
Iacopo Melio è un attivista per i diritti umani e civili: presta la voce a chi non ce l’ha, a chi si sente sconfitto in partenza, a chi ha troppa paura per tirarla fuori, usando parole come «libertà» e «uguaglianza», «giustizia» e «dignità».
Rompiscatole per natura, a sovvertire regole e previsioni ha iniziato presto, scegliendo la vita. Iacopo ha venticinque anni e la sindrome di Escobar, una malattia genetica talmente rara che, secondo la scarsa bibliografia scientifica esistente, comporterebbe sintomi troppo vari per essere classificati. Essendo nato con la camicia, di sintomi ne ha una gran varietà: tra questi, uno straordinario senso dell’umorismo.
Armato di penna e arguzia, e di una pagina Facebook che conta oltre 600.000 followers, rema quotidianamente contro i pregiudizi e i luoghi comuni: bersaglia chi parcheggia nei posti per disabili pensando che siano un inutile favoritismo; chi è convinto che i venticinquenni in carrozzina rimangano bambini per tutta la vita (figuriamoci avere una ragazza); chi dà per scontato che quattro ruote servano per muoversi, ma solo in casa. Per questo, nel 2015 ha fondato #vorreiprendereiltreno, una onlus che si occupa di sensibilizzazione all’abbattimento delle barriere architettoniche e culturali attraverso progetti sul territorio e un’attività mediatica costante.
Faccio salti altissimi è un gioiello di buona scrittura e di autoironia. È un libro in difesa della libertà di essere se stessi, nel rispetto dell’unicità di ciascuno e nel superamento di un fuorviante, oltre che riduttivo, concetto di «normalità», che ci vorrebbe tutti uguali, matrioske prodotte in serie. Ma è anche la storia di un ragazzo come tanti, «pezzi di vita e sogni incollati addosso», con la testa piena di progetti e speranze.
Questi racconti si ispirano a fatti realmente accaduti, vicende autobiografiche, riflessioni personali che toccano temi come l'amicizia, l'amore, l'aborto, l'emigrazione, l'ecologia. Racconti autobiografici in cui costante e`il riferimento alle bellezze della natura e alla speranza, compagna discreta nel cammino dell'uomo. Vera pr otagonista e`la vita, col suo strascico prezioso di sogni, passioni, rimpianti, emozioni. La vita intesa come dono inestimabile, non solo nelle sue fulgide vette della gioia, ma anche negli imperscrutabili abissi del dolore; fiore che sboccia nelle incantevoli valli del silenzio, o in ameni giardini
"Sono passati quarant'anni. Un'era geologica e un battito di ciglia. Pensavo, allora, che un giorno potesse valere un secolo; e così è stato." Il giorno a cui allude Achille, un sessantenne elegante e malinconico, è quello di un viaggio in treno da Bologna a Rimini, in un fine luglio infuocato di quarant'anni prima, e dell'incontro con una giovane donna, bellissima e misteriosa. La loro storia si brucerà in un giorno e una notte appena, ma segnerà l'uomo per la vita. Achille e la sua compagna di viaggio non si rivedranno mai più, strappati l'uno all'altra da circostanze insuperabili. Lui, però, non cesserà di rimpiangerla, continuerà a cercarla in ogni altra donna, né si perdonerà mai di averla perduta. Seduto al tavolino di un caffè di fronte alla piazza del Nettuno, Achille racconta la vicenda a un vecchio amico. È l'aprile "radioso" del 1915, vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia, e nel centro di Bologna, affollato di studenti universitari, si susseguono le manifestazioni interventiste, sempre più esasperate. In questo clima carico di passione, entusiasmo e incoscienza, il racconto di Achille, il suo cocente rimpianto della donna e della giovinezza, suonano come un'elegia, o forse un epitaffio, dell'età romantica: la stagione dei grandi sentimenti individuali e collettivi. Piero Meldini ha creato una figura femminile viva e indimenticabile; ha resuscitato le prime stagioni balneari di Rimini, evocandone i luoghi e la gente, le mode e i rituali, i colori e le voci.
Da qualunque cosa fuggisse, Andrea Severi, e qualunque cosa andasse a cercare in Grecia, adesso che, nell'ovattato, inquietante silenzio di una clinica svizzera passa le notti a scrivere, tentando con una sorta di accanimento febbrile di ricostruire il racconto di quel viaggio per poter ritrovare in esso un filo logico e rassicurante, gli eventi di quelle settimane gli appaiono, a mano a mano che procede nella narrazione, come un'oscura sequenza di segni il cui senso rimane del tutto indecifrabile. Attraverso il suo racconto il lettore scoprirà come quello che gli era sembrato all'inizio un piacevole incontro con una donna bella e le sue tre figlie, si sia trasformato in una sorta di incubo, in una trappola.
Palermo, a metà degli anni '80, è una città abitata dalla violenza, dove l'unico principio ordinante è la legge del sangue di mafia. Dall'estate dell'85, nelle strade cominciano a cadere giusti diventati scomodi, come il poliziotto Ninni Cassare e il giornalista Mauro Rostagno, vittime ignare come il giovanissimo Gianmatteo Sole, industriali come il presidente del Palermo calcio Roberto Parisi, che coltivava il suo sogno sportivo. In una città che ride per le battute in tv di Franco e Ciccio, all'ombra dei lavori per il nuovo stadio, altri innocenti si aggiungono alla lista nera: a dare voce a tutti loro è il "cuntaru" per eccellenza, il cantastorie Colapesce. In equilibrio tra favola e inchiesta, e tra un castello e uno stadio, "Vivi da morire" racconta di eroi conosciuti e persone dimenticate, storie di mafia e coraggio, di lacrime e della forza di un sorriso, da leggere come un'appassionante ballata civile, che rivela ai genitori e ai figli dell'Italia di oggi come la Sicilia fu l'incubatrice e il laboratorio di tutti i mali di una nazione, e delle sue più grandi speranze.
Una felice storia d'amore, e un figlio, portano Anna, la protagonista di questo romanzo, a confrontarsi con un mondo tanto distante dal suo come quello di Dubai: sposata a un uomo musulmano, per quanto aperto, Anna si trova alla ricerca di un nuovo equilibrio. Così, la ragazza occidentale, si trova catapultata in una nuova realtà, in un mondo da sogno, che però rischia di trasformarsi in una gabbia dorata.
È l'alba. Anche stanotte Eva non riesce a dormire. Apre la finestra: l'aria pungente e dolce dell'aprile altoatesino sa di neve e di resina. All'improvviso il telefono squilla, la voce debole di un uomo che la chiama con il soprannome della sua infanzia: è Vito. È molto malato, e vorrebbe vederla per l'ultima volta. Carabiniere calabrese in pensione, ha prestato a lungo servizio in Alto Adige negli anni sessanta, anni cupi, di tensione e di attentati. Anni che non impedirono l'amore tra quello smarrito giovane carabiniere e la bellissima Gerda Huber, cuoca in un grande albergo, sorella di un terrorista altoatesino e soprattutto ragazza madre in un mondo ostile. Quando Vito è entrato nella sua vita, Eva la figlia bambina, ha provato per la prima volta il sapore di cosa sia un papà: qualcuno che ti vuole così bene che, se necessario, perfino ti sgrida. Sul treno che porta Eva da Vito morente, lungo i 1397 chilometri che corrono dalle guglie dolomitiche del Rosengarten fino al mare scintillante della Calabria, compiremo anche un viaggio a ritroso nel tempo, dentro la storia tormentata dell'Alto Adige e della famiglia Huber. La fine della prima guerra mondiale, quando il Sudtirolo austriaco venne assegnato all'Italia, quando Hermann Huber, futuro padre di Gerda, perse i genitori e con loro la capacità di amare.
Roma, agosto 2010. In un vecchio palazzo senza ascensore, Ilaria sale con fatica i sei piani che la separano dal suo appartamento. Vorrebbe solo chiudersi in casa, dimenticare il traffico e l'afa, ma ad attenderla in cima trova una sorpresa: un ragazzo con la pelle nera e le gambe lunghe, che le mostra un passaporto. «Mi chiamo Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti» le dice, «e tu sei mia zia.» All'inizio Ilaria pensa che sia uno scherzo. Di Attila Profeti lei ne conosce solo uno: è il soprannome di suo padre Attilio, un uomo che di segreti ne ha avuti sempre tanti, e che ora è troppo vecchio per rivelarli. Shimeta dice di essere il nipote di Attilio e della donna con cui è stato durante l'occupazione italiana in Etiopia. E se fosse la verità? E cosi che Ilaria comincia a dubitare: quante cose, di suo padre, deve ancora scoprire? Le risposte che cerca sono nel passato di tutti noi: di un'Italia che rimuove i ricordi per non affrontarli, che sopravvive sempre senza turbarsi mai, un Paese alla deriva diventato, suo malgrado, il centro dell'Europa delle grandi migrazioni.
Un divertente catalogo di cattiverie, astuzie e sapienze femminili per conquistare e sottomettere i maschi, sbaragliare la concorrenza e difendersi dall'emarginazione. A Smirne, città cosmopolita sulle coste della Turchia, tra il XIX e il XX secolo, un gruppo di donne tesse trame diaboliche, intrighi e inganni, in un mondo duro di subalternità femminile, fame e conflitti tra etnie. La strega turca Attarte è la 'madre', colei che 'vede', decide e cambia i destini. Sotto la sua guida le greche Eftalía e la figlia Katina compiranno un'ascesa sociale strepitosa, sollevandosi dalla miseria per arrivare al controllo della città attraverso i successivi matrimoni di Katina con magnati del cotone e del tabacco, armatori e pascià.
Questa narrazione si muove in lungo e in largo per le strade di Bombay, e ritrae la città attraverso le mille storie dei suoi abitanti, dai più famosi (compresi gangster e attori) alla gente comune. Metha ricerca nella brutale Bombay di oggi quella che ha abbandonato vent'anni prima e la ritrova moltiplicata e smembrata. E a poco a poco mette a nudo i fili tesi tra gli attici scintillanti affacciati sull'oceano e il mare di baracche dove milioni di persone vivono una vita durissima.
A Mont-Noir, nella campagna delle Fiandre, si realizza la vicenda drammatica di due giovani innamorati, il ricco borghese Blaise Rameau e l’umile e tubercolotica operaia Agnès. Il romanzo è la confessione di Rameau che racconta il suo declino fisico e morale dovuto alle sofferenze che la scelta coraggiosa di sposare una donna di umili origini gli ha causato: privazioni, fatica, la fine dei suoi sogni, l’amore che si spegne, la malattia della moglie. Scritto da Van Der Meersch prima della sua conversione e basato su elementi autobiografici, Perché non sanno quello che fanno è una dolorosa riflessione sull’ipocrisia del mondo moderno, sul destino che gioca con gli esseri umani e sull’amore come opportunità di apertura all’altro: quando si è troppo incentrati su se stessi e la carità diventa vanità, l’amore si consuma.