
Le vicissitudini sveviane con gli editori sono ben note, e si spiega così l’incipit del racconto, in cui subito ci coinvolge questo letterato quasi sessantenne che ha pubblicato un romanzo quarant’anni prima, e adesso poteva anche risultare morto: nessuno se ne sarebbe accorto. eppure non demorde, aspetta ancora il bacio voluttuoso della gloria, con qualche osso rotto, ma con gli organi più importanti intatti, e una grande stima di se stesso.
E questo dipende dallo spirito dello stesso Svevo, che in quegli anni viveva un ritorno alla gioia del raccontare e che riflette anche la ricomposizione di una coscienza critica a fronte della traumatica tensione della precedente stagione. Circola, perciò, ne La burla riuscita, come una temperie di accettazione della propria condizione umana, che appartiene alla biologia, all’età, al mondo generazionale: un complesso di riflessioni che appartengono all’inesorabilità della legge umana e sociale. Del resto – Nietzsche insegna – il cosiddetto superomismo altro non è se non la consapevolezza della propria altera solitudine, in mezzo alla sordità degli uomini.
Con una chiara intenzione autobiografica, alla svolta di una “vita” condotta fra i meandri della riflessione, il protagonista si presenta come un personaggio anziano, animato e al contempo frustrato dal trauma esistenziale della perduta gioventù: è languido e sensuale il gusto della ricordanza, che produce un fatale e inevitabile sobbalzo di coscienza, nel momento in cui si accorge che il malore è superato, ma al contempo lo illumina sui disastri che potrebbe provocargli un ritorno d’amore per una giovinetta: ecco il grande e dolente nodo tematico del personaggio, che vive e sconta il proprio novellare assorto e drammatico, ora che il duello dolente è vissuto come una implacabile tragedia. C’è tuttavia il sollievo della forma, ormai specchiata e limpida, ad alleviare la ferita dell’età. Il sollievo che acquieta le sommosse dell’io proviene sì dalla scrittura, non più nevrotica e analitica, bensì risolta e rasserenante a sospingere il protagonista a scegliersi un’altra vita, un nuovo progetto in cui l’essere e l’esistere possano reperire un nuovo punto di raffronto.
Piccola Tigre non è una tigre come le altre: è curiosa, fa molte domande, mette in discussione quello che la natura le offre e che i suoi simili semplicemente accettano. Piccola Tigre apre gli occhi e scopre la meraviglia della luce. Tende le orecchie e scopre la vasta gamma dei rumori della Taiga. Quando, molto presto, le si fa chiara la forza che compete a una tigre, inizia a cibarsi di altri animali. Ma con qualche dubbio. Impara a distaccarsi da sua madre, a viaggiare da sola, sino ad avventurarsi fuori dai confini della Taiga, in cui è nata e da cui le altre tigri non usciranno mai. E, così, grazie a questa sua curiosità, infine, scopre anche l'uomo. L'hanno avvertita che dall'uomo bisogna guardarsi. Ma lei vuole conoscerlo. Con l'uomo, Piccola Tigre scopre l'essere più inquietante e mutevole, da amare e da cui difendersi. E da qui in poi la sua vita non sarà più la stessa.
Molti anni fa, Carlo Malaguti ha ucciso. Da allora, la pena più dura non è quella che sta scontando nel carcere di Trieste, ma l'ostinato silenzio in cui ha seppellito la propria verità sul delitto, rinunciando persino a difendersi in tribunale. Tra le mura della sua cella sembra aver trovato un riparo dal rumore del mondo che lo aiuta ad affrontare la tenebra che sente dentro di sé. Adesso però Malaguti ha più di ottant'anni e un giudice ha stabilito che deve tornare libero. Ma libero di fare cosa? Di confessare? Di uccidere ancora? Sono queste le domande che non danno pace a Luca Rainer, stimato traduttore sulla soglia critica dei quaranta. I due non si conoscono, ma qualcuno vuole farli incontrare, sapendo che a legarli può esserci molto più di una fervida passione per la letteratura. Entrare nel labirinto fortificato che è la mente di Malaguti è un'impresa ardua: Rainer dovrà mostrarsi degno dei segreti che l'assassino custodisce, battersi con l'immensità della sua solitudine, e provare il sapore acre della paura.
"Mi chiamo Enza Caruso, ho trentaquattro anni e dell'amore non ho mai capito niente": così si descrive la protagonista di questo libro, che a un punto cruciale della propria vita si ritrova a dover gestire un matrimonio agli sgoccioli, una madre con la fobia delle zitelle, e un gruppo di amiche ansiose di sistemarla con altri uomini. Lei però non è pronta a voltare pagina e preferisce dedicarsi anima e corpo al lavoro dei suoi sogni, quello che desiderava quando, ancora "criaturella", viveva a Napoli: fare le pulizie in un elegante condominio Liberty di Milano. Per lei è più di un mestiere o di una vocazione: combattere lo sporco è il suo modo per ristabilire l'armonia nel mondo e per prendersi cura degli altri. Il "Palazzo" di via Sabina 42, con le sue cinque scale e i cinquantaquattro appartamenti, si regge tutto sulle sue spalle larghe e sulle sue zeppe alte. È a lei che si rivolgono gli inquilini il giorno in cui si verifica uno strano, inquietante fatto: Augusto, il carlino dell'anziana signora Galli, è scomparso nel nulla, forse rapito dal temibile Cartello delle colf sudamericane che si sta prendendo il quartiere. Ma niente può mettere paura a una come Enza.
"Un contagio visionario" percorre il Greenwich Village dei primissimi anni Sessanta la terra di nessuno fra la Beat Generation e i figli dei fiori. E proprio nel cuore del Village, mentre "un bizzarro delirio aleggia nell'aria", una coppia di studenti, imprigionati in una livida ossessione d'amore, sprofonda giorno dopo giorno in un allucinato inferno coniugale. Sotto le loro finestre MacDougal Street è "un carnevale demente", scandito da Elvis Presley e Allen Ginsberg; e intanto la loro folie à deux, "impigliata nel suono delle proprie urla", precipita fatalmente verso un esito devastante. Ispirato alla storia vera del suicidio della prima moglie di Leonard Michaels, "Sylvia" è uno di quei romanzi che, terrifici nella loro profonda verità, si insinuano quasi inavvertitamente nella mente del lettore e vi rimangono per sempre.
Alle vedove dei grandi scrittori tocca spesso in sorte di trasformarsi in vestali per mantenere la memoria del caro estinto al riparo da scandali e pettegolezzi. La signora Driffield lo sa bene. Se poi al momento di individuare un agiografo affidabile, la scelta ricade su un uomo come Alroy Kear, astro nascente della scena letteraria, il minimo che possa accadere è che dal passato del riverito Edward Driffield riemerga almeno un fantasma, che ha le sembianze della prima signora Driffield, Rosie. Da questo spunto Maugham ha tratto una feroce e divertente commedia di costume. Alla sua uscita, nel 1930, quando molti riconoscevano nei personaggi tutte le leggende viventi dell'epoca, da Hardy a Walpole, il libro suscitò enorme scandalo.
"C'è una lunga vetrata ricurva. Dentro c'è un bar. Dentro al bar c'è Glenda, perché lei si chiama Glenda. Lui è Rudy, lo si capisce dal Borsalino adagiato morbido sulle orecchie. Le sta seduto accanto, ma non è serata. L'altro, lo vediamo di spalle, ha un nome tutto suo e se lo tiene per sé. Per noi è l'Ingrugnito, anche se non ne scopriremo mai il volto. È quello abbarbicato sul secondo sgabellone da sinistra. I restanti cinque trespoli, sulla sua destra, sono vuoti, così come il primo. È il vuoto, che resta negli occhi. Vuota è la vetrata del bar, vuota è la strada, vuota la casa di fronte, le finestre. Aperte e vuote. È estate, si direbbe. Vuota, da pensare, la porticina in fondo al bar: si capisce che di là non c'è nessuno. La cucina. Troppa luce. Eccessiva per essere una notte del '42. C'è tanta luce che si vedono i particolari." Dieci quadri di Edward Hopper, il grande pittore americano, dieci brevi storie nate lasciandosi coinvolgere dai suoi dipinti pieni di luce e di silenzio. Sono storie per nulla vincolate da epoche o luoghi, ma semplici suggestioni sollecitate da un volto, un'ombra, una casa bianca o una finestra piena di mare. Dieci racconti per adulti sognatori che riportano un po' all'età infantile, quando i libri si leggevano e si sfogliavano guardando le figure.
È una notte stranamente luminosa. Una notte in cui il buio non può più nascondere nulla. Lo sa bene Sandra mentre guarda suo figlio che dorme accanto a lei. Ha fatto il possibile per proteggerlo. Ma nessuno è mai davvero al sicuro. Soprattutto ora che nella borsa dell'asilo ha trovato un biglietto. Poche parole che possono venire solo dal suo passato: "Dov'è Juliàn?". All'improvviso il castello che Sandra ha costruito crolla pezzo dopo pezzo: il bambino è in pericolo. Sandra deve tornare dove tutto è iniziato. Dove ha scoperto che la verità può essere peggio di un incubo. Dove ha incontrato due vecchietti che l'hanno accolta come una figlia, ma che in realtà erano due nazisti con le mani sporche di sangue innocente, che inseguivano ancora i loro ideali crudeli e spietati. È stato Juliàn ad aiutarla a capire chi erano veramente. Lui che, sopravvissuto a Mauthausen, ha cercato di scovare quei criminali ancora in libertà. Lui ora è l'unico che può conoscere chi ha scritto quel biglietto e perché. Juliàn sa che la sua lotta non è finita, che i nazisti non si sono mai arresi. Si nascondono dietro nuovi segreti e tradimenti. Dietro minacce sempre più pericolose. E quando il figlio di Sandra viene rapito, l'uomo sente che bisogna fare qualcosa e in fretta. Perché in gioco c'è la vita di un bambino. Ma non solo. C'è una sete di giustizia che non può ancora essere messa a tacere.
"Sotto Tiberio" è una storia di crimini e inganni che racconta di un uomo chiamato Gesù Cristo. Nei recessi della biblioteca Vaticana viene ritrovato un codice antichissimo, scritto in un latino elegante; narra di un tristissimus hominum, il più tetro fra gli uomini - l'imperatore Tiberio - e di Jesvs, detto Gesù. L'autore che l'ha scritto, nel primo secolo, è Gaio Fulvio Falconio, mandato in esilio da Tiberio nella misera terra di Cesarea. Eppure in quella terra Falconio percepisce subito un'aspettativa diffusa nell'aria, la promessa di una salvezza finale, sancita dal Libro sacro dei Giudei, dopo "un'eternità passata nell'attesa, nel lamento e nel pianto". Tutta una bugia, pensa l'aristocratico romano, ma che potrebbe essere raccolta e rilanciata: con parole nuove, come proprio lui aveva già fatto a Roma con l'imperatore, dando preziosi consigli, scrivendo discorsi costruiti con maestose parole, creando l'illusione di un nuovo dio. Perché non farlo anche qui in Giudea, creare un nuovo profeta e liberarsi di Roma? E per avidità naturalmente, per mungere le nascoste ricchezze di quel deserto. Ed ecco che davanti a lui - tra tutti i malridotti messia possibili, numerosi come mosche - si fa avanti uno strano accattone con gli occhi luminosi. Sono Gesù, dice, "nato dalla sporcizia, figlio del nulla". Insieme faremo miracoli, miracoli per denaro.
La vita di un professore non è mai facile: la noia nello sguardo degli studenti, la loro smania di guardare i cellulari durante la lezione, l'aria che, tra ormoni e finestre chiuse, si fa ben presto irrespirabile. E in più la consapevolezza che "gli studenti che vanno bene avrebbero buoni voti con qualunque insegnante; quelli che vanno male invece vanno male con te". È così anche per il protagonista di questo romanzo, un professore di Lettere, cinquantenne, vedovo, solitario, che da tempo ha perso la fiducia nell'incanto del suo lavoro. E di incanto non c'è nemmeno l'ombra nella rivoluzione messa in atto dalla nuova Dirigente scolastica, Lisa Bardella - un passato politico aggressivo -, decisa a razionalizzare la scuola in base ai più moderni criteri di valutazione e a renderla una vera e propria "Scuola della Felicità". Obiettivo principale è aumentare la "Fil", ovvero la Felicità interna lorda, ma anche, o forse soprattutto, recuperare iscritti. Nel frattempo, nell'istituto cominciano a verificarsi strani avvenimenti: chi si intrufola in piena notte per dipingere sulle pareti enigmatici murales di protesta? E perché gli studenti si sono divisi in due fazioni concorrenti, i Marci, contrari a quello che considerano un degrado dell'istituzione scolastica, e i Benesserini, sostenitori invece della Dirigente e dei suoi metodi? Un commovente romanzo di formazione, in cui ad affrontare un processo di profondo cambiamento non sono solo gli adolescenti, ma anche il loro insegnante.
"Un bene al mondo" racconta di un paese sotto una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso. Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c'è una casa. Dentro c'è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l'infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l'istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento. Ma nel paese, soprattutto, c'è una bambina sottile. Vive dall'altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. "Un bene al mondo" è una storia d'amore e di crescita; è una storia universale, perché racconta quanto può essere preziosa la fragilità se non la rifiutiamo. Basta cercarsi su una mappa, disseminare parole per trovarsi, provare altre strade e magari perdersi di nuovo.

