
Molti testi appartenenti al canone letterario italiano sono in forma di preghiera. Versi di Dante e Petrarca, del petrarchismo rinascimentale, di Tasso e del Barocco, le salmodie di Campanella, gli inni sacri di Manzoni, poesie di donne, mistiche o no, sono preghiere, come lo sono alcune liriche di Ungaretti, Caproni, Giudici, oltre che di Merini. Nonostante l'importanza che essi rivestono e benché la devozione abbia occupato nella vita del singolo e della collettività un posto assai considerevole, non è mai stata tentata una definizione e una ricognizione sistematica della preghiera in poesia per l'Italia. Il volume, tralasciando il punto di vista confessionale, spirituale o religioso, e focalizzandosi su singoli periodi, autori o generi di particolare rilievo, esamina la tensione che sorge tra l'espressione religiosa e quella poetica. Più che ricostruire una storia letteraria sub specie orationis, si interroga sulla possibile esistenza di un filo che tenga insieme questi componimenti, una forma di intertestualità che permetta di unirli in un discorso critico rigoroso, evidenziando la forza del linguaggio e della poesia anche nella manifestazione della fede. Ne risulta un dialogo intenso con l'alterità, che si riverbera anche e soprattutto come conoscenza di sé e della propria umanità.
Con la pubblicazione del terzo volume, che contiene le "Nemee", si completa la serie dei quattro che la Fondazione Valla dedica all'opera di Pindaro, il più grande poeta lirico dell'antichità e uno dei maggiori di tutti i tempi: undici odi, delle quali tre non sono legate ai giochi nemei, ma che i grammatici alessandrini inclusero sotto la medesima etichetta. Se quelli di Nemea, che si tenevano ogni due anni presso il tempio di Zeus in una vallata boscosa del Peloponneso, erano considerati giochi minori rispetto a quelli quadriennali di Olimpia e di Delfi, le "Nemee" non sono meno affascinanti delle Olimpiche o delle Pitiche , e certo pari alle "Istmiche". È sufficiente ascoltare la voce di Pindaro per andare oltre le definizioni di poesia cortigiana e poesia civile tra le quali la critica ha ondeggiato per secoli. La sua è poesia e basta, agonistica certo e d'occasione, perché celebra la vittoria in una competizione atletica, ma è lirica, come diceva l'autore del "Sublime", che nel suo trasporto creativo infiamma ogni cosa. Eccolo, il Pindaro delle "Nemee", spingersi verso i limiti del mondo, le Colonne di Eracle, e raccontare i miti con la velocità e l'aura che gli hanno dato la fama: le nozze splendide di Peleo e Teti; Achille, biondo fanciullo, a caccia di leoni, cinghiali e cervi; la contesa tra il forte Aiace e l'astuto Odisseo per le armi del Pelide; ed Eracle, e Telamone, e Castore e Polideuce. «Una» afferma Pindaro nella sesta "Nemea", «la stirpe di uomini e dèi: da una sola madre/ è il respiro a entrambi. Ma potenza in tutto diversa ci/ separa, ché niente noi siamo,/ mentre il cielo di bronzo è per essi eterna/ incrollabile sede». Eppure, gli uomini, le cui generazioni sono come i campi, che un anno danno frutto e un anno no, «in qualcosa» somigliano, «nel gran senno o l'aspetto, a immortali». La giovinezza è «possente, messaggera delle divine/ tenerezze di Afrodite», e lei Pindaro invoca all'inizio dell'ottava "Nemea". Ma più spesso chiama la Musa, che «oro/ salda e candido avorio/ e fiore di giglio, sottratto a rugiada marina». Non è, lui, uno scultore: che crea «statue/ dritte sulla loro base,/ immobili». No, lui fa rotta «su navi/ o barche leggere», e vola come un'aquila oltre il mare. Un commento molto ricco, e una traduzione bellissima, accompagnano queste "Nemee".
Il volume contiene l'intera produzione poetica di Carlo Porta, erede della tradizione dialettale milanese. Questa edizione si presenta rivista e accresciuta, grazie ai quattro inediti venuti alla luce negli ultimi anni e all'approfondito commento. Oltre alle poesie il libro contiene, in una sezione a s stante, gli abbozzi e i frammenti.
Il volume presenta innanzitutto l'intera produzione poetica di Antonio Machado divisa in due sezioni: la prima coincide con "Poesias completas", opera complessiva di Machado la cui quarta edizione, ultima durante la vita dell'autore, fu pubblicata nel 1936; la seconda raccoglie "Poesias sueltas", cioè poesie che da tale edizione per diversi motivi rimasero escluse. La sezione dedicata alle prose raccoglie "Juan de Mairena" e "Scritti scelti".
La traduzione poetica, per Ungaretti, è un'autentica opportunità di creazione poetica. Per questo motivo, eccezionalmente rispetto agli altri poeti del Novecento presenti nei Meridiani, di lui si offrono anche le traduzioni, a completare quel progetto di «Vita d'un uomo» che ha preso forma nel corso del suo lunghissimo rapporto di fedeltà con la casa editrice Mondadori. Al pari delle poesie, infatti, le traduzioni scandiscono le tappe della «Vita d'un uomo»: la prima traduzione pubblicata da Ungaretti (1910), da poco ritrovata, precede anzi l'edizione delle prime liriche; le ultime traduzioni escono, come la poesia estrema, “L'Impietrito e il velluto”, nel 1970. Il Meridiano comprende innanzitutto i volumi "canonici": “Traduzioni” (1936), “40 sonetti di Shakespeare” (1946), “Da Gongora e da Mallar- Mé” (1948), “Fedra” di Jean Racine (1950), “Pau Brasil” (1961), “Visioni di William Blake” (1965); esso raccoglie quindi le numerose versioni - in italiano e anche in francese - edite su rivista (alcune del tutto dimenticate dalla critica), e due importanti dossiers inediti: uno studio sulla canzone leopardiana “Alla Primavera”, che conserva diverse traduzioni, e una conferenza tenuta da Ungaretti in occasione della riunione annuale delle Accademie Straniere romane. Le traduzioni sono corredate di un apparato variantistico e di un ricco commento che dà voce innanzitutto all'autore, attingendo estesamente dai suoi autocommenti, editi (epistolari, interviste, prose, saggi) e inediti: per questa sezione i Curatori si sono infatti potuti avvalere di una sistematica esplorazione del Fondo Ungaretti al Vieusseux di Firenze e di quelli, finora ignorati dalla critica, di alcuni suoi corrispondenti.
Descrizione dell'opera
In un'intervista rilasciata verso la fine della sua vita, Carlo Bo annoverava esplicitamente Clemente Rebora tra le tre o quattro figure letterarie del XX secolo che egli auspicava potessero essere traghettate nel III millennio. Maestro di un sapere che intreccia ardore poetico e passione religiosa, Rebora merita certamente di essere reso meglio accessibile al pubblico degli studiosi anche attraverso un'accurata edizione del suo epistolario.
La pubblicazione del terzo volume porta quindi a compimento l'iniziativa della Fondazione Bruno Kessler - Scienze religiose di Trento, avviata nel 1995 nell'ambito del «Progetto Rosmini» e tesa a creare un'edizione di grande rigore critico e completezza esaustiva dell'epistolario di Rebora. Realizzato come i precedenti con criteri strettamente cronologici, il libro affronta il periodo finale nella biografia reboriana: dodici intensi anni (1945-1957) che si caratterizzano come manifesto della sua maturità e insieme attestano la fragilità incalzante che lo conduce alla morte.
Sommario
Prefazione (A. Autiero). Nota all'edizione. Epistolario 1945-1957. Lettere prive di datazione. Bibliografia. Indici.
Note sul curatore
Carmelo Giovannini, padre rosminiano, ha frequentato da giovane chierico Clemente Rebora nelle comunità rosminiane di Rovereto e di Stresa. Dopo il conseguimento della laurea in lettere moderne presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano con una tesi su "L'ultimo Rebora", ha proseguito la ricerca di lettere, testimonianze e manoscritti inediti del poeta lombardo, curando numerose pubblicazioni, tra cuiper EDB: Epistolario Clemente Rebora. Volume I. 1893-1928. L'anima del poeta (2005) e Volume II. 1929-1944. La svolta rosminiana (2008).