
"Ne hai sentite di storie sulla Città. Anche questa guida ha contribuito a raccontartene almeno un paio che se non sono false, poco ci manca. Ma ti assicuro che qui vengono raccontate per vere. E dopo un poco questo genere di storie a forza di raccontarle diventano vere sul serio."
«Enorme – davvero: enorme, e unica, e inspiegabile – è l’ossessione meteorologica dei siciliani. Se c’è brutto tempo si sentono in colpa, si giustificano, come se avessero invitato qualcuno a casa propria facendogli trovare la tovaglia macchiata di sugo». Una stravaganza, ma non l’unica. Se andate a Scicli troverete, per esempio, un’insolita raffigurazione della Grande Madre: in tutto il Mediterraneo è una figura archetipica soavemente benigna, mentre qui si trasforma nella Madonna delle Milizie, armata e a cavallo, parecchio minacciosa. Ma è tutta la Sicilia a essere, oltre che se stessa, anche il contrario di sé, capace di amori smisurati, che si esprimono nella fisicità degli incontri: è il tatto a prevalere fra i cinque sensi. I siciliani toccano. Ti toccano un braccio mentre cercano di capire di cosa hai bisogno e anche di cosa non sai ancora di avere bisogno. La sensazione di e ssere toccati può rivelarsi sgradevole, per il viaggiatore, ma anche lui a poco a poco si abitua, e alla fine qualcuno persino si dispiace quando poi nessuno lo tocca più. Apparenti contraddizioni e immobili mutamenti rendono lo spirito di una terra piena di angoli insospettabili. Marsala, Palermo, Ustica, Porto Palo, Favignana, Agrigento, Siracusa, Tindari, Catania, Gela, Taormina, Messina sono solo alcune delle tappe di Roberto Alajmo, un viaggiatore capace di raccontare riallacciando i fili di una trama antichissima e tormentata: in fondo l’amore per la Sicilia è quello che si prova per una canaglia. Tu sai che è una canaglia, ma non puoi farci niente.
Di certo a qualcosa Luca Crescente deve aver pensato, mentre percorreva quel sentiero. Eppure è morto senza pronunciare una frase memorabile. Dai grandi uomini ti aspetti sempre qualcosa del genere. Qualcosa che risulti indimenticabile anche a costo di sembrare retorico. Ma si vede che non conoscevi la discrezione di cui era capace Luca Crescente.
«Una cosa che a Luca Crescente viene unanimemente riconosciuta è la capacità di indignarsi. La capacità di estrarre dal fodero la spada dell'indignazione e trovarla ogni volta lucida e tagliente. Una dote rara, che appartiene solo a chi non conosce stanchezza psicologica o scoraggiamento. Oppure, se li conosce, sa come superarli: la spada dell'indignazione, se usata spesso, tende a perdere il filo, si arrugginisce, non taglia più. La sua, invece, a quanto pare risultava sempre intatta. Una dote che gli derivava direttamente dallo sguardo ingenuo che manteneva sulle cose. Lo sguardo di un bambino, capace ogni volta di sorprendersi e arrabbiarsi per le storture che vedeva nel mondo. È una qualità dello sguardo che normalmente va smarrita con l'adolescenza, man mano che la consapevolezza del mondo si fa sentire e diventa assuefazione»: questa è la storia di Luca Crescente, uno sconosciuto ai più. Un giudice entrato in magistratura a Palermo giusto in tempo per raccogliere l'ideale testimone di Falcone e Borsellino. È la storia della sua onestà nel lavoro e nella vita, è la storia vera dell'amore fra due ragazzi che crescono assieme, si sposano, fanno due figli e si accingono a invecchiare assieme. Ma il destino ha programmi diversi.
Annacare/annacarsi è in dialetto siciliano un verbo insidioso, difficilmente traducibile in italiano. Quel che più si avvicina è cullare/cullarsi, ma non è proprio la stessa cosa. L'arte di annacarsi prevede il muoversi il massimo per spostarsi il minimo. Una immagine che descrive bene lo spirito dell'isola e più ancora la disposizione d'animo dei siciliani tessuta di diffidenza. Ogni viaggio in Sicilia, anche quello intrapreso in questo libro, diventa una specie di danza immobile attorno alla geografia e alla filosofia, alla storia, al folklore e alla gastronomia, scoprendo che fra le diverse discipline esistono continui rimandi a una trama inestricabile. "Pur restando immobile, l'Isola si muove. Non è uno di quei posti dove si va a cercare la conferma delle proprie conoscenze. È invece un teatro dove le cose succedono da un momento all'altro. È un susseguirsi di scatti prolungati, pause per rifiatare e ancora fughe in avanti". Come l'Isola, Alajmo procede a zig-zag in un itinerario non lineare, senza vincoli di percorso né di tempo, da un capo all'altro, sulla base di pure suggestioni, guidato dalla bellezza, accompagnato da un lucido pessimismo. Come un atto d'amore che non si nasconde nessuna vergogna dell'oggetto amato: capita di innamorarsi di una canaglia. E anche se lo sai, che puoi farci?
La funesta profezia del 21 dicembre 2012 è solo un esempio. L'ultimo, se i Maya avevano ragione. Il fatto è che periodicamente l'umanità si prepara a sloggiare dal pianeta Terra. Millenarismi di ogni tipo per secoli hanno alimentato la credulità popolare, e ogni scampato pericolo è sempre servito solo come carburante per la profezia successiva. In particolare, però, è la generazione di noi contemporanei quella che sta coltivando con maggiore convinzione l'idea di essere l'ultima della storia del mondo. Dopo di noi, il diluvio: e pazienza per i posteri, fossero anche i nostri figli. Potrà essere un collasso finanziario, oppure un drammatico stravolgimento climatico, forse un'ondata migratoria devastante, uno tsunami di spazzatura, una guerra mondiale, la fine delle risorse petrolifere. Oppure tutte queste cose assieme, senza escludere i classici del cinema: impatto con un meteorite o invasione di extraterrestri. Se pure i Maya avessero torto, un'apocalisse sembra davvero alle porte se non altro la fine dei mondo così come siamo abituati a viverlo da qualche secolo a questa parte. Ecco lo specifico contemporaneo: ci sentiamo talmente sicuri di un'imminente apocalisse (una qualsiasi apocalisse) che ci siamo convinti di non poter fare nulla per fermarla. Se ne ricava la più classica delle profezie che si auto verificano: siccome la fine del mondo ci sarà, ci sarà la fine del mondo.
È fragile e crudele, questa città. È capace di trasformare un bacio in un morso, e sempre adoperando lo stesso paio di labbra.
«Ogni libro dovrebbe avere almeno l’aspirazione di essere eterno. Almeno, l’aspirazione: ossia sapendo che non potrà mai arrivarci, a essere eterno. Nemmeno avvicinarsi, a essere eterno. Tuttavia provarci è doveroso. E questo libro quella strada l’aveva imboccata. Ma il tempo passa, e la Città cambia e del resto sarebbe strano se così non fosse, visto che nell’arco dell’ultimo ventennio è cambiato il mondo. E siccome la parola cambiamento non è sinonimo puro e semplice di miglioramento, vale la pena di specificare: sì, in moltissime cose la Città è cambiata in meglio. Senza cedere al trionfalismo, opposto correlato del disfattismo, oggi siamo messi almeno un po’ meglio di come eravamo messi prima. Certo, c’è sempre da fare i conti con l’eterna propensione all’annacamento. Ogni due passi avanti corrisponde sempre un passo indietro, uno a destra e uno a sinistra, per cui il movimento solo in parte coincide col reale spostamento. Ma annacarsi è nella nostra natura. La storia stessa, e la storia siciliana in particolare, non è mai stata una superstrada a senso unico, ma semmai una trazzera tortuosa, dove spesso s’incontrano macchine che provengono dalla direzione opposta, allora bisogna fare marcia indietro, e si rischia in continuazione di finire in una scarpata. In certi momenti provi addirittura la sensazione di aver sbagliato strada, ma poi no: giusto, la direzione è quella. Stiamo parlando di una città dal carattere tutt’altro che stabile. Il suo fascino consiste anzi proprio nella sua natura irrequieta e irrisolta. Inutile chiederle di somigliare ad altre la cui bellezza è consolidata, composta e appagante. Nell’orditura delle sue trame ci sarà sempre un errore, nell’intonazione più calda si potrà riscontrare sempre almeno una sporcatura. Di questo non dobbiamo compiacerci ma nemmeno deprimerci oltre misura. Dobbiamo acquisire consapevolezza di essere come certi formaggi che si sottraggono alle norme igieniche dettate dall’Unione Europea, e il cui sapore deriva proprio dall’ingrediente innominabile, da utilizzare solo in minima quantità. Un ingrediente chiamato gràscia, che significa sporcizia nella variante untume. Inimitabile e indispensabile, se non si vuole snaturare la natura stessa del formaggio, trasformando in galbanino il sapore di ogni autentica tumazza.»
"Il piccolo immenso gioiello lasciato da Alain-Fournier ha cristallizzato per generazioni di lettori la poesia misteriosa della giovinezza. È un romanzo che ben presto sgattaiola via dalle reti delle letture critiche, si sottrae alle analisi e diventa qualcosa di più, qualcosa d'altro, come lo sono diventati Siddharta o Il giovane Holden o Sulla strada. È uno di quei casi in cui l'esperienza stessa della lettura prolunga, amplifica, sdoppia la suggestione dell'opera: ricordiamo i pomeriggi in cui sottolineavamo paragrafi di Hesse fumando sul letto, ricordiamo il corridoio del liceo dove seduti per terra leggevamo Holden ed eravamo Holden, ricordiamo il sacco a pelo dentro al quale, sul ponte della nave, leggevamo una copia di Sulla strada incartapecorita dalla salsedine, ricordiamo l'estate gialla e immobile di calore in cui leggevamo Meaulnes e sentivamo palpitare in noi la sua irrequietezza. Questa capacità di riecheggiare forte, di trovare la muta sintonia con una sensibilità acuminata, è la vera profonda grandezza del romanzo, che non sta nell'intreccio (...), ma in una sorta di finissima eppure possente costruzione mitica di cui vogliamo cogliere tre motivi chiave: l'infanzia, l'avventura, il meraviglioso." (Dalla Postfazione di Yasmina Melaouah)
Difficile per Zahra, giovane libanese, volersi bene quando i primi a non darle affetto sono stati i genitori: il padre, autoritario e brutale, sempre pronto a biasimarla, e la madre, che per anni si è servita di lei, bambina, per coprire i suoi incontri clandestini con l’amante. Difficile per lei rispettare il proprio corpo o provare piacere quando quel corpo è stato usato senza amore e ora fa di lei una donna “immorale”.
Stretta in una morsa tra la famiglia soffocante e un matrimonio sbagliato, che non le ha aperto la tanto sperata via di fuga, Zahra si chiude sempre più in una solitudine muta e autolesionista, mentre il suo disagio viene bollato come pazzia.
Finché, nella Beirut martoriata dalla guerra civile, ritrova inaspettatamente se stessa e la libertà. E questo grazie all’incontro con un cecchino, uno degli uomini senza volto che dall’alto dei tetti decidono in maniera arbitraria dei destini altrui. È nel rapporto con quel “dio della morte” che Zahra riscopre in maniera paradossale la vita. È in quella relazione clandestina, iniziata come violenza e continuata come ossessione irrinunciabile, che conosce a suo modo l’amore e la speranza nel futuro. Ma potrà essere solo una pace fragile, segnata com’è dal senso di colpa e dall’incubo di quei tempi folli.
Le cicatrici sul corpo di Zahra sono quelle di un paese devastato; il grido nella sua mente, quello di ogni donna oppressa; il suo ritratto, un romanzo dirompente sugli effetti irreversibili della violenza.
Libertà è un passaporto stretto in pugno che schiude le porte di una nuova vita; è una sciarpa dai colori sgargianti che puoi finalmente indossare senza temere censure; è un ombrello che ti aspetta a braccia aperte sotto la pioggia. Ognuno dei passeggeri sul volo diretto da Dubai a Londra ha una sua verità in proposito, racchiusa in un sogno o in un segreto. E come ogni aereo, anche quello è uno scrigno di storie: distinte e parallele finché una turbolenza, quasi fosse la mano del destino, non arriva a intrecciarle. A imbattersi l'uno nell'altra in quei momenti di concitazione sono: la bella e fragile Lamis, recentemente divorziata dal ricco marito iracheno; Nicholas, giovane inglese esperto di arte islamica; l'esuberante Amira, marocchina dalla dubbia reputazione; Samir, travestito libanese che viaggia con una scimmietta nascosta in una cesta. Se ad avvicinarli è il caso, a unirli molto più profondamente sarà la ricerca di un senso di appartenenza nella metropoli inglese, che spalanca opportunità e al tempo stesso innalza barriere di solitudine. In una Londra dove la possibilità di rifarsi una vita è reale tanto quanto il rischio di essere sempre trattati come estranei, saranno l'amicizia e l'amore a sostenere l'insolito quartetto. E a farli sentire finalmente a casa. Un romanzo che parla di integrazione e identità, esilio e riscatto. Un ritratto vivace e originale della nostra società multietnica, attraverso le storie di chi è costretto ad attraversare oceani...
Susan, americana, cerca il riscatto da una vita anonima; Suha, libanese, scappa da Beirut in fiamme; Nur, beduina ricca e corrotta; Tamar, turca, volendo lavorare affronta l'intera comunità.
Classico della letteratura umoristica araba dove il tema della stupidità è trattato attraverso una galleria di personaggi che ne incarnano le numerose manifestazioni.
In una Chicago mitica e solforosa troviamo una piccola Little Egypt in esilio, forgiata sul dipartimento dell'Università di Chicago che l'autore ha conosciuto bene negli anni della sua formazione americana. In questo mondo claustrofobico e formicolante di vite 'Ala al-Aswani intreccia storie di esistenze che si cercano e si perdono. Sono esistenze strappate alla loro terra d'origine che vivono in un universo strano e straniero: la tentazione di conformarsi all'American way of life non è abbastanza. L'Egitto è lì, nel cuore di un'America traumatizzata dagli attentati terroristici dell'11 settembre. Quando viene annunciata la visita ufficiale del presidente egiziano a Chicago, si mette in moto il sistema di sicurezza dell'ambasciata, orchestrato dal temibile Safwat Shaker, che controlla e sorveglia tutti gli egiziani residenti in America. Complotto, manipolazione, proteste di libertà e sottomissione al potere, coraggio e vigliaccheria: al-Aswani trova così l'ampiezza e l'ambizione del romanzo politico e riesce a esprimere la dolcezza dei sogni e la violenza delle contraddizioni del mondo quale lo conosciamo.