
«La mia storia d'amore con la rivoluzione è profondamente infelice» scrive Viktor Sklovskij a Gor'kij il 15 aprile 1922 dalla Finlandia, dove era fuggito per evitare l'arresto (si preparava il processo ai Socialisti Rivoluzionari di destra). «Negli allevamenti di cavalli ci sono stalloni che chiamano "ruffiani"... Il ruffiano monta sulla giumenta, lei prima si rifiuta e scalcia, poi inizia a concedersi. A quel punto il ruffiano viene trascinato via e fanno entrare il vero riproduttore... Noi socialisti abbiamo "scaldato" la Russia per i bolscevichi...». È questo l'unico giudizio dei fatti avventurosi e drammatici in cui Sklovskij si trovò coinvolto dopo la Rivoluzione di febbraio. Esperto di mezzi corazzati (nel '14 era entrato nell'esercito come volontario), fu su molti fronti di guerra, in Galizia, Persia, Ucraina. Più di una volta rischiò la vita, venne ferito, vide orrori e assurdità, partecipò a un complotto antisovietico subito fallito... Tutto è raccontato con un linguaggio erratico e digressivo, con impassibile distacco (apátheia, o forse quel meccanismo di «straniamento» che Sklovskij già da anni aveva formulato), in questo volume.
Rudy, un artista punk specializzato in graffiti, sparisce in un vagone della metropolitana di New York. Qual è l'orrore che lo ha risucchiato? Quando ricompare non è più lo stesso: è un vampiro assetato di sangue che si aggira nella ragnatela di tunnel sotto la città. Ma non si tratta di un caso isolato: il vampirismo si diffonde come un'epidemia, diventa la metafora di una possibile resurrezione in forme diverse, in un'America in cui vita e morte si scambiano continuamente i ruoli. Skipp e Spector sono, con David Schow, i teorici e i fondatori del movimento splatter-punk.
L'ammirazione per il poeta, il libro sul "Postino", poi la frequentazione e l'amicizia con l'uomo: raccontando del suo rapporto con Pablo Neruda, Antonio Skármeta ci offre un ritratto e un'antologia personale di uno dei più grandi protagonisti della scena letteraria del secolo scorso. Lasciandosi guidare dai versi del "maestro", Skármeta propone un itinerario poetico e critico in cui sono le poesie stesse a suggerirgli ricordi e riflessioni, spunti che illuminano la vita e l'opera di Neruda, aneddoti di un'amicizia intensa e di una grande passione civile, culminata con la morte di Salvador Allende e la fine di un'illusione politica.
Un giovane impulsivo e romantico vuole vendicarsi delle ingiustizie della società: è stato condannato a cinque anni per il presunto furto di un cavallo e in prigione ha subito brutali violenze e umiliazioni. Ora, che è uscito dal carcere per un'amnistia, prepara un colpo clamoroso insieme a un famoso maestro in rapine. Ma i sogni artistici di una ballerina, la forza dei sentimenti e dell'amicizia piegheranno il loro destino verso imprese più nobili. Il tutto è raccontato con humour e tenerezza dallo scrittore cileno, autore del "Postino di Neruda", che con questo romanzo ha ricevuto il premio Planeta 2003.
Mario Jiménez, un giovane pescatore, decide di abbandonare il proprio lavoro per diventare il postino della Isla Negra, nella quale l'unica persona che riceve e invia corrispondenza è il grande poeta Pablo Neruda. Mario ammira Neruda e vorrebbe che il poeta gli dedicasse un libro e che la loro relazione fosse qualcosa di più di un educato scambio di battute con mancia finale. Quando il suo desiderio diventa realtà, tra i due nasce un'amicizia che conduce Neruda a strane, e apparentemente poco poetiche, avventure. Nel frattempo, il clima politico del Cile di quegli anni fa precipitare gli eventi...
Con la consueta verve di scrittura che lo contraddistingue, e come sempre accompagnato da un generoso pizzico di erotismo, Antonio Skármeta mette in scena questa volta una serie di personaggi sempre al confine tra reale e surreale, che teoricamente vorrebbero rispondere tutti a un'unica domanda: cosa faremmo se ci trovassimo nei panni di un altro? E infatti. Cosa può succedere a un tizio che avendo deciso di partire da Buenos Aires per andare a trovare un vecchio amico residente in Francia, si trova invece a dover condividere non solo il suo appartamento parigino ma anche la sua giovane e disinibita fidanzata? E in quali guai ci si può cacciare accettando di dare un passaggio a un'elegante, fascinosa signora che pare essere appena fuggita dalla casa delle vacanze? E ancora, se veniste arrestati per sbaglio assieme a un famoso guerrigliero di un paese del Centroamerica, e se poi - una volta rilasciato dopo aver constatato la vostra estraneità ai fatti - doveste portare un misterioso messaggio alla sua bellissima e rovente amante, come vi comportereste?
A Gemma, selvaggia isola delle coste di Malizia, nessuno ha dimenticato il destino di Marta Matarasso: la fanciulla era morta durante la prima notte di nozze tra le braccia del marito Stamos Marinakis, il fondatore del grande magazzino L'Europeo. Cosí, quando s'annuncia il matrimonio tra il nuovo proprietario dell'emporio, l'idealista e sognatore Geronimo Franck, con la bellissima Alia Emar, i presagi non sono favorevoli. In effetti le cose si complicano subito. In primo luogo, il popolo di Gemma ha sempre sognato di rendersi indipendente dall'impero austro-ungarico, e la situazione politica e diplomatica s'infiamma. Inoltre di Alia s'innamora perdutamente Stefano Coppeta, discendente del mitico leader indipendentista dell'isola ucciso dagli austriaci.
Capita che una mattina nella tua classe entrano due tizi e portano via il professore di filosofia. E se sei nel Cile di Pinochet questo vuol dire solo una cosa: che il professore rischia di diventare un desaparecido. È il pericolo che si corre quando si riempie la testa dei ragazzi con le minacciose idee di rivoluzionari come Socrate o Platone, quando si fa leggere l'Etica di Aristotele, quando si insegna che "il bene è il bene. La giustizia è la giustizia". Ma il professor Santos è anche il padre di Nico, che, seduto in un banco di quella classe, assiste impotente all'arresto (al rapimento) del genitore. Il padre della sua fidanzata è incastrato in una situazione solo leggermente migliore. Adrián Bettini è il più bravo pubblicitario del paese... o, meglio, lo era prima che il regime lo costringesse a una specie di sofferto esilio. Quando (siamo nel 1988) Pinochet decide di indire un referendum su se stesso per dare una patina di democrazia e legittimità popolare alla sua dittatura, Bettini riceve dal famigerato ministro degli Interni una proposta che lo lascia a dir poco spiazzato: dirigere la campagna per il Sì. Pochi avrebbero il coraggio di rifiutare: ancora meno quelli che accetterebbero di guidare la campagna del No, quella del fronte delle opposizioni. Chi potrebbe essere tanto pazzo da rischiare la vita per lanciarsi in una missione cosi disperata come convincere un paese rassegnato, piegato da decenni di un regime cieco e violento, a dire No!, a tornare a sorridere? Già, chi?
«Una storia minima raccontata con singolare grandezza»
El País
«Mio padre è francese e se n'è andato a Parigi un anno fa quando io, terminati gli studi di magistero alla Escuela Normal, sono tornato a Contulmo.
Io scendevo dal treno e lui ci saliva.
Mi ha baciato disperatamente sulle guance e mia madre è venuta fin sulla banchina vestita a lutto. Il mio ritorno a casa non ha mai rimpiazzato l'assenza di mio padre. Cantava J'attendrai, Les feuilles mortes e C'est si bon.
E poi sapeva fare un buon pane croccante, la baguette, diverso dagli sfilatini e dalle pagnotte della zona. Inoltre, portava arance e limoni al mercato.
Tutti i giorni passava a prendere la farina al mulino e lí è cominciata l'amicizia con il padrone. Quando papà se n'è andato io non ho saputo riprodurre la sua arte della baguette, ma sono diventato amico del mugnaio.
Ne sa piú lui di me, di papà.
Ne sa piú lui di papà della mia stessa madre».
Martin Beck, il commissario della polizia di Stoccolma, è chiamato a indagare sulla scomparsa di un uomo. Alf Matsson è sparito senza lasciare tracce. È, o era, un giornalista di successo: brutto personaggio, alcolista e attaccabrighe, nessuno rimpiangerebbe la sua presenza o si meraviglierebbe che stesse smaltendo la sbornia in qualche tana. Ma il direttore del giornale dove lavora minaccia un caso internazionale perché l'ultima volta è stato localizzato a Budapest, oltrecortina, ed è lì che Matsson sembra essere svanito. Perciò Beck è convocato in via riservata proprio mentre è in procinto di partire per le vacanze estive, per raggiungere moglie e figli. Il commissario, che rifiuta per metodo ogni ipotesi preconcetta e ogni partito preso, segue due piste diverse e successive, serpeggianti dentro il sottomondo frequentato dal giornalista (un gruppo di colleghi compagni di bevute e fracassoni, e un terzetto equivoco di trafficanti), prima a Budapest e poi di ritorno in Svezia. Si lascia prendere dalla solita routine del suo metodico lavoro di squadra, con un poliziotto ungherese, Vilmos Szluka, con cui scatta una silenziosa simpatia, e con il collega e amico fraterno Kollberg, intelligente ipercritico e lamentoso. Alla fine è la cura dei dettagli, il passare e ripassare i particolari, a farlo inciampare nell'indizio che smentisce tutti gli altri e guida a una soluzione, sul caso dell'uomo in fumo, come sempre, tutt'altro che romantica o clamorosa.
Una delle caratteristiche del ciclo di Martin Beck, con cui gli scandinavi Maj Sjöwall e Per Wahlöö hanno iniziato il poliziesco procedurale, è che gli attori di questa commedia umana in chiave criminale invecchiano in tempo reale. Per esempio, in questo romanzo, la figlia del commissario, che abbiamo conosciuto bambina alcuni romanzi prima, adesso, è una giovane capace di dare influenti consigli al padre. È questo uno degli effetti con cui gli autori intendevano conferire più oggettività alla loro creazione, per uno scopo dichiarato: «Molte persone forse credono che i nostri libri siano dei cosiddetti gialli. Quello a cui in realtà stiamo lavorando è una seria indagine sociologica sulle relazioni dei poliziotti verso i loro compagni di società. E lo facciamo insieme perché la materia è tanto vasta e perché non possiamo produrre uno studio corretto se non lo affrontiamo da diversi punti di vista. In questo caso quello dell’uomo e della donna». Eppure a leggere oggi questi «romanzi su un crimine» (così il sottotitolo ricorrente), un senso di pessimismo domina sulla sociologia, un profondo scetticismo sulle ragioni del cosiddetto «ordine pubblico». Sjöwall e Wahlöö danno corpo narrativo a una generale riflessione sulla funzione della violenza sociale, sui cambiamenti che essa induce in chi vi è esposto, come poliziotto, come criminale o come vittima; una riflessione capace di insistere, oltre che sulle circostanze sociali, sui sottili meccanismi psicologici. Ed è questo che ha fatto del ciclo di Martin Beck un riferimento classico dell’attuale romanzo criminale, riconosciuto da tutti. L’uomo sul tetto è l’inchiesta sull’omicidio, avvenuto tramite un colpo di baionetta mentre era ricoverato in ospedale, di un alto papavero della polizia, uomo crudele e violento, le cui malefatte si vanno scoprendo più efferate ed intricate del previsto; si conclude con una vendetta di sangue, piena di caos e simbolismo, contro il corpo di polizia: una vetta di realismo, di suspense e di pietà insieme, da parte di chi sapeva bene come le città capitalistiche di cui parlavano siano dei perfetti teatri naturali per il crimine.
Maj Sjöwall (1935) e Per Wahlöö (1926-1975), compagni nella vita, hanno scritto la serie dei dieci romanzi di Martin Beck: tradotta in una trentina di lingue e soggetto di film e telefilm. Una collaborazione con un fine anche politico: la denuncia della società neocapitalistica svedese. Questa casa editrice ha già pubblicato Roseanna, L’uomo che andò in fumo e L’uomo al balcone (ora raccolti anche nel volume I primi casi di Martin Beck della collana «Galleria»), Un assassino di troppo, Il poliziotto che ride, L’autopompa fantasma e Omicidio al Savoy.