
Riproposti alla cultura internazionale nel 1831 da una celebre edizione di Angelo Mai, i tre scrittori noti come Mitografi vaticani rappresentano ciascuno con la stesura di un fabularius di leggende sugli dèi ed eroi dell'antichità greco-latina - una testimonianza insostituibile sulle credenze del pantheon religioso pagano. Indagini recenti hanno collocato gli Autori delle sillogi in epoca medievale (tra il IX e il XIII secolo) suggerendo, almeno per il terzo Mitografo, una possibile paternità: si tratti di Alberico di Londra (XII sec.) o di Alessandro di Neckam (m. 1217). L'antologia di testi presentata comprende cento fabulae dei Mitografi in prima traduzione italiana, essenziali per comprendere come il Medioevo recuperasse il volto leggendario dell'antichità reinterpretandolo in chiave allegorica. L'importanza delle fabulae, accettate e discusse da un pubblico di dotti ed artisti, risiede anche nel fatto che divennero il referente figurativo per le divinità dell'Olimpo classico dall'età del Gotico fino a Petrarca, Boccaccio e l'Umanesimo.
A partire dal secolo XIII si moltiplicano in tutta Europa narrazioni che accusano gli ebrei dei crimini più efferati contro la cristianità: crocifissioni di innocenti, assassini, cannibalismo rituale. Fra queste chimere, e in concomitanza con la crescente importanza attribuita al sacramento eucaristico culminante con l'istituzione della festività del Corpus Domini, compare e si diffonde rapidamente quella di furto e sacrilegio ai danni dell'ostia consacrata. Un evento miracoloso fa sì che, scoperti, i colpevoli siano puniti con la tortura e il rogo. Di tale fantasia persecutoria compaiono più tardi alcune trasposizioni sceniche: nell'Inghilterra centro-orientale della seconda metà del secolo XV, l'anonimo "miracle play" in volgare medioinglese "La conversione di Ser Jonathas Giudeo" - noto anche come "The Play of the Sacrament" - si distingue dalle analoghe rappresentazioni teatrali francese e italiana, oltre che per la presenza di un intermezzo farsesco, per un tono meno marcatamente virulento nei confronti degli ebrei e perché restituisce alla vicenda, in luogo della conclusione sanguinaria, quella edificante della conversione che caratterizzava le più antiche cronache e narrazioni.
Scheggia è in crisi. È dalla "parte sbagliata" dei quarant'anni, ha avuto qualche successo come scrittore, ha diversi progetti, tutti un po' in aria, ma non è riuscito a recuperare il rapporto con la moglie, e suo figlio Roy ormai va per la sua strada. Si sente in un vicolo cieco, e ogni tanto anche il corpo gli lancia messaggi preoccupanti. Non ha mai fatto davvero i conti con se stesso e sente che il momento è arrivato. Il luogo dove farli, però, non può essere la sua città, ma dev'essere ancora una volta la strada, anzi le strade, quelle dell'Africa, in sella alla sua moto. Questa volta Scheggia è da solo, diretto nel Mali, con il vago obiettivo di presenziare al mitico evento musicale del Festival au Desert. In realtà quello che sta cercando è una risposta alla sua inquietudine, alla sensazione di fallimento e al bisogno di sentirsi ancora vivo. Quello che gli capiterà durante il viaggio - tra incontri eccezionali, avventure e disavventure, incidenti e rapimenti, chilometri e chilometri - lo cambierà per sempre: la strada, a suo modo, gli risponderà, e Scheggia, forse per la prima volta, non scapperà più.
Questa raccolta di aforismi, pubblicata un anno dopo la morte di Wilde dal suo esecutore testamentario, rappresenta una parte minore ma significativa della produzione letteraria dell'autore. Gli aforismi, infatti, esprimono il suo pensiero e i suoi sentimenti in forma immediata e solo apparentemente superficiale. Si tratta della messa in prosa libera delle più complesse profondità di un animo irrequieto e controcorrente, delizia, stupore, scandalo dell'Inghilterra vittoriana, che in poche righe riesce a dare conto delle sue convinzioni più severe e autentiche sulla vita, le donne, la morale, l'arte e la società. Con un saggio di James Joyce.
Dante ha solo diciotto anni quando si innamora di Beatrice, ma la giovane è promessa sposa a ser Mone dei Bardi. Il loro è, dunque, un amore impossibile. Per distoglierlo dalla sua insana passione, Guido Cavalcanti, amico fraterno dell'Alighieri, lo convince ad accompagnarlo a Bologna, per seguire le lezioni dell'aristotelico fiorentino Taddeo Alderotti. Ma quando i due arrivano in città, Malatesta da Verrucchio, signore di Rimini, li manda a chiamare in gran segreto. Lo spettacolo che li aspetta una volta raggiunto il luogo dell'appuntamento è terribile: due cadaveri abbracciati nel rigor mortis. Sono Paolo e Francesca, trafitti da un unico colpo di spada. Dante e Guido sospettano subito di Gianciotto, marito di Francesca e fratello maggiore di Paolo. Ma il podestà di Pesaro sembra essere ancora all'oscuro di quel delitto. Il Malatesta esorta allora il Cavalcanti, in nome della sua antica amicizia con Paolo, a indagare nell'ambiente fiorentino. Quando era Capitano del Popolo a Firenze, Paolo aveva stretto contatti commerciali con alcuni banchieri fiorentini legati ai Cerchi e ai Portinari. Chi, nella città del Fiore, poteva desiderare la sua morte e quella di Francesca? Sarà Dante a sciogliere l'enigma, prima di immortalarlo nei versi più belli della Divina Commedia.
Tre racconti inediti sulla nostalgia, l'egoismo e l'illusione di vivere. Il racconto "Un amore in pericolo" fu pubblicato il 22 febbraio del 1936 su "le Figaro littéraire". Irène Némirovsky mise in scena il rammarico delle cose perdute, i momenti felici che sempre, e per sempre, svaniscono. Per Sylvie, in punto di morte, il senso della perdita si tinge d'una interrogazione morale: dove vola il pensiero nell'ora fatale, incerto tra il pentimento e il rimpianto? All'ansietà dolorosa di un lungo amore o alla breve convulsione di un momento di piacere? Il suo dilemma servirà all'autrice tre anni più tardi per l'ossatura del romanzo "Due". Un delicato studio filosofico sulle età della vita è invece lo spartito del secondo racconto, "Un giorno d'estate", in cui Irène Némirovsky abbatte uno scandaglio sull'adagio solipsistico che accompagna e scocca le ore delle vite umane ("Ciascuno vede solo se stesso"), ma devia poi su un piano chimico, biologico, ineluttabile: l'indifferenza universale della natura, l'incessante mormorio dell'esistenza, "Io, io, io". Quello stesso egoismo che sembra ispirare la madre del giovane assassino e il procuratore incaricato di condurne il processo, protagonisti dell'ultimo racconto, L'inizio e la fine, apparso sul settimanale "Gringoire" il 20 dicembre del 1935. Quell'egoismo che nella prima, per paura della morte, scatena una difesa insensata, e al secondo, col mero tramite di una fredda requisitoria, fornisce l'illusione di vivere.
La vita dei tre fratelli norvegesi Eriksen, funestata durante l'infanzia dalla perdita del padre, ha avuto una svolta positiva grazie al sostegno di un istituto di beneficenza che ha provveduto alla loro istruzione. La laurea in ingegneria che Lauritz, Oscar e Sverre hanno conseguito in Germania ha svelato pienamente il loro innato ingegno nonché la passione e l'impegno di Lauritz nella costruzione della ferrovia Bergen-Oslo. Gli ingegneri sono i pionieri del Novecento, il grande secolo delle innovazioni della tecnica, della scienza e della cultura: anche le donne ne sono partecipi come dimostra la bella Ingeborg, intelligente, energica e disinibita, che Lauritz può finalmente sposare perché ha raggiunto quel benessere economico che gli consentirà di superare le barriere imposte dal padre di Ingeborg, il barone von Freital. Grazie a Oscar, Lauritz diventa infatti uno dei principali soci dello studio ingegneristico Lauritzen & Haugen. In Africa Oscar ha costruito linee ferroviarie paragonabili a quelle tedesche e, inaspettatamente, ha fatto anche fortuna. Mosso dall'idea di fuggire da una delusione d'amore, si è svelato in tutta la sua competenza tecnica ed è diventato uno degli uomini più ricchi di Dar es-Salaam. Ma la Belle Epoque è finita: Germania e Inghilterra entrano in guerra e il mondo intero sta per impazzire proprio quando Oscar decide di andare via dall'Africa. Dopo tanti anni trascorsi nel Continente Nero, si trova coinvolto suo malgrado in un conflitto atroce...
Testimonianza lucida e disperata, ritualizzata per vent'anni a ogni anniversario del tragico eccidio di piazza Tian'an men, la raccolta di Elegie di Liu Xiaobo ha l'unitarietà organica di un piccolo poema, sintesi lirica di raro equilibrio tra denuncia e canto. Liu Xiaobo riesce a liberare spirito poetico dai pesanti ceppi della lotta politica, superando i limiti spazio-temporali della Primavera di Pechino, in una rappresentazione che restituisce a piazza Tian'an men e alle sue vittime il senso sacro e universale della storia. Il valore delle Elegie risiede proprio nel rendere omaggio ai protagonisti sconosciuti della tragedia, studenti e cittadini spesso rimasti senza riconoscimento, madri e parenti cui nessun conforto, nessun risarcimento, nemmeno quello del ricordo è stato concesso. È l'urgenza di non dimenticare che spinge Liu Xiaobo a denunciare la "solenne menzogna" del potere e una crudele tradizione di sopraffazione che si annida nella millenaria cultura cinese. Da messaggio politico di resistenza (Liu sta scontando una condanna a otto anni per istigazione alla sovversione del potere dello Stato), la poesia si fa riflessione dolente sulle ragioni della morte e della sofferenza, sul senso di colpa dei sopravvissuti e sulla facile smemoratezza del popolo. A tali sgomente domande sul tradimento delle "anime dei defunti" e sul destino della propria gente, Liu Xiaobo sembra non poter dare risposte definitive... Prefazione del Dalai Lama.
Il Po, anzi Po senza articolo, è il grande fiume, il fiume per eccellenza. Sembra facile collocarlo, leggerlo sulle carte, menzionarne la storia. Invece no. Forse ne sappiamo pochissimo, e conoscerlo significa lasciarlo apparire là dove muore un mondo perché un altro nasca. Paolo Rumiz ci racconta che quando gli argonauti, lui e il suo equipaggio, hanno cominciato a solcarne le acque è andata proprio così: Po visto dal Po è un Dio Serpente, una voce sempre più femminile irruente e umile, arrendevole e solenne, silente fra le sue rive deserte. Paolo Rumiz sa fare del Po un vero protagonista, per la prima volta tutto narrato a fior d'acqua, in un abbandono dei sensi inedito, coinvolgente, che reinterpreta i colori delle terre e dei fondali, i cibi, i vini, i dialetti, gli occhi che lo interrogano, lo sfiorano, lo scrutano. E poi ci sono gli incontri con il "popolo" del fiume, ma anche con personalità legate dall'amore per il fiume come la cacciatrice di luoghi Valentina Scaglia, il raffinato corsaro Paolo Lodigiani, il traghettatore dantesco Angelo Bosio, il collezionista di immagini Alessandro Scillitani, l'amico dei venti Fabio Fiori, l'esploratore Pierluigi Bellavite, lo scrittore Valerio Varesi e l'amico Francesco Guccini. Cominciata come reportage e documentario, l'avventura sul Po è diventata un romanzo, un viaggio interiore, un'avventura scavata nell'immaginazione, carezzata da fantasmi, a due passi dall'anima.
Nella vita da uomo qualunque dell'architetto Pablo Simó c'è una fessura inconfessabile, una crepa che gli tormenta la coscienza: Nelson Jara. Forse era solo un piccolo truffatore, una "canaglia", ma anche Pablo Simó sa di essere una canaglia, nonostante l'apparenza di irreprensibile professionista e buon padre di famiglia. Come una crepa che si allunga e si allarga, tutte le piccole certezze quotidiane di Pablo si sgretolano: una giovane donna che sembra sapere chissà cosa su Jara scatena in lui un'attrazione dirompente, la famiglia va in frantumi, il lavoro diventa insopportabile, e passo dopo passo la tentazione di essere canaglia fino in fondo lo travolge. Ancora una volta Claudia Piñeiro ci narra i piccoli inferni di una variegata umanità, nella monumentale Buenos Aires invasa dal cemento delle speculazioni edilizie dove l'apparenza, più che mai, inganna.
Yuko è in grado di vedere cose che gli altri non vedono, e di indovinare i desideri e i pensieri di chi le sta intorno grazie a una sensibilità fuori dal comune. Compiuti quattordici anni, tutto sembra assumere sfumature misteriose, e il mondo si popola di bizzarre creature. Yuko sta imparando ad assegnare un colore a ogni stato d'animo e a ogni emozione; a insegnarglielo è Kyu, il suo maestro di disegno, che ha il doppio dei suoi anni. Quando dal fusto di una pianta fuoriescono degli strani omini verdi, loro sono gli unici a vederli. Nello stesso istante, Yuko assapora l'incanto sottile del primo amore. Sospesa tra realtà e immaginazione, un'adolescente va incontro alla vita accompagnata dagli affetti più cari, e scopre, giorno dopo giorno, i turbamenti del cuore, la tenerezza dei sentimenti e la difficoltà di diventare grande.