
"Muss. Ritratto di un dittatore", è un documento prezioso per comprendere il complesso e spesso conflittuale rapporto di Malaparte con il fascismo. La sua stesura, iniziata durante la permanenza di Malaparte a Parigi, ha occupato un lasso di tempo di venti anni, dal 1931 fino ai primi anni Cinquanta. Proprio questa lunga gestazione è il miglior indice del travagliato rapporto di Malaparte con il regime e più ancora con la figura di Mussolini. Previsto inizialmente come una biografia di Mussolini con il titolo "Il Caporal Mussolini", il saggio si è in realtà sviluppato come un'analisi critica del fascismo, che a Malaparte appariva nei suoi tratti di stato di polizia come l'ultimo portato della Controriforma. Oltre che sul rapporto dello scrittore con il fascismo, le pagine di Muss sono interessanti proprio per l'acuto giudizio critico di Malaparte anche sul nascente nazismo, visto come un primo esempio di dittatura moderna capace di indurre il popolo a credere che «il dittatore moderno sia un essere soprannaturale». Non deve dunque sorprendere che poco dopo il suo ritorno in Italia Malaparte venisse arrestato nel 1933, su denuncia di Italo Balbo, con l'accusa di avere svolto all'estero attività antifasciste, e inviato al confino sino al 1934, quando venne riabilitato dallo stesso Mussolini. Lo scritto "Il grande imbecille" completa questo volume.
A Stoccolma Malaparte incontra il principe Eugenio, fratello del re di Svezia. E nella villa di Waldemarsudden non può trattenersi dal raccontare ciò che ha visto nella foresta di Oranienbaum: prigionieri russi conficcati nella neve fino al ventre, uccisi con un colpo alla tempia e lasciati congelare. È solo la prima di una fosca suite di storie che, come un novellatore itinerante, Malaparte racconterà ad altri spettri di un'Europa morente: ad Hans Frank, Generalgouverneur di Polonia, a diplomatici come Westmann e de Foxà, a Louise, nipote del kaiser Guglielmo II. Storie che si annidano nella memoria per non lasciarla mai più: il Ladoga, simile a "un'immensa lastra di marmo bianco", dove sono posate centinaia e centinaia di teste di cavallo, recise da una mannaia; il console d'Italia a Jassy, sepolto dal freddo peso dei centosettantanove cadaveri di ebrei che sembrano precipitarsi fuori dal treno che li deportava a Podul Iloaiei, in Romania; le mute di cani muniti di cariche esplosive che, in Ucraina, i russi addestrano ad andare a cercare il cibo sotto il ventre dei panzer tedeschi. Storie, anche, malinconiche e gentili: quella dei bambini napoletani convinti dai genitori che gli aviatori inglesi sorvolano la città per gettar loro bambole, cavallucci di legno e dolci; o, ancora, quella delle ragazze ebree destinate al bordello militare di Soroca. Storie che trascinano in un viaggio lungo e crudele, al termine del quale si vedrà l'Europa ridotta a un mucchio di rottami.
Una terribile peste dilaga a Napoli dal giorno in cui, nell'ottobre del 1943, gli eserciti alleati vi sono entrati come liberatori: una peste che corrompe non il corpo ma l'anima, spingendo le donne a vendersi e gli uomini a calpestare il rispetto di sé. Trasformata in un inferno di abiezione, la città offre a Malaparte visioni di un osceno, straziante orrore: la ragazza che in un tugurio, aprendo «lentamente la rosea e nera tenaglia delle gambe», lascia che i soldati, per un dollaro, verifichino la sua verginità; le «parrucche» bionde o ruggine o tizianesche di cui donne con i capelli ossigenati e la pelle bianca di cipria si coprono il pube, perché «Negroes like blondes»; i bambini seminudi e pieni di terrore che megere dal viso incrostato di belletto vendono ai soldati marocchini nella piazzetta della Cappella Vecchia, dimentiche del fatto che a Napoli i bambini sono la sola cosa sacra. La peste - è questa l'indicibile verità - è nella mano pietosa e fraterna dei liberatori, nella loro incapacità di scorgere le forze misteriose e oscure che a Napoli governano gli uomini e i fatti della vita, nella loro convinzione che un popolo vinto non possa che essere un popolo di colpevoli. Null'altro rimane allora se non la lotta per salvare la pelle: non l'anima, come un tempo, o l'onore, la libertà, la giustizia, ma la « schifosa pelle». E, forse, la pietà: quella che in uno dei più bei capitoli di questo insostenibile e splendido romanzo - uno dei pochi che negli anni successivi alla guerra abbiano veramente, nel mondo intero, lasciato un solco indelebile - spinge Consuelo Caracciolo a denudarsi per rivestire del suo abito di raso, delle calze, degli scarpini di seta la giovane donna del Pallonetto morta in un bombardamento, trasformandola in Principessa delle Fate o in una statua della Madonna.
«Spero di mostrare un Lenin del tutto diverso da come appare agli occhi dell'opinione pubblica europea» confida Malaparte all'amico Halévy nel settembre del 1931. Il suo intento era, in realtà, ancora più audace: mostrare Lenin come appare agli occhi dei «Russi intelligenti». O, se vogliamo, analizzare un fenomeno entro la sua stessa logica, come già aveva fatto nell'"Intelligenza di Lenin" per spiegare il bolscevismo. E il nuovo libro, uscito a Parigi nel 1932, avrà l'effetto di una scossa elettrica. Perché in questo romanzo-ritratto Lenin non è affatto il Gengis Khan proletario sbucato dal fondo dell'Asia per conquistare l'Europa, raffigurazione ideale per chi voglia ricacciarlo al di là dei confini dello «spirito borghese»: semmai, un piccolo borghese egli stesso. Di più: freddo e riflessivo, sedentario e burocratico, animato da un'immaginazione meticolosa e da una «crudeltà platonica», ostile a ogni romanticismo terrorista e incapace di agire all'infuori della teoria, a suo agio più nelle discussioni politiche e nelle faide personali che non nel confronto con la realtà, Lenin non è che un europeo medio, un buonuomo violento e timido, un «funzionario puntuale e zelante del disordine», un fanatico e un opportunista, per il quale la rivoluzione è una questione interna di partito, il risultato di ossessivi calcoli. Non a caso quando, giunto al potere, non potrà più attendere gli eventi e osservarli da lontano, e - proprio lui, dotato di un vivo «senso dell'irrealtà» - dovrà fare i conti con la realtà, si risolverà a inventarla, a crearla, imponendola «a se stesso, ai suoi collaboratori, al popolo di Russia, alla rivoluzione proletaria, all'avvenire dell'Europa».
Toscana, estate 1953. Una bambina sembra non dover nascere: i medici sconsigliano una gravidanza pericolosa per la vita della madre. Ma nonostante tutto e tutti lei nasce. Attraverso i suoi occhi prendono forma, quasi fantastica e favolistica, i personaggi che la circondano e l'evoluzione cui il suo piccolo paese va incontro dopo la sua nascita. Sono gli anni delle prime televisioni, delle riunioni familiari nei circoli Arci per i varietà del sabato sera; sono gli anni dei primi elettrodomestici, dei bagni finalmente dentro le case; gli anni delle prime automobili. La bambina vive questo mondo filtrandolo attraverso la sua ipersensibilità, avvolta in un silenzio quasi irreale, sviluppando con la natura e le cose che la circondano un rapporto quasi mistico-religioso. Sono sempre i suoi occhi a restituirci le immagini di familiari e parenti, gli occhi di chi sente troppo su di sé il dolore altrui e per questo è incline a ritirarsi in se stessa. La sorella, alla quale è morbosamente legata; la madre, della quale subisce il penoso alternarsi della ciclotimia, che renderà Nada una bambina sensibile e con un estremo bisogno d'amore; la zia, rifiutata in gioventù dal grande amore della sua vita, che vive ora a servizio di un prete; la nonna Mora, dai modi burberi con gli altri, ma sempre protettiva verso la nipote: l'unica capace di far apparire il suo soffio al cuore come il funzionamento di un normale cuore umano; sullo sfondo familiare un padre taciturno e apparentemente assente.
II Meridiano, primo di due che offrono l'opera omnia di Malamud con molte nuove traduzioni, propone i romanzi e le raccolte di racconti pubblicati tra il 1952 e il 1966. A "The Natural" (1952) e "The Assistant" (1957), presentati con i titoli "Il fuoridasse" e "II giovane di bottega", si affiancano "Una nuova vita" (1961) e "L'uomo di Kiev" (1966), e i racconti di "II barile magico" (1958) e "Prima gli idioti" (1963). Autore peculiare per lo stile e la lingua ingannevolmente semplici e a tratti sorprendenti ottenuti trasferendo nell'americano le cadenze e l'ironia dello yiddish, Malamud affronta spesso nella sua narrativa il tema del "doppio" e quello dell'identità ebraica, offerta, ripudiata e amata, dando vita a personaggi attraverso i quali però offre un ritratto dell'umanità tutta. Il suo sguardo introspettivo e spietato eppure così indulgente e partecipe dà spessore ai protagonisti delle sue storie, li rende commoventi irritanti, umani. Il saggio introduttivo è firmato dal critico inglese Tony Tanner. La cronologia e le dettagliate notizie sui testi si devono a Paolo Simonetti.
"Scrivere racconti non è affatto un brutto modo di trascorre la propria solitudine" disse Bernard Malamud poco prima di morire. E il risultato del suo solitario lavorio sono gli oltre cinquanta racconti composti dal 1940 al 1985 e via via pubblicati nelle sue raccolte. Di essi, questo volume comprende i primi ventinove, curati e riordinati secondo la data di composizione da Robert Giroux. Da "Armistizio", il primo, datato 1940, a "Pioggia di primavera" e "Prima gli idioti", questi sono i racconti ambientati nella New York degli immigrati, dei piccoli bottegai, degli illusi e dei delusi, di quanti continuano a rincorrere il sogno all'ombra dei grattacieli.
Immigrati che raggiunta New York con ingenue speranze soffrono di un disadattamento più grave della stessa povertà; piccoli bottegai che vivono di illusioni puntualmente sconfitte; casalinghe che sognano vite romanzesche; artisti falliti che inseguono la felicità in un'America quanto mai indifferente. Protagonisti di queste ventisei short stories di Bernard Malamud sono sempre inventori di sogni quotidiani. I racconti della maturità artistica dell'autore qui presentati, sono stati riordinati cronologicamente da Robert Giroux, il fedele editor di Malamud.
Per l'India dei Veda, tutto è racchiuso nel rito e nel sacrificio: un corpo vivo di azioni minutamente codificate, di cui i Brahmana, antichissime opere di ermeneutica del rituale, studiano incessantemente l'anatomia e la fisiologia. In questa raccolta di saggi Malamoud, fra i massimi rappresentanti della tradizione indologica francese, attinge dall'immenso corpus delle speculazioni brahmaniche sul sacrificio per gettare luce su alcuni suoi tratti essenziali: dalla rivalità fra mito e rito alla polarità sessuale che pervade ogni atto cerimoniale, dagli aspetti teatrali di quanto viene inscenato alla negazione della violenza proprio là dove la violenza si esprime nella forma più cruda e scoperta.
Chicago, 1985. Al giovane Yale Tishman non manca niente: ha un lavoro gratificante, una relazione stabile, un gruppo affiatato di amici. Ma il mondo intorno a lui sta crollando. La nuova epidemia di Aids si diffonde rapidamente anche a Chicago, e Yale assiste inerme alla sofferenza della sua comunità, legandosi sempre di più alla sorella di un amico, Fiona. Trent'anni dopo Fiona segue le tracce della figlia scomparsa. La ricerca l'ha condotta a Parigi: qui, tra le avversità del presente, un inatteso incontro con i ricordi le darà l'occasione per riconciliarsi con il passato.
Lui: Ian Drake, 10 anni, occhiali tondi e grande sorriso, lettore vorace. Gli piace che i libri inizino con un prologo. Lei: Lucy Hull, 26 anni, bibliotecaria per caso in una piccola città di provincia (sezione ragazzi), discendente di rivoluzionari russi emigrati in America. È convinta che i libri possano salvarti la vita. Sarà che entrambi non sanno resistere alla tentazione di sbirciare subito l'ultima riga dei romanzi, ma tra loro si stabilisce una complicità immediata. Per Ian, fedelissimo della biblioteca, che frequenta anche con la varicella o una gamba rotta, quegli scaffali sono un rifugio dal controllo opprimente della famiglia, ultrareligiosa. E Lucy, approfittando delle scarse conoscenze dei suoi genitori in materia di narrativa per ragazzi, aggira la loro censura, ben felice di passare a Ian sotto banco libri "proibiti", come quelli che osano parlare di magia, specie se "scritti da Harry Potter". Quando però a Ian non basterà più fuggire con la fantasia, si farà rapire davvero. E i due appassionati lettori diventeranno protagonisti di una loro personale avventura. In cerca, soprattutto, di se stessi. Una storia indimenticabile, per chi ama la lettura e per chi ama la libertà - che, in fondo, sono la stessa cosa.
Invitato da una città africana a una conferenza internazionale sui destini africani nella letteratura il narratore-scrittore, d'origine russa, rammenta fatti avvenuti 25 anni prima: una notte di grande paura nella foresta del Lunda Norte, nel nord dell'Angola, quando, rinchiuso in una capanna, è prigioniero dei soldati dell'UNITA in compagnia di un altro russo e di un corpo che pare inanimato. Scovando nella memoria il viso e la voce di Elias Almeida, decide di scrivere la vita della persona cui aveva tentato, scambiandolo per un cadavere, di rubare una penna: è Elias, un angolano impegnato in una causa da molto tempo perduta, un uomo coraggioso, amato dalle donne, ma che conserva un attaccamento inspiegabile per una sola di loro, Anne.

