che anche oggi e in futuro si possa attuare una testimonianza di vita (e di morte) per "il supremo dono di Dio", che solo così diviene irreversibile e insuperabile
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