
Nel 1960 Vasilij Grossman porta a compimento Vita e destino, subito confiscato dal kgb, e va incontro alla sorte del reietto. Alla stessa stagione e allo stesso universo di quel capolavoro, che descrive le manifestazioni del male e la sua sconfitta in nome della «bontà illogica» dei singoli, appartengono i racconti qui radunati. I ricordi e le testimonianze di prima mano del periodo bellico, che ruotano intorno al destino degli ebrei, ispirano le note drammatiche del Vecchio maestro e la dichiarazione di fede nella vita e nel «miracolo della libertà» che conclude La Madonna Sistina. Fosforo è una riflessione tristemente autobiografica sul l'amicizia misconosciuta, mentre Riposo eterno, Mam ma, L'inquilina, In periferia fotografano momenti diversi della lunga stagione sovietica, tra gli sconvolgimenti causati dal meccanismo delle repressioni staliniane e la corruzione morale che ne consegue, all'insegna dell’indifferenza e dell’egoismo. La strada, parabola sul modello tolstojano di Cholstomer, è il racconto delle disavventure di un mulo italiano sulle strade della Russia in guerra: la mostruosità di un mondo in cui Treblinka e il Gulag, nazismo e comunismo gareggiano in efferatezza colpisce in modo ancora più brutale se vista con gli occhi di un animale. E infine Il bene sia con voi!, dove le note di un viaggio in Armenia nell'autunno del 1961 si traducono in una sorta di luminoso poema. Al tramonto della vita, Grossman, già malato, disilluso, getta sul mondo e su se stesso uno sguardo insieme ironico e benevolo – e raccontando della gente semplice che incontra, del martirio armeno, scrivendo di fede, arte, poesia, ci consegna il testamento di una vita vissuta «secondo coscienza».
In quella partitura frammentaria per pianola meccanica che si può considerare l'opera di Guido Ceronetti, la parola amore era stata fin qui accostata a ogni condizione della mente e del corpo, tranne forse alla più improbabile di tutte: la felicità. E finalmente cominciamo a intuire perché. Se infatti le filosofie, le religioni e ogni altra forma di sapienza si affannano a smentire anche solo la possibilità statistica di una congiunzione del genere, nell'universo del romanzo qualcosa come un amore felice, sembra dire Ceronetti, può invece esistere. Anche se ha come quinta il contesto meno propizio, una città notturna e sinistra. Anche se i suoi due protagonisti – un vecchio fotografo di guerra piegato dagli anni e dai dolori, Aris, e una donna molto più giovane ma altrettanto segnata, Ada – non sembrano adatti per la parte. E anche se contro il loro pericolante idillio, per ragioni che sarebbe inopportuno svelare, cospira addirittura una razza di insetti alieni, che minaccia i cieli di tutte le città del mondo.
L'arte e i temi della narrativa di Salvatore Niffoi si esprimono compiutamente in questo volume che raccoglie tutti i romanzi dello scrittore sardo targati Il Maestrale: cinque libri in uno, cinque storie su un'umanità dolente che s'affanna contro il destino. Si compone così il "ciclo dei Malfatati", un nome che ricalca il sardo malefadados: gli sventurati, donne e uomini colpiti da una sorte avversa. Come i memorabili personaggi di questi libri: dal postino di Picherfa che tenta di riscattare una vita grama rispondendo alle lettere che ancora arrivano all'indirizzo di un giramondo morto in disgrazia; a Cristolu, il frate che si farà bandito per vendetta; fino alle cinque donne alla ricerca di un "nuovo Adamo" sopravvissuto all'Apocalisse, nell'ultimo inverno del mondo.
salvatore Niffoi (1950) è nato e vive a Orani (Nuoro). Con Il Maestrale pubblica i romanzi: Il viaggio degli inganni (1999); Il Postino di Picherfa (2000; tradotto in Francia); Cristolu (2001); La sesta ora (2003); L'ultimo inverno (2007).
Nel 2007 esce per la collana "La Biblioteca della Nuova Sardegna" il romanzo La leggenda di Redenta Tiria, poi (2005) ripreso da Adelphi che in seguito pubblica: La vedova scalza (Premio Campiello 2006); Ritorno a Baraule (2007); Collodoro (2008); Il bastone dei miracoli (2009); Il pane di Abele (2009); Il lago dei sogni (2011).
Quando Antonina si trasferisce a Leningrado per lavorare in fabbrica è ancora piuttosto giovane e ingenua: ben presto, infatti, finisce nei guai, rimanendo incinta di un ragazzo che l'abbandona. Lo Stato sovietico la soccorre assegnandole una stanza in un appartamento comunitario dove vivono già tre anziane donne, affettuose e pronte ad aiutarla dopo la nascita di Susanna. Ariadna, Glikerija e Evdokija si rivelano poi indispensabili quando Antonina si rende conto che la figlia non parla e, per paura di vedersela rinchiudere in un istituto, decide di crescere in casa la piccola. Le "nonne" si fanno allora carico dell'educazione della bimba, che impara a comunicare con loro attraverso il disegno, e le parlano delle loro vite, raccontandole l'Unione Sovietica della loro giovinezza, scene di vita nei Gulag, la storia dell'assedio di Leningrado e dei soprusi bolscevichi. Un romanzo ricco, pieno di valori, di ideali e di coraggio. Il ritratto di un gruppo di donne forti e autentiche, che hanno affrontato e superato prove durissime sostenute solo dalla loro dignità. Ma è anche una riflessione profonda e a tratti perfino commovente sul passato, sulla memoria, sulla Storia, il romanzo che ci fa capire come siano state le donne queste donne, le vere, silenziose, intense protagoniste della storia russa del secolo scorso.
Dopo aver celebrato le sue montagne e i loro segreti e aver dato vita a epici personaggi nati tra i boschi, Mauro Corona presta la sua voce calda e potente a una donna, per raccontarne la vita costellata di sventure ma sorretta da un incrollabile coraggio. Come tante madri e mogli vissute in civiltà patriarcali, la protagonista di questa ballata è tormentata dalla fatica dei giorni e dalla brutalità degli uomini: alle spalle ha il lavoro nei campi o dentro casa, gli abusi di un marito violento, anni svuotati di ogni gioia tranne l’amore per i figli. Davanti a sé nessuna speranza, se non l’attesa della morte per “mettere le ali e volare in paradiso”. Finché un giorno dei forestieri arrivano in paese per costruire una diga, portando finalmente un po’ di benessere... ancora non sa, la donna ertana, che il 9 ottobre del 1963 sarà proprio quella diga a provocare l’apocalisse. In questa grande ballata Mauro Corona canta la forza e l’orgoglio di tutte le donne capaci di affrontare a testa alta le durezze del destino: e lo fa attingendo al dialetto della sua terra, una lingua impastata di sudore e sangue, schioccante come i rami che si spezzano sotto il peso della neve, dolce come la carezza di una madre.
Dario è un uomo di mezza età, separato, insegnante in congedo perché sta per subire una delicata operazione chirurgica. I due figli, Leonardo e Betta, vanno spesso a trovarlo, distraendolo ogni volta con nuovi racconti, mentre lui si dedica volentieri alla cucina e tenta di dare i giusti consigli. Il padre anziano, affidato alle cure di una badante moldava, non fa altro che parlare di politica.
Sospeso in un limbo di attesa, Dario non vuole soccombere alla paura, un compito che chiama a raccolta tutto l'istinto. Inizia allora a ricercare il piacere a pagamento frequentando annunci su internet; ma ha bisogno di qualcosa di più e di diverso da una semplice prestazione sessuale: uno spazio e un tempo abitabili.
È così che incontra Gao. Lei ha i capelli «castano-rosso all'henné» e non parla italiano. In Cina ha lasciato un figlio adolescente e un marito violento e insoddisfatto che minaccia di raggiungerla al più presto per accampare diritti ormai scaduti.
Tra lei e Dario comincia una relazione che cresce giorno dopo giorno nello stare bene insieme, senza artifici, e senza quella fastidiosa «necessità di fare» che è un male comune a tante storie. Una relazione in cui apprendere una lingua per comunicare significa cimentarsi con i piccoli gesti quotidiani, con il silenzio, la condivisione e la cura. E significa soprattutto scoprire che la diversità non impedisce di provare gioia. Finché non arriva l'ultimo passaggio a rischio.
«Di tutti i ricordi, le memorie, le rievocazioni che ho letto sulla guerra civile, questa per me è senza alcun dubbio la piú commovente, la piú saggia, la piú bella. Sono pagine di una verità immediata e insieme meditata, di convulsa cronistoria e di pacificato, anche ironico, distacco.
Un capolavoro».
È l’avvertimento che apre I canti di Maldoror, opera maledetta del conte di Lautréamont, pubblicata nel 1869. Poema in prosa intriso di male e di violenza, impastato di sangue e umori maligni. Poco dopo, una serie di atroci delitti insanguina Parigi. Le vittime sono ragazzini biondi, giovanissimi, tutti morti per sventramento e rinvenuti con un granchio infilato in gola. L’assassino ricalca alla perfezione le gesta efferate di Maldoror, eroe malvagio dei Canti, ma questo ancora nessuno lo sa. È una raffinatezza che la polizia non ha. Solo l’ispettore Letamendia capisce che quelle morti hanno un’unica firma, e che non si tratta di un criminale qualsiasi, ma di una sua nuova e perversa evoluzione. Un omicida reiterato, che uccide per piacere e per sfida.
Quando il giovane Étienne, in place Vendôme, si trova faccia a faccia con l’assassino, e con la sua nuova vittima, la faccenda si complica. Perché ora lui è l’unico testimone, e in più ha in mano fortunosamente il taccuino dell’uomo. La sua vita è in pericolo.
Una discesa nei meandri di una Parigi cupa, tra bettole fumose, case di piacere, intellettuali in preda all’oppio e riunioni sovversive, con un protagonista perversamente moderno.
Guido ha quarant’anni, un ottimo lavoro come chirurgo in un ospedale di Bologna e, nella vita, ha sempre seguito l’istinto. Forse per questo la sua è stata una carriera fulminante e forse per questo non riesce a tenersi una donna per più di qualche mese. In campo sentimentale, ha fatto dell’instabilità e del mutamento le proprie parole d’ordine.
Neppure il matrimonio quasi felice con Marika e la nascita di Giulia lo hanno fermato. Non che Guido non le ami profondamente, ma il desiderio di scoprire che cosa abbia da offrirgli la vita è sempre stato più forte.
Un giorno, però, durante un intervento delicato, Guido alza gli occhi sul volto della ragazza che sta operando. È stato per quattro ore concentrato sul corpo della donna, martoriato da un terribile incidente, e non si è reso conto di quanta bellezza celasse quel viso tormentato, pallido e sfuggente. Un volto che, nonostante il dolore, sprigiona desiderio di vivere. Quella donna non può morire, questa per Guido è l’unica certezza. Così, alla fine dell’operazione ne attende fiducioso il risveglio, un comportamento che va ben al di là di quello di un medico attento e professionale. Quel viso muto lo ha stregato e non riesce a staccarsene.
Anni dopo la vita di Guido non è cambiata molto: una donna più giovane, un lavoro più importante, ma sempre la stessa sensazione di vuoto, come se alla sua esistenza mancasse qualcosa.
Per questo decide di tornare sui propri passi alla ricerca di quell’amore mai vissuto. Capirà che ci sono persone a cui siamo legati indissolubilmente, solo con loro possiamo essere davvero completi.
"Sotto 1 a 2 – a 7' dalla fine, contro il Bar Fantasia – stavano per soccombere anche in quel pomeriggio di giugno. Il giorno di quel tiro al volo disegnato da Dio. Quando tutto ebbe inizio sulla fascia sinistra."
Fine anni settanta. Una sgangherata squadra della provincia Veneta composta da ragazzi tendenzialmente idealisti e temprati dalla sconfitta combatte contro gli odiati avversari – una formazione di fighetti sbruffoni abituati a vincere sul campo e nella vita. I primi hanno scelto come nome quello della squadra che più ammirano, l'Inghilterra. I secondi hanno preferito Bar Fantasia. L'Inghilterra è alla ricerca della prima vittoria, ma negli ultimi minuti della partita un giocatore del Bar Fantasia scocca un tiro a campanile e il pallone finisce nei campi. Irrecuperabile. Viene sancito il pareggio, a meno che – propone il capitano dell'Inghilterra – non ci si ritrovi tutti dopo trentatré anni, e si continui quella che è stata subito battezzata la Partita Interrotta. Stessi giocatori, stesse formazioni. Trentatré anni sono una vita. Quei ragazzi che si bullavano dopo un gol con le ragazze assiepate sulle tribune di fortuna hanno preso strade diverse: alcuni si sono buttati in politica, uno è morto per droga, un altro è missionario, c'è chi fa l'avvocato dell'alta borghesia, un altro fa il medico e un altro ancora marcisce in galera. La vita li ha investiti in pieno, lasciando cicatrici e speranze spezzate, figli amati e un filo di memorie che si annoda a un "noi", antico e nuovo. Quanta vita e quante vite in questa sfida. Epica come una battaglia dell'Iliade. Quei ragazzi diventati adulti sono pronti a riprendere la Partita Interrotta di trentatré anni prima.
Stefano Ferrio (Vicenza 1956) ha cominciato a scrivere per il "Giornale di Vicenza", "Il Gazzettino", "l'Unità" e "Diario". Insegna Storia della radio e della televisione all'Università di Padova. Ha pubblicato Il profumo del diavolo (Marsilio 2004) e Impressioni di settembre (Aereostella 2010). È la voce narrante della Paltan Blues Band.
"Napoli è una città che sperpera la propria bellezza.È come il tipo strambo in famiglia che turba molto più di un pazzo incontrato alla stazione, è la bella zia o la bella nipote che confonde i pensieri più di qualunque ragazza pin-up."
Cosa aspettarsi dal soggiorno italiano di uno scrittore tedesco le cui escursioni e osservazioni tra le gloriose rovine del passato e il presente di un'ordinaria quotidianità borghese avvengono all'ombra di fin troppo autorevoli predecessori? Il meglio che gli si possa chiedere è di smarcarsi da una simile onerosa eredità e svelarci il nostro paese da una prospettiva inedita e rivelatrice. Nei suoi nuovi racconti, arricchiti dalle fotografie di Matthias Hoch, Ingo Schulze riesce magistralmente in questo intento. Sullo sfondo di paesaggi mitici e città eterne, o quasi, ne nasce il ritratto di una penisola popolata di personaggi "marginali": immigrati, prostitute, lavavetri, anziani eccentrici e affini, figure distintive del mutamento sociale in atto. Ed è soprattutto in virtù di uno sguardo esterno, libero e ospitale, che invece di rivolgersi a quanto di più noto e stereotipato l'Italia offre di sé oltreconfine, ne restituisce attori e scorci più defilati, ma tanto più vivi e reali.
Egor è un editore di mezza età, membro di un gruppo segreto di pirati del copyright nell'era postsovietica. Si guadagna da vivere con la corruzione, il nepotismo e la pubblicazione illegale di opere di romanzieri e poeti: geni tossicodipendenti che scrivono per sopravvivere, vendendo le loro anime. Egor è divorziato e padre di una figlia adolescente che combina le stranezze e le carenze, fisiche e mentali, della madre e del padre. Ogni volta che deve farle visita o vederla, si sente terribilmente in colpa perché non la ama. Egor non è una cattiva persona, è più che altro il prodotto di una società che sta cadendo a pezzi. Una società in cui la vita, gli ideali, il mondo materiale, hanno perso il loro valore – una società che sta implodendo e trascinando tutto e tutti in un grande e mostruoso vuoto. Quando Egor è invitato a una performance di cinema d'avanguardia aperta solo ai membri selezionati della nuova classe russa superiore, ne rimane sconvolto. Il personaggio principale, una donna di cui è innamorato, viene violentata e strangolata a morte. Egor si mette sulle tracce del regista, ma il loro incontro lo lascia segnato per il resto dei suoi giorni. Dubovickij non scrive solo un giallo, ma usa il genere per raccontare la Russia postcomunista, e lo fa con stile, capacità narrativa e visionarietà fuori dal comune.