
Cracovia, nel 1939, non è esattamente il posto migliore dove crescere. Le strade sono un lugubre concerto di soldati in marcia e cani feroci, spari e grida. Non risuonano più di risate e chiacchiere tra amici, passeggiate al parco e caffè all'aperto. Anna ha solo sette anni, ma conserva un vago ricordo di quei lontani giorni di sole e di calore. Ora ha imparato che ciò che gli adulti chiamano "guerra" è come la tempesta: quando si annuncia all'orizzonte, meglio chiudersi in casa. Solo che lei, una casa, non ce l'ha più. Dal mattino in cui suo padre è uscito per andare all'Università e non ha fatto ritorno. Anna non sa che i tedeschi l'hanno portato via, insieme a tanti altri insegnanti. E mentre i vicini e gli amici di un tempo le voltano le spalle, lei resta completamente sola. È allora, mentre vaga per la città, che incontra l'Uomo delle rondini. Dapprima è un rumore di passi sull'acciottolato, poi una sagoma sottile che incombe, altissima, con un'aura di mistero e autorevolezza. Quando le rivolge la parola, Anna scopre che, come suo padre, ha un talento per le lingue: conosce il polacco, il russo, il tedesco, lo yiddish, persino il linguaggio degli uccelli. Nel momento in cui chiama a sé una bellissima rondine - che scende a posarsi sulla sua mano - per calmare il pianto di Anna, la bambina resta incantata. E decide di seguirlo, ovunque sia diretto. È così che inizia il loro lungo viaggio per non farsi trovare. Un'avventura che per Anna è una scoperta della vita, tra le insidie dei boschi e della natura.
Quattro racconti che ci portano nel cuore di un dolore infinito, storie brucianti e dense: amori che sbocciano, la promessa di ritrovarsi, il dramma dello sradicamento, la fuga, l’esilio.
L’autore, con l’apparente leggerezza di un narrare che sa parlare al cuore, ci conduce nel complesso rapporto tra religione, violenza e sacro fino ai temi di stringente attualità del modo di porsi di un Islam della diaspora, in Europa e in Italia, e del rapporto fra questo e le nuove frontiere della democrazia.
Poesia e prosa della Grecia antica, il rapporto fra letteratura greca e letteratura romana, la letteratura latina, la traduzione dei classici greci e latini (nel passato ed oggi), memorie elettroniche e studi classici sono i temi principali affrontati dall'autore.
Il volume raduna tutti i racconti di Savinio seguendo l'ordine cronologico delle raccolte da lui organizzate. Nelle Note ai testi, i curatori ricostruiscono la genesi di ciascuna delle raccolte e l'accidentato iter di ogni singolo racconto, gettando luce sul metodo di lavoro dell'autore.
Alberto Savinio (Atene 1891 - Roma 1952), fratello del celebre pittore Giorgio de Chirico, è stato uno dei maggiori "irregolari" della letteratura italiana del Novecento. Scrittore ricco d'illuminazioni e d'invenzioni, surrealista fuori da ogni schema precostituito, Savinio scrisse in poco meno di un decennio una serie di articoli per quotidiani e riviste, di vario argomento, dando così sfogo al suo dilettantismo (nell'accezione originaria, positiva, del termine) e al suo desiderio di "universalismo".
Per Savinio, l'infanzia non è un tempo ma un tempio come scrive lui stesso in un lapsus; cioè un luogo, una dimensione dello spirito. Un luogo, anzitutto fisico e geografico: una Grecia d'inizio secolo dalla luminosità abbagliante in cui scintillano i ricordi. E un Luogo, inoltre, metafisico e doloroso, in cui la mente del bambino da un lato vede e percepisce cose completamente interdette a quella dell'adulto e dall'altro sente irrompere domande estreme che potranno in seguito essere sedate ma non risolte. Scritto nei primi anni Venti ma apparso a stampa nel 1937, viene qui riproposto insieme alla sua seconda parte inedita, scoperta tra le carte dell'autore.
"Fra questi racconti alcuni portano in scena poltrone, divani, armadi e altri mobili, in ispecie di personaggi sensibili, parlanti e operanti". Così scrive Savinio, ed è la più efficace presentazione di questo libro, frutto maturo della sua migliore vena narrativa, lussureggiare di immagini in acrobatico equilibrio tra realtà e allucinazione. Così, nella "Pianessa", la signorina Fufù, "vecchia zitella dal nomignolo a vapore e stantuffi", dopo essersi fatta sedurre dall'"occasione stupenda" di "un pianoforte a coda e lungo come una balena, basso sulle zampe tarchiate e tozze", ne avverte la virile presenza con profondo turbamento, salvo poi trovarsi di fronte a una clamorosa agnizione. In "Casa della stupidità" una statua di marmo che sostiene il balcone di un palazzo decide di "andarsene", ben contenta di provocare in tal modo il crollo dell'edificio, giacché tra quelle mura alligna la "stupidità a tutti i piani, in tutte le camere, nei corridoi, nei ripostigli, dalla cantina al solaio". In "Bago" Ismene trova comprensione e protezione nel vecchio armadio che l'ha vista nascere e con il quale ogni giorno si confida, "seduta accanto al battente socchiuso, come per ascoltare i battiti di quel cuore tenebroso ma profondamente buono"...
«Elusivo, inafferrabile, frivolo e coraggioso come Ulisse, Savinio è un profugo, un favoleggiatore, un esule, un estraneo: questa affollata Nuova Enciclopedia è un libro desolatamente solitario, felicemente solitario. Ilarità e angoscia inseguono il profugo, lo incalzano, vogliono che egli racconti. All'infinito, di voce in voce, da Giostra a Libertà, da San Sebastiano a Travestimento, l'enciclopedico divaga. Il suo universo è discontinuo, senza approdi, soprattutto senza destinazione. Non si troverà mai il cosmo, non si indagherà mai il significato. Non esiste profondità, ma solo una infinita serie di superfici. Il mondo è una liscia pelle che nasconde altre pelli lisce: all'infinito ... Prosatore di una mobilità, una grazia, una tenerezza straordinarie, questo classico surreale, tra Apollinaire, Anassagora e Agnolo Firenzuola, sta ritornando nella nostra letteratura, in questo lento squallore del tardo Novecento, con la sua dimensione provocatoria, e insieme la sua gentilezza, l'oltraggiosa delicatezza del suo gesto di scrittore.» (Giorgio Manganelli)

