
Tra tutti i libri di Alojz Rebula che hanno per protagonista un uomo di Chiesa, il romanzo Notturno sull'Isonzo occupa un posto speciale. Ispirandosi alla vita di un sacerdote realmente esistito, ovvero don Filip Tercelj (di cui Florijan Burnik è l'alter ego letterario), Rebula descrive il tragico destino che investì tanti preti sloveni, vittime dei totalitarismi del secolo scorso: il protagonista del romanzo è dapprima incalzato dai fascisti in casa propria, poi confinato ed esiliato in Italia; rinchiuso in un campo di concentramento dai nazisti; infine, nel dopoguerra, assassinato brutalmente dai comunisti senza tanti complimenti. Questo romanzo è un singolare monumento eretto alla memoria di tutti i sacerdoti sloveni della cosiddetta Primorska che, accettando la persecuzione e mettendo a repentaglio la loro vita, furono sempre pronti a difendere la dignità umana nonché il diritto fondamentale spettante a ciascun uomo di onorare Dio nella sua lingua madre e di conservare la propria identità nazionale.
La peonia del Carso racchiude gli elementi più importanti della prosa di Alojz Rebula: il mondo classico, la ricerca costante di uno sguardo interiore e la capacità di ritrarre il paesaggio carsico in tutta la sua unicità.
Nel tragico clima tra le due guerre, durante il quale il fascismo sta tentando di cancellare l’identità degli sloveni e dei croati della Venezia Giulia, Amos Borsi, un fiorentino di madre ebrea, viene mandato a Trieste per conto del regime. L’incontro con una realtà diversa da quella immaginata, il dialogo che intreccerà con il giovane poeta Stanko Križnik e con la sua famiglia, la ricerca dell’ideale femminile e la scoperta di una cultura sconosciuta, lo porteranno a interrogarsi nel profondo sulle ragioni e i sentimenti di ribellione dei giovani antifascisti sloveni. La peonia del Carso racchiude gli elementi più importanti della prosa di Alojz Rebula: il mondo classico, la ricerca costante di uno sguardo interiore e la capacità di ritrarre il paesaggio carsico in tutta la sua unicità. Un romanzo dal ritmo avvincente, in cui alla grande prova di narratore di Rebula sempre si accosta una tensione ideale per la libertà e la giustizia, in un continuo ritorno alla sua sorgente letteraria e culturale.
Per la prima volta le prose dell'autore, comparse su riviste del primo Novecento, sono raccolte e commentate. Anche in esse l'impegno letterario è fortissimo e non meno che nelle sue liriche il poeta si mostra isolato, poi addirittura avverso alla cultura insipida, ma profondamente partecipe delle crisi epocali e dei drammi individuali.
Nel 1894 la corona portoghese si trova in grandi difficoltà all'interno delle sue colonie africane. Carlos Montanha, giovane tenente dell'esercito portoghese, viene inviato in varie missioni molto delicate nel cuore dell'Africa, ed è proprio durante uno di questi viaggi in nave, tra Lisbona e Luanda, che conoscerà Leonor, l'incantevole figlia del governatore di Luanda. Carlos e Leonor verranno immediatamente travolti da una lacerante passione, ma dopo l'arrivo in Angola la loro storia d'amore verrà gravemente ostacolata dall'odio della famiglia di Leonor verso il giovane tenente. Quello che lega i due giovani, però, è davvero un amore perfetto, senza confini, di quelli antichi, fatti di puro ideale, un amore che nemmeno la morte potrà fermare. In un'ambientazione di straordinario esotismo, Tiago Rebelo porta il lettore in un mondo lontano, selvaggio e magico, dove la vera storia del Portogallo e delle sue colonie, il tragico declino della monarchia e il difficile inizio di un nuovo secolo, si mescolano a una delle avventure amorose più passionali e drammatiche che siano mai state scritte. Avendo come fonte di ispirazione le memorie del tenente Carlos Augusto de Noronha e Montanha, illustre antenato dello stesso autore, Tiago Rebelo riscrive, in un misto di finzione e realtà storica, l'ambiente del romanticismo di fine secolo nel quale fa rivivere i personaggi.
Jacopo Reali, diciottenne livornese, racconta una delicata e appassionata storia d'amore con una scrittura spontanea e semplice. Il romanzo fa parte di una nuova collana, "Bill-Dung-Sroman", dedicata a un periodo particolare della vita dell'uomo: l'adolescenza. Metafora delle grandi e faticose trasformazioni che il mondo sta vivendo, oggi il momento esistenziale dell'adolescenza si è dilatato fino a occupare gran parte della vita di tante persone. E poiché l'adolescenza è ormai tracimata ben oltre l'età anagrafica, dilatandosi fino a trent'anni e oltre, la collana non presenta solo romanzi scritti da giovani ragazzi, ma anche da autori più adulti che raccontano questo periodo della vita, la formazione e la crescita.
Di Francesca, morta inspiegabilmente suicida la sera di Venerdì Santo del 1961, Ermanno Rea tenta di ricostruire l'identità e la storia attraverso un libro che, come dice l'autore, è forse un libro di fantascienza, oppure semplicemente un giallo, un giallo esistenziale, perché indaga su un suicidio apparentemente senza ragione. O forse è piuttosto un libro di viaggio in forma di diario: un viaggio nel passato scandito dalla forma diaristica della scrittura, che mescola passato e presente, testimonianza e congettura, memoria e cronaca, in cui nulla è inventato. Nel tentativo di dare spiegazione a questa misteriosa morte, Rea torna nella sua città e apre uno squarcio sugli anni del dopoguerra a Napoli tra politica, ideali e sentimenti.
Ermanno Rea conduce un'indagine in forma di diario sulla scomparsa, avvenuta in una Napoli ferita dalla guerra fredda, di Francesca, giornalista dell' "Unità". Il suo è un dolente tentativo di ristabilire la verità sulla morte di una donna che aveva il fascino romantico e fragile di chi vuole essere libero e sogna la redenzione del mondo. Davanti a lui, e a noi lettori, sfilano giornalisti e politici, che dipingono il quadro di una Napoli spaccata fra gli americani padroni assoluti del porto e un Pci arroccato su posizioni staliniste.
Il 15 aprile 1987, Federico Caffè esce di casa all'alba. Di lui non si saprà piú nulla, nonostante le minuziose ricerche di parenti, allievi e amici. Suicidio o ritiro in convento? Ma chi era Federico Caffè? Economista "disubbidiente"; teorico scontroso e problematico di un welfare state senza cedimenti a compromessi e clientele; "seduttore intellettuale" tutto dedito all'insegnamento e alla formazione dei propri allievi, fu il creatore di un laboratorio teorico da cui uscirono uomini capaci di pensare l'economia non come aggressività di un mercato senza controlli, ma come sistema razionale in grado di garantire anche i piú deboli. Ma il 15 aprile 1987 Federico Caffè era soprattutto un uomo solo. Ermanno Rea offre un romanzo-ritratto che ricostruisce con immediatezza e verità il contesto di una vicenda personale avvolta nel mistero, ma anche un pezzo della storia italiana in cui l'economia ha provato a pensare a un paese diverso. Al testo, pubblicato per la prima volta nel 1992, si aggiunge una nota dell'autore del febbraio 2008, "L'economista che visse due volte".
Una donna: Adele. Una passione prorompente, insopprimibile, quasi gesto d'obbedienza a un comando biologico: i libri, la lettura, i fantasmi che popolano l'universo della grande invenzione letteraria universale, Emma Bovary, Madame Chauchat, il principe Myskin, il capitano Achab, Henry Esmond, don Giovanni. Siamo negli opachi, anzi rischiosi, anni settanta, in una cittadina dell'entroterra campano dove tutto sembra fermo e addormentato. E invece... Adele ha soltanto quattordici anni quando si innamora di Fausto, lettore accanito a sua volta nonché fervido militante del Partito comunista. Amori e divergenze bruciano la loro giovinezza. Finché Adele, inquieta e delusa, abbandona la sua "Macondo" per Napoli, dove si fa "maestra di strada" in uno dei quartieri più degradati della città. I libri insomma continuano a essere la sua ossessione. La sua ragione di vita. A scandire, come un tempo le speranze, adesso le delusioni. Tra cui la più grande di tutte: l'irrimediabile perdita dell'uomo amato. Ora Adele vive isolata nell'appartamento ereditato dalla nonna, trasformato in una vera e propria biblioteca pubblica, tra migliaia di libri rari, pregiati, antichi e moderni, una sorta di sacrario all'interno del quale si muove come una vestale e si intrattiene con gli interlocutori di sempre: caro don Chisciotte, caro Renzo, caro don Giovanni... Adele brucia sino alla fine, ma il suo amore per la letteratura non ha nulla di cerebrale, anzi in esso si consuma la sua irresistibile sensualità.
Un giallo-verità che l'autore racconta vent'anni dopo esserne venuto a conoscenza: questo è "Il caso Piegari", coda imprevista di un vecchio libro che a suo tempo sollevò scandalo e indignazione, "Mistero napoletano". Un omissis finalmente svelato? Proprio così, lungo soltanto sei brevi capitoli ma non meno drammatici e incalzanti di quelli relativi alla storia del suicidio di Francesca Spada. Raccontano la follia che colse il geniale fondatore del Gruppo Gramsci dopo la sua espulsione dal Partito comunista (1954) per volontà di Giorgio Amendola, accusato da Guido Piegari di essere l'ispiratore di un meridionalismo "perverso". Una storia che sembra appartenere soltanto al passato e che in effetti si svolge in gran parte in un'Italia che non esiste più. Ma il presente, lo sappiamo, ha un cuore antico. Soprattutto in una città come Napoli dove il Gruppo Gramsci continua a sopravvivere, sia pure in forma traslata, attraverso l'Istituto italiano per gli studi filosofici fondato da Gerardo Marotta che fu, all'alba degli anni cinquanta, il braccio destro di Guido Piegari e 'magna pars' del Gruppo stesso.
Felice Lasco torna a Napoli, nel rione Sanità, dopo quarantacinque anni trascorsi fra Medio Oriente e Africa. La madre sta morendo e lui la accudisce fino all'ultimo con tardiva ma amorosa pazienza. Poi, invece di tornare al Cairo dove lo aspetta l'amata compagna, Felice sembra obbedire al richiamo delle radici e di un destino, e resta. Resta perché in attesa dell'incontro fatale con Oreste, noto ormai come delinquente incallito. Felice racconta a un medico dell'ospedale San Gennaro dei Poveri e a don Luigi Rega, prete combattivo e maieuta, la sua storia. Ha diciassette anni, fiero della sua Gilera e della sua amicizia con Oreste Spasiano, detto Malommo, compagno di sortite per i vicoli e di piccoli scippi. Poi, imprevedibile, il delitto di un usuraio. Oreste gli sfonda la testa. Felice è agghiacciato, non tradisce l'amico ma si chiude in un silenzio pieno di angoscia finché uno zio non lo porta con sé a Beirut, dove comincia una nuova vita. Ora, dopo tanto tempo, Felice si espone alla sofferta bellezza della sua città, alla disperazione e anche al formicolare di speranze che agitano il Rione Sanità, illuminato dal testardo operare di don Rega. Come da copione, però, Oreste attende Felice perché in realtà alla Sanità il Male lavora anche contro la Storia. E non c'è riscatto veramente possibile.

