
"Ogni volta che penso a mio fratello, il cuore mi sanguina come una melagrana scoppiata" esordisce la protagonista del racconto che da il titolo al volume, e per cercare di dimenticarlo del tutto, si immerge "nel ricordo della sua quieta camera di ospedale". Quella stanza, in cui il ragazzo ha trascorso alcuni mesi prima di morire "assurdamente giovane", era un luogo "perfettamente ripulito dalla sporcizia della vita". A poco a poco sorella e fratello si rinchiudono nel mondo a parte della stanza, che pare impermeabile alla corruttibilità della materia organica, e dove regna l'asettica purezza dell'assenza di cibo, dell'assenza di odore. Ed è come se assaporassero la "serenità perfetta che si prova all'inizio di una storia d'amore". Anche nel secondo racconto a un mondo "di fuori" si contrappone un mondo "di dentro": quando è costretta a portare la nonna - "chiusa in una realtà tutta sua" - in un ospizio per vecchi, una "scatola bianca ... piena di buone intenzioni" chiamata Nuovo Mondo, la ragazza Nanako si sente "murata viva" nel piccolo appartamento che per anni ha diviso con lei, e comincia a chiedersi quale sia ora il suo, di mondo, e se ci sia una realtà oltre a quella che le sta "crescendo dentro".
"Bando agli indugi, è venuto il momento di svelare ciò che non andrebbe svelato - la storia del desiderio del professore. Però non posso farlo senza prima chiarire in modo soddisfacente, almeno per me, se non per i vostri genitori, perché ho deciso di eleggervi a miei voyeur, miei giurati e miei confidenti, perché ho deciso di esporre i miei segreti a persone che hanno la metà dei miei anni, e che perlopiù non ho mai visto né conosciuto. Perché voglio un pubblico, quando la maggior parte degli uomini e delle donne preferiscono tenere tali faccende per sé oppure rivelarle solo ai più fidati confessori, laici o religiosi? Cosa rende necessario, addirittura appropriato, che mi presenti a voi giovani sconosciuti in guisa non di insegnante ma di primo dei testi di questo semestre? Sono devoto alla finzione, e vi assicuro che quando sarà il momento vi spiegherò tutto quel che so in proposito, ma a dire il vero nulla vive in me quanto la mia vita».
In un giorno d'estate soffocante, un avvocato si mette alla ricerca del suo gatto e in un giardino abbandonato dietro casa incontra una strana ragazza. Una giovane coppia decide di fare uno spuntino notturno e assalta un McDonald's per avere trenta Big Mac, realizzando cosi' un segreto desiderio adolescenziale del marito. Nel racconto che da il titolo al libro, un uomo è ossessionato dalla incredibile, misteriosa scomparsa di un elefante dallo zoo del paese. E poi ancora una curiosa digressione sui canguri, un uomo che incendia granai per il gusto di vederli bruciare e le introspezioni di una giovane madre afflitta da insonnia.
Il passato raccontato da Michele Mari è quello mitico e irrecuperabile dell'infanzia, eroso negli anni da una diaspora di oggetti e sentimenti il cui ricordo continua a sanguinare. Ma in questi racconti non c'è mai il rimpianto di una perduta età dell'oro, perché la violenza immaginifica dell'autore opera un recupero altissimo di emozioni infantili legate a un universo in cui le sole figure amiche sono quelle dei propri personali mostri e di pochi, semplici ma "fatidici" giocattoli. Ogni pagina spalanca abissi di malinconia dove fanno irruzione visioni fantastiche e terrificanti, in cui riecheggiano nitide le voci degli autori più amati, Stevenson, London, Poe, Melville. Così i giardinetti che accolgono gli svaghi pomeridiani dei bambini diventano lande inospitali, dove s'aggirano tremende creature mitologiche come le Antiche Madri; così un puzzle segna l'iniziazione a un'ascesi quasi monastica, così le copertine di Urania o le canzoni degli alpini diventano la palestra di ossessive elucubrazioni mentali, e tutto è tanto più feticisticamente inventariato quanto più la vita sembra cosa riservata ad altri. Una narrazione di trasalimenti e precoci nevrosi, condotta con commozione ma anche con feroce umorismo dalla voce inconfondibile di Michele Mari. Il ritorno di un libro uscito da Mondadori nel 1997, e già considerato da molti un piccolo, imprescindibile classico.
Darina è una donna giovane e bella. Una donna troppo libera in una città dilaniata dalla guerra dove essere donne non è facile ed essere libere è solo un sogno. O una condanna. 'Assim è suo padre. Un intellettuale laico in esilio, innamorato dell'alcol, del poker e del jazz, che insegna alla figlia il piacere del buon vino, l'amore per la letteratura e ad esser sempre libera e ribelle. Libera dalle regole, dalle tradizioni, dalle religioni, dagli uomini e dai mariti, da tutti quelli che pensano, ad esempio, che la verginità sia una dote per la donna. Ma a Beirut è l'inferno. Bombardamenti, massacri, fame, isolamento. Una lunga, agonizzante guerra civile. L'unica legge è quella delle armi. Per gli adolescenti che vivono lì la guerra con la sua adrenalina è una droga, come lo è l'hashish o il sesso che si fa per dimenticare l'orrore o la roulette russa che si prova per sentirsi vivi. Darina lo sa e sperimenta tutto fino in fondo e fino in fondo paga le conseguenze della sua folle ribellione. Poi una notte, dopo la morte del padre, viene picchiata e rinchiusa dalla sua famiglia in manicomio dove l'unico modo che ha per sopravvivere è fingersi pazza e scrivere su fogli immaginari la sua storia. Questa storia. Una storia vera, autobiografica, raccontata ad alta voce.
Céline finge di concedere un'intervista all'immaginario professor Y, trasformandola in un frenetico soliloquio sulla letteratura. Soliloquio "dove Céline - come scrisse Mario Bonfantini - condanna al fango e allo sterco tutti i moderni e contemporanei come noiosi e falsi, repellenti prodotti d'una marcia tradizione accademico-professionale". La conclusione ricorda l'improvviso, incalzante cambio di ritmo delle comiche finali al cinematografo: il professor Y, stremato e ubriacato dal fiotto di invettive di Céline, sviene, stramazza, cerca scampo prima negli alcolici, poi buttandosi in una fontana, e dona fiori all'editore, in una sequenza di scene grottesche, che hanno suggerito a Gianni Celati (autore della traduzione e della prefazione) i nomi di Harry Langdon, Buster Keaton, i fratelli Marx, Stan Laurel e Oliver Hardy.
Roma, 9 settembre 1944. Al Teatro Valle si spengono le luci di scena del varietà satirico intitolato al destriero bianco di Mussolini: "Il suo cavallo", per l'appunto. Nella città da poco liberata, lo spettacolo va alla meno peggio. Sembra però che il pubblico "continui a divertirsi molto alla imitazione di Mussolini fatta da Campanini". È Steno che, con la collaborazione di Castellani, Soldati e Longanesi, ha messo su lo spettacolo. Soldati si rivolge agli amici e, quasi per sfida, annuncia che parte come inviato speciale per il fronte: sulle piste degli Alleati e del Corpo Italiano di Liberazione; là dove si combatte contro le truppe tedesche che, tra varie atrocità, continuano a occupare il paese, lontano da una capitale che sgangheratamente ride della sua recente pagliacciata storica e intanto crede di emanciparsi parlando un italiano lubrificato dallo slang degli Alleati. Le corrispondenze di guerra, scritte per l'"Avanti!" e per "l'Unità", edite e inedite, in parte raccolte dallo stesso Soldati ma mai date in volume, sono il necessario complemento del libretto "Fuga in Italia", pubblicato nel 1947: il libro edito racconta "una disavventura picaresca ed antieroica", una prima "fuga" da Roma, nel generale sbandamento succeduto all'armistizio fra l'Italia e gli angloamericani, e alla dispersione dell'esercito italiano; questo libro inedito è una seconda "fuga" da Roma, nel "tentativo di trovare un'anima eroica alla rinascente Italia".
Martin Beck, il commissario della polizia di Stoccolma, è chiamato a indagare sulla scomparsa di un uomo. Alf Matsson è sparito senza lasciare tracce. È, o era, un giornalista di successo: brutto personaggio, alcolista e attaccabrighe, nessuno rimpiangerebbe la sua presenza o si meraviglierebbe che stesse smaltendo la sbornia in qualche tana. Ma il direttore del giornale dove lavora minaccia un caso internazionale perché l'ultima volta è stato localizzato a Budapest, oltrecortina, ed è lì che Matsson sembra essere svanito. Perciò Beck è convocato in via riservata proprio mentre è in procinto di partire per le vacanze estive, per raggiungere moglie e figli. Il commissario, che rifiuta per metodo ogni ipotesi preconcetta e ogni partito preso, segue due piste diverse e successive, serpeggianti dentro il sottomondo frequentato dal giornalista (un gruppo di colleghi compagni di bevute e fracassoni, e un terzetto equivoco di trafficanti), prima a Budapest e poi di ritorno in Svezia. Si lascia prendere dalla solita routine del suo metodico lavoro di squadra, con un poliziotto ungherese, Vilmos Szluka, con cui scatta una silenziosa simpatia, e con il collega e amico fraterno Kollberg, intelligente ipercritico e lamentoso. Alla fine è la cura dei dettagli, il passare e ripassare i particolari, a farlo inciampare nell'indizio che smentisce tutti gli altri e guida a una soluzione, sul caso dell'uomo in fumo, come sempre, tutt'altro che romantica o clamorosa.
Indiana è nata nell'isola di Bourbon, al largo del Madagascar, nel mezzo dell'Oceano Indiano. Ma il lettore la incontra in una ricca dimora della campagna francese nei panni di madame Delmare, sposa infelice di un matrimonio combinatele dalla zia, che ha voluto così riscattarla da una vita da schiava, all'altro capo del mondo. Rassegnata a un'esistenza priva di gioie, Indiana si lascia andare a uno struggimento che sconfina nella consunzione, al fianco di un marito vecchio e collerico, e sotto l'ala protettiva del taciturno sir Ralph, fedele ma troppo compassato amico d'infanzia. Ed ecco che una notte irrompe nella villa l'affascinante Raymon, un aristocratico di belle speranze, da poco trasferitesi in campagna, che tutto sovverte. Raymon l'affabulatore dapprima seduce Noun, la bella domestica creola, e poi rapisce il cuore della stessa Indiana. L'incostanza delle passioni e l'ingannevole personalità di Raymon spingeranno Noun a gettarsi nel fiume in piena, e Indiana a oscillare senza tregua tra lo sdegno e l'attrazione irresistibile. Nell'andirivieni di quel pendolo sentimentale, è tutto un incalzare di eventi: la fuga disperata a Parigi, la morte cercata sulle rive della Senna, la bancarotta del marito, il forzoso trasferimento nell'isola al largo dell'Africa, il precipitoso rientro in Francia a bordo di un mercantile, la messa a repentaglio dell'onorabilità. Sullo sfondo, l'evolversi del personaggio di sir Ralph, sempre avvolto in un alone di inquietante opacità. Con un commento di Henry James.
Renata e Maria sono sorelle gemelle, ma non si assomigliano per niente. Diversa l'altezza, diverso il coraggio, diverso il modo di andare alla deriva. Renata ama Jorge, ma lo perde passando di letto in letto; Maria si affida all'eroina. La loro madre adora l'opera e lotta per aprire la sua erboristeria in pieno centro a Saragozza. Dice che la paura è un mucchio di cose: ciascuno vi passa accanto e raccoglie quello che vuole. Per le figlie si preoccupa solo delle cose pratiche, "non dell'anima". Crede fermamente nell'indipendenza. Ma "le peggiori dipendenze non sono quelle economiche", e la peggiore infedeltà è l'infedeltà a se stessi. Rivivendo corse in motorino, sedute di terapia 'light' nei centri di disintossicazione, seduzioni vampiresche e notti strane, Renata a quarant'anni si spoglia a poco a poco di ogni forma di autoinganno, decisa a entrare a occhi aperti nella vita che verrà.