
Questa antologia, concepita da Raffaele Cantarella per raccogliere in ordine cronologico i testi più rappresentativi di una tradizione poetica millenaria, è il frutto di un minuzioso lavoro di ricerca e selezione, condotto con acume filologico e raffinata sensibilità estetica. Nata come "nuova Roma", Bisanzio non ne ha soltanto ereditato il potere politico e la tradizione giuridica, ma è stata anche la culla di una civiltà profondamente originale, capace di innestare nel patrimonio letterario greco l'energia spirituale del Cristianesimo. Seguire gli sviluppi della poesia, sia di carattere profano che di ispirazione religiosa, attraverso gli oltre undici secoli della storia bizantina, non può che arricchire di nuovi spunti la conoscenza di un periodo cruciale per il fiorire dell'Europa moderna. L'antologia di Cantarella facilita l'orientamento del lettore all'interno di questa vastissima produzione, fornendo per ogni poeta una premessa critica e apposite informazioni bibliografiche. L'aggiornamento dell'opera da parte di Fabrizio Conca ha riguardato, oltre che gli apparati di note e le bibliografie, anche i testi e le traduzioni.
Chi era veramente Alda Merini? Come nascevano le sue poesie? La grande poetessa italiana è una delle figure più enigmatiche e affascinanti del nostro panorama letterario: nessuno scrittore ha nutrito con altrettanta umiltà e autenticità, attraverso le sofferenze dell'esistenza, la sua opera. Nessun poeta assomiglia così profondamente alle sue poesie, che nascono dalla vita, non a tavolino: "prima della scrittura hanno valore le mie mani, i miei occhi, il mio cuore e persino la mia disperazione, e quando scrivo tutto è già compiuto, il mio corpo ha già scritto la sua apologia e persino il mio tradimento". Alda Merini viveva la poesia, prima ancora di scriverla. Per questo spesso "dettava" i suoi versi, non per autocompiacimento ma per un'insistente necessità interiore, un'ispirazione che poteva nascere in qualsiasi momento, come mostra il filmato accluso al libro. Un dvd che documenta con vivacità e delicatezza l'universo umano e poetico di Alda Merini, la sua quotidianità vissuta in mezzo alla gente, con semplicità e coerenza, lontana dal clamore dei media. Il filo conduttore che lega le immagini è proprio il lavoro creativo, il suo dipanarsi, parola dopo parola, attraverso la voce indimenticabile della poetessa, con un ritmo e un tempo che nessuna pagina potrà mai restituire. Forse, sembra suggerirci questa commovente testimonianza, è nell'oralità, e quindi nella relazione umana, e non nella mera scrittura, il segreto - e il significato - della poesia.
Questo libro comprende sei raccolte di versi di Bruno Forte e un testo dell'autore sulla voce della poesia nel tempo del declino della parola quale possibile porta verso il Mistero. Seguono alcune pagine di poeti, letterati e filosofi sull'opera poetica di Bruno Forte. Esse convergono nel mostrare come questa poesia stia sulla soglia: fra tempo ed eterno; fra umano e divino; fra parola e silenzio; fra pensiero e preghiera...Può la poesia nascere altrove? O non è sempre voce del viandante, in cammino verso l'approdo del desiderio e della promessa, voce del dono - e del rischio - della libertà e della fede davanti all'amore divino?
I gatti sono imprescindibili per comprendere la visione teologica di Paolo De Benedetti - avverte la sorella Maria in apertura a questa galleria di poesie e disegni, dove ogni gatto svela un tratto unico della sua storia e, insieme, comune all'intera umanità. I gatti descritti da Paolo De Benedetti - ironici, buffi, stralunati - e illustrati da Maria Lojacono, per questa nuova edizione ampliata con testi inediti, riflettono un poco di grazia celeste e lo spirito stesso della creazione, l'Eden perduto e il Paradiso che ci attende, rivolgendosi ai bambini, a chi crede, a chi non crede ma non può non sperare. I gatti raffigurati, con l'espressione dei loro occhi, delle code, dei baffi, ci consolano e insieme ricordano che la loro anima, come quella di ogni creatura sulla terra, non va perduta. Prefazione di Giusi Quarenghi. Nota introduttiva di Maria De Benedetti. Introduzione di Ilario Bertoletti.
Quando giunse la notizia che il Premio Nobel per il 1996 era stato conferito a Wislawa Szymborska, molti giornali scrissero che si trattava di una poetessa più o meno sconosciuta. In realtà Iosif Brodskij la considerava, insieme a Milosz e a Herbert, una delle grandi voci poetiche attuali. E al tempo stesso si può dire di lei che raramente un poeta moderno è riuscito a parlare di temi proibiti, perché troppo battuti, con tale impavida sicurezza di tocco, fino al punto di dedicare una delle sue liriche più perfette all'"amore felice", questo "scandalo nelle alte sfere della Vita". Questo volume è una raccolta che attraversa tutta la sua opera a partire dal 1957 e include anche il discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Nobel.
«Scrivevo poesie serie, tragiche» ha detto nel 1991 Zbigniew Herbert in un'intervista, paradossalmente deplorando l'abolizione della censura seguita alla caduta del Muro. «Adesso scrivo sul mio corpo, sulla malattia, sulla perdita del pudore». In questa nuova atmosfera lirica, infatti, il poeta i cui versi Iosif Brodskij aveva definito come «una nitida figura geometrica ... incuneata a forza nella gelatina della mia materia cerebrale» (versi, aggiungeva, che il lettore si ritrova «marchiati a fuoco nella mente con la loro glaciale lucidità») – ebbene, quello stesso poeta che era stato così discreto, così poco incline a parlare di sé, lascia spazio alle confessioni intime di un io che abita ormai «sull'orlo del nulla» e ci consegna una sorta di testamento spirituale. Rimane, certo, il suo tono, quella «miscela di ironia, disperazione ed equilibrio» che già incantava Brodskij; e rimangono i temi che sempre sono stati al centro della sua ricerca espressiva: la memoria come vicinanza al passato e alla tradizione, l'azione corrosiva del tempo, il viaggio come fonte di ispirazione: ma accanto a questi c'è ora la stoica accettazione della sofferenza fisica e psicologica, accompagnata dalla gratitudine (così si legge nelle estreme composizioni di Breviario) per tutta «questa cianfrusaglia della vita» (e soprattutto, scrive, «per le pasticche di sonnifero dai melodiosi nomi di ninfe romane») – una vita che si lascia, tuttavia, con il «cuore pieno di rimpianto».
Leggendo queste venticinque interviste, insieme alle precedenti cinquanta, si ha la percezione che la poesia, come un’araba fenice, abbia la capacità di sorgere, e di risorgere, nelle situazioni, nei tempi e nelle latitudini più diverse e incredibili. Può accadere che dalla assurda esperienza di Auschwitz, dopo la quale, secondo Adorno, non poteva più nascere poesia, nascano i versi straordinari di Todesfuge di Paul Celan; che i rigori del lungo inverno russo suscitino onde di grande poesia; che la guerra, e le sue tragedie, ispirino la poesia di Trakl o quella di Quasimodo; che la lotta di liberazione infiammi l’animo di Darwish; che gli amori e le passioni scaldino i cuori di Byron e della Sexton, della Barrett Browning come di Machado; che il dolore cupo si annidi nell’animo di Esenin come in quello della Rosselli; o che l’ironia e il sarcasmo muovano le pagine, diversissime, di Brecht o della Menicanti.
Incontri con:
Ingeborg Bachmann
Elizabeth Barrett Browning
Andrej Belyj
Bertolt Brecht
Iosif Brodskij
Emily Brontë
George Gordon Byron
Giorgio Caproni
Paul Celan
Velimir Chlebnikov
Mahmoud Darwish
Sergej Esenin
Nikolaj Gumilëv
Attila Jozsef
John Keats
Antonio Machado
Daria Menicanti
Boris Pasternak
Salvatore Quasimodo
Ghiannis Ritsos
Amelia Rosselli
Anne Sexton
Percy Bisshe Shelley
Georg Trakl
Walt Whitman
Appartato e visionario, apostolo della speranza e cronista di private apocalissi, per la poesia italiana del secolo scorso Elio Fiore non ha solamente rappresentato un irripetibile e sorprendente caso letterario. La sua è stata semmai una presenza viva e coraggiosa, una testimonianza di instancabile fedeltà al mistero della parola e dell'esistenza. A ottant'anni dalla nascita dell'autore, questo volume curato dall'italianista Silvia Cavalli presenta l'intera produzione in versi di Fiore, riordinando in maniera sistematica le molte opere già edite e offrendo una ricca selezione di testi rari o del tutto inediti, a partire dalla raccolta Quaderno greco, che il poeta aveva licenziato poco prima della sua morte nell'estate del 2002. Insieme con l'attenzione di lettori esigenti (da Cesare Cavalleri ai cardinali Carlo Maria Martini e Gianfranco Ravasi, da Carlo Bo e Italo Alighiero Chiusano a Guido Ceronetti), Fiore ha saputo conquistare l'amicizia e la stima di numerosi poeti e artisti, in un lungo elenco che comprende tra gli altri i nomi di Sibilla Aleramo, Camillo Sbarbaro, Mario Luzi, Liliana Cavani, Rafael Alberti e, su tutti, Giuseppe Ungaretti, suo maestro riconosciuto. Ora questa voce, straordinaria per intensità di ispirazione e generosità del canto, torna a levarsi con nitida urgenza, in un libro destinato a costituire un punto fermo per la conoscenza e lo studio di questo autore.
"Il libro d'ore" ebbe, nella prima metà del Novecento, vastissima fortuna e fu la base della fama di Rilke presso i suoi contemporanei. Il testo racchiude tre serie di liriche che il poeta concepì come intensamente spirituali, nella ricerca di una religiosità radicata nell'incontro tra l'occidente e l'oriente cristiani, capace a propria volta di illuminare i nuovi scenari aperti dalla nascente civiltà industriale. L'incompiutezza di Dio, la sua condizione di esule in un mondo che pure gli appartiene, la necessità di aiutarlo donandogli nuovamente gli spazi dell'esistenza, la consapevolezza del proprio fremere interiore al cospetto dell'infinito silenzio di Dio e del rumore crescente della vita sociale, la dignità indiscutibile della sofferenza e della povertà sono motivi che Rilke affida alla voce di un giovane monaco russo pittore di icone, protagonista di una vicenda che dalla vita monastica porta al pellegrinaggio nella vastità della Russia e poi alla contemplazione della povertà e della morte.
Uno dei maggiori poeti del Novecento testimonia la crisi drammatica della prima guerra mondiale, vissuta attraverso una vigilia tumultuosa e poi un'esperienza personale tragica "tra melma e sangue" che lascia una ferita indelebile. Nelle incandescenti lettere Rebora parla di "esperienza non dicibile", di "mostruoso intontimento", di "Calvario d'Italia" e di "ammazzatoio di Barbableu" usando parole come "orrore", "tanfo", "imbestiamento". La guerra è abisso, è "inghiottitoio" e le poesie di Rebora (qui per la prima volta commentate) ne richiamano la natura vorace, la desolazione assoluta. "Però se ritorni / Tu uomo, di guerra/ A chi ignora non dire; / Non dire la cosa, ove l'uomo / e la vita si intendono ancora".

