
Nel romanzo della sua gioventù, carico di atmosfere universitarie sullo sfondo di una Bucarest segnata dal ritmo delle stagioni, Mircea Eliade si racconta come un ragazzo guidato da un profondo e intransigente furore di conoscenza, spietato osservatore della comunità studentesca in cui è immerso e con cui pure interagisce attivamente. Non sappiamo quanto di questo carattere esasperato corrisponda alla personalità storica del giovane studioso, o ne sia la parossistica rappresentazione; Eliade scrive un romanzo, creazione letteraria volta vampirescamente a succhiare il sangue del reale. Ed egli è già scrittore a tutto tondo in queste pagine, che seguono la saga scolastica narrata ne "Il romanzo dell'adolescente miope" (Jaca Book, 1992), dotato di una qualità affabulatoria che doveva essergli propria anche nella comunicazione orale e già capace di mettere in scena gli sconfinati campi del sapere che andava sondando, trasformandoli in materia narrativa. Ciò sarebbe avvenuto in maniera insospettabile nella sua successiva produzione letteraria, segnata dal fantastico e dal misterioso senza che il registro realistico fosse mai del tutto abbandonato. Scritto da un Eliade ancora giovane nella sua Bucarest sul finire degli anni Venti, questo romanzo restituisce alla perfezione la tensione estrema che precede lo slancio verso la vita, l'irrequietudine di scelte ancora da fare, l'attesa prima del viaggio con cui infatti si chiude il libro.
"Credo non abbia la minima possibilità di farcela. Non ha un solo centimetro di pelle intatto." E invece Dominic Matei, colpito da un fulmine e ridotto a un tizzone ardente la notte di Pasqua del 1938, non solo riesce a sopravvivere, diventa un fenomeno. Il professore rumeno, arrivato a Bucarest per suicidarsi, si ritrova d'un tratto ringiovanito di trent'anni, e affetto da una sensazionale forma di ipermnesia: ricorda tutto, troppo, anzi sa addirittura ciò che ancora deve accadere. La polizia segreta comincia ben presto a diffidare di lui e la Gestapo vuole studiarne le straordinarie facoltà mentali. È solo l'inizio di una serie di paradossali, strabilianti avventure. In pagine visionarie e feroci, venate di grottesca ironia, Mircea Eliade, storico delle religioni, studioso di yoga e sciamanesimo, orchestra una metafora della vita moderna. Mette in scena se stesso: Dominic è un "mutante", ma è prima di tutto un diverso, condannato alla solitudine e all'incomprensione dal peso della sua stessa sapienza. Una storia che ha stregato Francis Ford Coppola, tornato sul set per la prima volta dopo dieci anni per dirigerne la versione cinematografica.
Nel 1935, quando "Gli Huligani" viene pubblicato in Romania, Mircea Eliade ha solo 28 anni, ma nel suo paese è già molto celebre. Il romanzo ottiene immediatamente un grande successo e diviene un caso editoriale. La critica reputa impudica l'intraprendenza delle ragazze di buona famiglia che animano il racconto, ma in realtà la ragione dello scandalo andrà ritrovata altrove. Attraverso la descrizione lucida e ironica della giovane borghesia romena affascinata dall'ideologia fascista e intossicata da un mito collettivo, Eliade dà un volto agli huligamn, quella generazione della barbarie nouvelle che vuole affermare se stessa costruendo l'uomo nuovo, l'unico - degno e coraggioso - del quale la Romania potrà andare fiera. L'accattivante impianto narrativo e le multiformi sfaccettature dei personaggi e dei loro sentimenti creano un'atmosfera che molto più di qualsiasi saggio prelude alle tragedie che incombono sull'Europa.
Allan è un impiegato della compagnia dell'ingegnere Narendra Sen. Ospite in casa sua dopo una lunga degenza per aver contratto la malaria, il giovane si innamora della figlia di Sen, Maitreyi. Tra i due nasce un amore appassionato e illecito. Il trasporto di Allan è tale che accetta di convertirsi all'induismo pur di sposarla, ma la sorella di Maitreyi, Chabu, riferisce ai genitori degli incontri notturni dei due, e Allan viene allontanato. Per dimenticare Maitreyi, Allan si ritira allora sui monti dell'Himalaya. Nel novembre del 1928 un ragazzo romeno poco più che ventenne parte per l'India con una borsa di studio. Vi resterà quattro anni. Mircea Eliade dirà di quel suo soggiorno: «L'India mi ha formato».
Tre intellettuali diversi per origine, estrazione sociale e fede, s'incontrano a Serampore, nei pressi di Calcutta, a cavallo degli anni Trenta del Novecento. La loro amicizia, nutrita dai comuni interessi culturali e spirituali, viene sconvolta da un evento straordinario: durante una calda notte estiva, persi nella fitta foresta del Bengala, sono testimoni dell'assassinio di una giovane donna. Un crimine che però è avvenuto in quei luoghi centocinquant'anni prima! Sospeso tra realtà e sogno, tra passato e presente, tra orrore e liberazione, Notti a Serampore rievoca in parte fatti e persone reali dei primi anni del soggiorno in India di Mircea Eliade, sviluppando concezioni della fisiologia mistica che sono parte integrante della «religiosità cosmica» del pensatore romeno. Un romanzo breve dell'Eliade «esoterico», che, attingendo al tantrismo e al folklore yogico, sa combinare in modo peculiare occultismo e magia.
Pubblicato a puntate tra il 1871 e il 1872, "Middlemarch" è, nel variegato paesaggio del romanzo inglese di fine Ottocento, tra i punti più alti mai raggiunti in termini di capacità di rappresentazione della complessità delle psicologie e di attenzione quasi d'ordine sociologico all'ambiente sociale (il sottotitolo, "Studi di vita in provincia", definisce da subito il contesto). Al centro della storia è proprio l'immaginaria cittadina inglese di Middlemarch, all'interno della quale si articolano i destini di quattro personaggi e di due matrimoni infelici, indagati da George Eliot nei loro più impercettibili interstizi attraverso lo strumento chirurgico di uno stile espressivo sempre acuminato. Il romanzo che permette di comprendere la solidissima fragilità dell'Inghilterra vittoriana.
Prima opera drammatica, "Assassinio nella cattedrale" racconta l'uccisione di Thomas Beckett, arcivescovo di Canterbury, per mano di quattro cavalieri inviati dal re Enrico II. Il teatro del delitto è la cattedrale, ma il vero dramma che l'autore racconta è quello che si svolge nella coscienza di Beckett, impegnato a difendere i propri convincimenti di fronte a un mondo che gli impone la rinuncia di tutto ciò in cui crede.
Questo primo volume della nuova edizione rilegata delle opere complete di Eliot consente di far luce sulle varie componenti dell'ispirazione poetica dell'autore, ma anche sul suo impegno di saggista, polemista e filosofo. Dalle poesie della prima giovinezza e dal saggio teoretico dedicato a Bradley, si passa ai celebri interventi del "Bosco sacro" per giungere a "La terra desolata", fondamento di tanta parte della lirica novecentesca. D'altro canto, i lavori sull'educazione ai classici, sui rapporti fra religione e letteratura, sulla funzione della critica, permettono di scoprire un Eliot moralista e credente autentico, desideroso di giustificare, alla luce del suo umanesimo, la sua stessa produzione letteraria.
Progettata in occasione del primo centenario della nascita del poeta, questa edizione delle "Opere" di T.S. Eliot comprende tutte le opere di poesia, saggistica e teatro. Seguendo il percorso creativo dell'autore, il curatore dell'opera ha ritenuto opportuno attenersi a un ordine cronologico il più rigoroso possbile, senza distinzione di generi. Per una lontana, ma esplicita richiesta dell'autore al curatore, non entra a far parte di queste "Opere" il testo delle conferenze di "After Strange Gods" (1934). T.S. Eliot chiese personalmente a Sanesi di non includerlo, mai e per nessuna ragione, in un'eventuale raccolta, considerandolo "troppo intemperante" e possibile fonte di equivoci.

