
Racconti di viaggi, turbinio di immagini, sirene che istigano all'avventura: il deserto esercita il suo irresistibile potere di attrazione. Alain Laurent ci guida attraverso le regioni nelle quali emerge il Sahara, il deserto dei deserti. Vi si scoprono vite sconosciute, al tempo stesso preziose e fragili, ma anche una terra di violenza che non si sottrae alle tumulazioni e ai tumulti del resto del mondo. In mezzo a meraviglie naturali e arte preistorica, fra manie di conquista e paesaggi di bellezza lunare, il Sahara agisce sull'uomo come una cartina tornasole che rivela a un tempo la sua grandezza e la sua infinita piccolezza.
"Don Giovanni ha tutta una famiglia di parenti spirituali, e, anche se sono molto lontani da lui, Icaro o Faust gli sono più simili che non Casanova. La sua fama di seduttore è un equivoco creato dalle donne. Don Giovanni è un intellettuale. Ciò che lo rende irresistibile per le signore di Siviglia, è la sua spiritualità, la sua pretesa di una spiritualità virile, la quale costituisce un affronto, in quanto persegue scopi completamente diversi da quelli che potrebbero essere costituiti dalla donna, e pone, fin dall'inizio, la donna come un episodio - con il noto risultato, certo, che gli episodi finiscono per divorare tutta la sua vita." (Max Frisch)
Immerso nella sordida atmosfera di un bordello della Grazia spagnola, il vecchio Herbal si ritrova tra le mani un lapis rosso che gli fa venire in mente i suoi trascorsi di carceriere durante la guerra civile e le terribili iniquità di cui è stato complice e insieme testimone. Il lapis apparteneva a un detenuto, un pittore che se ne serviva per disegnare i volti dei suoi compagni di prigione. La memoria di Herbal ricompone immagini di crudeltà, torture, tradimenti, esecuzioni sommarie, un gruppo di passioni umane e disumane e una struggente storia d'amore. Ma nel ricordo del vecchio carceriere riemerge la più profonda paura del sovvertimento e l'ancestrale angoscia del nuovo che serpeggia nell'anima e nella storia.
Orfana del padre, Eiko vive con la madre e la nonna, proprietarie di un ristorante. Finito il liceo, la giovane decide di trasferirsi a Tokyo e trova un'occupazione in un ristorante indonesiano, l'Arcobaleno. Alla morte delle due donne, si ritrova completamente sola. Per vincere il dolore della perdita, Eiko si concentra completamente sul suo lavoro. Il signor Takada, proprietario dell'Arcobaleno, si dimostra molto solidale e comprensivo con lei e le propone di aiutare la moglie incinta nella conduzione domestica. Questo nuovo impegno, a contatto con un ambiente in apparenza tranquillo, consente a Eiko di riprendersi. Ma presto si accorge di quanto siano orribili i rapporti tra il marito e la moglie, fatti di bugie e tradimenti.
A Parigi Rosi incontra l'uomo che, più di vent'anni prima, in una cittadina della riviera ligure, è stato il suo primo ragazzo. Adesso fa il cuoco ed è ancora vitale e passionale. E come allora Rosi è impertinente e ribelle. Si studiano, si guardano, si amano, dentro la lunga notte che li ha rimessi insieme. E poi? Rossana Campo torna alla freschezza dei suoi primi romanzi (la vicenda parallela di Rosi dodicenne è un graffiante affondo nell'inquietudine adolescenziale) aggiungendo la malinconica leggerezza di una nuova maturità.
Il volume raccoglie tre storie con protagonista Pepe Carvalho. "Le ceneri di Laura" prende le mosse dalla morte di una vecchia fiamma di Carvalho, che davanti al cadavere della donna si chiede se in qualche modo debba sentirsi responsabile della sua morte. In "Quel che poteva essere e non fu" si fa addirittura della teoria: hanno un senso gli amori che uccidono? È morto un vecchio musicista rock: vittima o despota dei sentimenti altrui? "La ragazza che non sapeva dire no" racconta di una donna vittima del cinismo con cui ha condotto la sua vita amorosa e dei suoi stessi desideri.
Se ai tempi di Wilde era l'omosessualità a obbligare al segreto e a nascondersi, a essere proibita e soggetta al carcere, oggi la diversità della sofferenza può essere incarnata dalla malattia del ventesimo secolo, che è diventata simbolo di sacrificio, vera e propria cultura, sostiene Gaia Servadio. Del resto, "non è vero, anche se è stato spesso ripetuto, che Wilde scrisse Salomè pensando a Sarah Bernhardt: era Alfred Douglas la persona che aveva ispirato la sua concezione del personaggio". Wilde scrisse l'opera originariamente in francese, per poi assistere e aiutare Douglas nella sua traduzione inglese. In quest'edizione sono presentate entrambe le versioni dell'opera.
Siamo a teatro: il vincitore di un premio letterario ci mostra le spalle e grida "Grazie, grazie!" verso la platea che ha di fronte. Le luci si spengono, il sipario si chiude e il protagonista si volge verso di noi. Cerca le parole per ringraziare, ma il problema è: chi, come e perché ringraziare? L'autore premiato "per l'insieme della sua opera", punta alla sincerità: diventa puntiglioso, politicamente scorretto e più va a fondo nella questione più il "grazie" s'ingigantisce e finisce con il toccare temi morali che vanno ben oltre l'occasione. A chi tocca questo ringraziamento? Un omaggio di Pennac ai suoi lettori, ma a questo bell'inchino simbolico l'autore arriva disegnando una figura nevrotica, contorta, esilarante di uomo confuso. Un uomo al bivio.
Giovane medico del pronto soccorso, Gerard Galvan racconta una folle notte di molti anni prima, quando fra crisi di asma e arti spappolati era stato finalmente notato un uomo seduto su una sedia che ripeteva: "Non mi sento tanto bene". Il malato passa da tutti gli specialisti, convocati d'urgenza a risolvere uno dopo l'altro crisi acute di ogni genere: dall'occlusione intestinale all'esplosione della vescica, all'attacco epilettico. Rimasto accanto al suo letto, Galvan si addormenta e al mattino il malato non c'è più. È morto? È sparito? Dove è stato portato? Galvan non sa neppure come si chiama. Nessuno lo sa. Ma il paziente riappare e le cose che dirà e farà saranno per il buon Galvan la fine di un sogno.
Un vecchio criminale di guerra vive con sua figlia, divisa tra la repulsione e il dovere di accudire. Lui è convinto di avere per unico torto la sconfitta. Lei non vuole sapere i capi d'accusa perché il torto di suo padre non è per lei riducibile a circostanza, momento della storia. Insieme vanno a un appuntamento prescritto dalla kabbala ebraica, che fa coincidere la parola fine con la parola vendetta. Pretesto sono le pagine impugnate da uno sconosciuto in una locanda.
Una bambina salvata in mare dai delfini cresce orfana su un'isola greca. Si chiama Irene, di giorno vive in terraferma, di notte si unisce in mare alla sua vera famiglia. A quattordici anni è incinta e consegna a uno straniero di passaggio la sua storia.
Nel novembre del 1970 Yukio Mishima, dopo aver occupato gli uffici del generale Mashita e aver pronunciato un duro discorso contro la costituzione pacifista giapponese del 1947 davanti a un migliaio di soldati, si suicida. Si toglie la vita tramite il seppuku, il suicidio rituale dell'antica tradizione dei samurai. Una morte sconvolgente, preparata con meticolosità e infine celebrata come un rituale spettacolarmente tragico. Di questo martirio, in cui un'etica eroica da antico samurai convive singolarmente con un estetismo quasi dandy, Miller evita di dare un giudizio. Ma al contempo l'attrazione che sente per la figura di Mishima è profonda. Gioventù, bellezza e morte sono i temi che lo scrittore americano rintraccia nel suo omologo giapponese. Di Mishima, Miller ammirava il coraggio, lo stoicismo, la genialità e il sogno vano di restaurare la virtù e la spiritualità proprie della tradizione giapponese. "Mishima fu un patriota nel senso più autentico del termine. Amava la sua terra al punto di esser pronto a sacrificare ogni cosa per salvarla." Anche la vita.

