
Dopo le poesie scritte negli anni dal 1921 al 1933, raccolte in volume in questa stessa collana, con questo secondo volume si completa l'Antologia personale di Nina Berberova (San Pietroburgo 1901 - Philadelphia 1993), famosa in tutto il mondo come narratrice e saggista, ma la cui produzione poetica è stata per lungo tempo ignorata. La sua poesia è invece di alta qualità, e forse è rimasta così a lungo sconosciuta anche perché è stato solo dopo il grande e forse ormai insperato successo ottenuto negli ultimi anni di vita che la scrittrice russa ha deciso di raccogliere ciò che considerava il meglio della sua produzione poetica, in vista di una pubblicazione, in lingua russa, apparsa negli Stati Uniti nel 1984.
Tragico eroe della tauromachia spagnola, divenuto figura mitica nell'Olimpo letterario grazie al celebre Lamento di Federico Garcia Lorca, e autore drammatico egli stesso, Ignacio Sànchez Mejias era intimo amico non solo di Lorca ma di tutti i più grandi poeti della cosiddetta 'generazione del 27', al cui interno operò come un illuminato e carismatico mecenate. Anche se il Llanto por Ignacio Sànchez Mejias resta senza alcun dubbio il testo più famoso e importante, Lorca non fu l'unico poeta della cerchia degli amici di Ignacio a volerlo ricordare in occasione della sua tragica scomparsa, due giorni dopo la fatale corrida dell'11 agosto 1934 a Manzanares. Il presente volume riunisce, oltre ad una nuova traduzione del Llanto lorchiano, le poesie dedicate a Ignacio da tre altri grandi protagonisti di quella straordinaria stagione della poesia spagnola: Rafael Alberti, Gerardo Diego e Miguel Hernàndez.
Rilke, come Kafka e Werfel, apparteneva a quella generazione di scrittori praghesi che si esprimeva in lingua tedesca. La sua poesia rappresenta senza dubbio il vertice più alto raggiunto dalla poesia di lingua tedesca nel Novecento – un po’ come è accaduto per la narrativa con uno scrittore come Franz Kafka. Rilke tuttavia, diversamente da Kafka, fu un grande e instancabile viaggiatore, dalla Russia all’Italia e alla Spagna e, soprattutto, alla Francia, paese al quale fu molto legato e che certamente influì in maniera determinante sullo sviluppo della sua poesia. Scritte in francese, queste “poesie francesi” furono composte dal 1924 al 1926, per lo più nei periodi di ricovero per l’aggravarsi della malattia che l’avrebbe di lì a poco condotto a una morte ancora precoce – aveva infatti da poco superato i cinquant’anni. Eppure queste poesie sono tutto fuor che il lamento di un uomo disperato; al contrario, respira in esse un alito leggero e nostalgico verso la vita e le sue forme, quasi un riposo dello sguardo sulle cose del mondo.
"Todo el Amor" rappresenta l'unica antologia 'personale' di Pablo Neruda, che è andato egli stesso scegliendo e raccogliendo in questo volume quanto poteva meglio rappresentare l'ispirazione amorosa della sua poesia. Se è vero infatti che per Neruda è l'amore la forza maggiore della vita, è anche vero che questa fonte essenziale della sua poesia ha tardato a essere riconosciuta, tanto che lo stesso poeta confidava a Giuseppe Bellini, suo amico e massimo interprete della poesia nerudiana in Italia, la sua contrarietà a essere considerato solamente poeta dell'impegno, quando nella sua poesia aveva tanto posto il sentimento. Possiamo dunque pensare che sia stato proprio questo iniziale 'disconoscimento' a spingere Neruda a sottolineare questo aspetto della sua poesia in una apposita antologia. Il risultato è, come scrive Bellini nella prefazione al volume, "un nuovo libro di confessioni nerudiane, tanto più personale in quanto il poeta stesso lo ha 'costruito'".
Un libro che accompagna il lettore con una scelta di citazioni sull'essenza della vita selezionati da uno degli scrittori più amati del nostro tempo, Paulo Coelho.
"Marcisce anche il pensiero" è uno spaccato temporale - l'ultima mezz'ora della sua vita - del filosofo Immanuel Kant. Un grande evento per un'opera letteraria insolita e forte, come il suo autore. Sgalambro si misura con un linguaggio dai mille strati, memore della potenza dantesca. I suoi versi sono intrisi di citazioni letterarie, filosofiche, storiche, di frasi e vocaboli classici e stranieri, e in apparente contraddizione, di azioni, gesti e comportamenti quanto mai quotidiani, di dotte terminologie sposate a un turpiloquio drammatico, per dire e ridire tragicamente il male e il bene, l'alto e il basso, il nobile e l'ignobile, che sono il luogo dell'umano, quel luogo descritto o anche solo sfiorato in cui si agisce, si sente, si vive e, troppe volte, si sopravvive. Sgalambro è poesia oggi.
Un documento che tenta un varco fra le opposizioni di sacro e profano, fra interiore ed esteriore, esterno e interno: la voce, un tempo esperienza sacrale e di comunione della diversità, conosce in questo lavoro, in mezzo al caotico appiattimento, nell'anestesia generale di una città-pretesto, un'utilizzazione volta alla trasmissione della poesia di uno dei più significativi poeti al mondo. I testi vengono detti nel ritmo del quotidiano: il poeta (sempre in anticipo) e il traduttore (in ritardo) entrano nei luoghi di una Roma-pretesto rappresentata da sei vie d'uscita: la piazza, le rovine, la porta, la scala, la stazione e il giardino. Come nella tradizione la voce (sacra) fa tendere il quotidiano al simbolico, ma questo è un quotidiano sofferto come una preghiera dell'interiorità, una consapevole resa all'impossibilità di dire se stessi. Strand e Abeni riescono però a dare voce a un "fronte interno" attraverso la poesia e il suo doppio, la traduzione impossibile, sempre in ritardo. E ci si trova di fronte a una nuova disarmata armonia, che altro non alimenta se non il dubbio di portarsi a compimento. La voce ci arriva dallo spiraglio di un video dove si può sentire l'urlo o il sussurro degli invisibili. Si desiderava che il metronomo dell'eterno ritorno fosse il tic-tac del cuore materno.
Prendendo spunto da Goethe, "maestro del dire essenziale", Handke propone in questo poemetto una sua personale ricerca sul concetto di durata, l'entità che fornisce contorno a quanto ha la tendenza a dissolversi. Connessa al ripetersi degli eventi quotidiani, ma al contempo svincolata dalla permanenza in luoghi o itinerari consueti, la sensazione della durata è l'esito della fedeltà a ciò che l'individuo sente come più profondamente proprio: fedeltà al divenire di una persona, fedeltà a "certe piccole cose" che ci accompagnano "in tutti i traslochi", fedeltà infine a determinati luoghi, un lago, una piazza, una sorgente alla periferia di Parigi. La durata tuttavia non esiste a priori, bisogna cercarla, andarle incontro, trovare un punto di mai definitiva, instabile quiete. La poesia - dice Handke - è uno dei migliori supporti in questa ricerca interiore. Ed è dunque naturale che questo libro di meditazione filosofica sia stato scritto in versi, quasi per bussare alla porta di quella condizione sapienziale tipica della poesia di ogni tempo.
Il percorso poetico di Zanzotto, fondamentale nella poesia italiana degli ultimi cinquant'anni, ha saputo recuperare lingue, forme e culture più o meno defunte rivitalizzandole, come scrisse Fortini, in "un'oltranza informale, esorbitante, lacerante". "Filò", che ebbe inizialmente l'aspetto minore di un libro d'occasione, è in realtà la quintessenza, magari in una forma più cordiale rispetto ad altri libri, di questi elementi chiave della poesia di Zanzotto. Ciò che sembra ampiamente masticato dalla storia si riproietta in una forma sperimentale: passato e futuro si alleano per stanare il grumo oscuro e indifferenziato che abita sia l'inconscio soggettivo sia la sostanza panica del mondo. L'uso ampio del petèl, lingua infantile che ha la concretezza del parlato ma è anche piena di misteriosi richiami, porta la raccolta in questa direzione. Lo stesso felice sodalizio con Fellini è l'esito di una comune visione della storia e delle origini, il comune inseguimento di archetipi travestiti da fantasie private e viceversa. Riproporre questo piccolo grande libro a un anno dalla scomparsa del poeta vuole soprattutto essere un omaggio e insieme un invito a rileggere un autore tra i più affascinanti e vitali della poesia italiana. Con una lettera e cinque disegni di Federico Fellini. Prefazione di Giuliano Scabia.
Dancing Paradiso è un locale notturno di una crudele metropoli, dove “non bisogna essere buoni per entrare / prendono anche le carogne / e qualche volta le fanno cambiare”. È in quel locale che un angelo custode – “Angelo angelica” – tenta di far confluire i cinque protagonisti di questa narrazione in versi: Stan, il pianista triste, che prepara un ultimo concerto per Bill, l’amico batterista morente in ospedale, Amina, giovane profuga che ha perso la madre passando il confine. Ed Elvis, un grottesco obeso hacker chiuso in casa da anni, forse mitomane, forse assassino, La poetessa Lady raffinata e ubriacona, ossessionata dal suicidio. Cinque “creature della notte / senza un rifugio nel mondo / mannari senza luna”, di cui a poco a poco, mentre si avvicina la serata al Dancing, scopriamo la storia grazie al racconto condotto per loro voce. Assoli malinconici, struggenti, comici, crudeli, furibondi. Costretti alla solitudine, ciascuno di loro sembra aver perso ogni speranza. A vegliare perché possano incontrarsi, perché possano unire voci e musica in un racconto polifonico che indichi una possibile via di salvezza, l’angelo/a caduto dal cielo per stare con gli uomini, un angelo straccione dalle ali sporche di fango, lui stesso solo fra i soli.