
Chi mente a se stesso arriva al punto che non sa più discernere tra la verità e la menzogna né in sé, né attorno a sé e arriva a non avere più stima di sé e degli altri. E, se non rispetta più nessuno, smette di amare e in mancanza di amore, per tenersi occupato e per distrarsi, si abbandona alle passioni e ai piaceri grossolani e si spinge nei vizi fino a diventare un bruto; e tutto questo solo per il suo continuo mentire a sé e agli altri. Chi mente a se stesso è anche il più suscettibile ad offendersi.
Gli "Scritti dal sottosuolo" non sono quello che sembrano. Questa nuova traduzione di uno dei classici più decisivi per la cultura contemporanea (è stato considerato il primo esempio di esistenzialismo) ma, in fondo, meno compresi è il risultato di un lungo lavoro di ermeneutica del testo letterario condotto dalle curatrici. Emerge, anche dal commento analitico, un nuovo volto di Dostoevskij: uno scrittore religioso che affronta i temi del nichilismo, del male, della fede.
Il racconto 'Un cuore debole', del 1848, appartiene alla produzione giovanile di Fédor Dostoevskij (1821-1881), in quegli anni fortemente attratto dagli ideali del socialismo utopistico. Tuttavia, come ha scritto Maria Bianca Luporini, "rispetto a tutti gli altri racconti 'umanitari' di Dostoevskij la novità, colta con grande finezza psicologica, consiste nel fatto che a scatenare la fissazione melanconica, e poi la pazzia del protagonista, non è un avvenimento drammatico..., bensì una felicità troppo grande". E in ciò il personaggio di Vasja Sumkòv, una delle più perfette creazioni di Dostoevskij, va a collegarsi idealmente al personaggio di Nastasja Filìppovna, che ne 'L'idiota', vent'anni più tardi, affronterà un analogo destino.
Fëdor Dostoevskij (1821-1881), considerato in Italia il più grande scrittore russo, in Russia è invece ritenuto un vero e proprio filosofo. In questa ottica, "I fratelli Karamazov" viene pubblicato con testo russo a fronte nella collana "Il Pensiero Occidentale": si tratta di un grandioso affresco sulle domande fondamentali dell'esistenza umana: Dio esiste? E se esiste come è conciliabile con il male assoluto, con la sofferenza dei bambini? Le pagine del romanzo narrano le torbide vicende della famiglia Karamazov, in cui padre e figlio si contendono la stessa donna, mentre gli altri tre fratelli, un mistico, un dialettico e un bastardo epilettico, discettano su temi etici e religiosi, per piombare infine nella catastrofe.
"Il 'Diario di uno scrittore' fu una pubblicazione mensile redatta interamente da Dostoevskij. Il grande russo se ne occupò negli anni che vanno dal 1873 al 1881, seppur con interruzioni. Non è un'opera omogenea, così almeno come vorrebbe il canone letterario, ma una raccolta di testi che affronta problemi di attualità, o meglio questioni allora dibattute, soprattutto politiche. Tuttavia, in questi articoli legati il più delle volte a situazioni contingenti, Dostoevskij ci fa conoscere le proprie idee sociali, religiose, artistiche e letterarie. Vi ha gran parte, per fare un esempio, la questione slava: nella querelle allora attiva nei circoli culturali di Mosca e San Pietroburgo, Dostoevskij è convinto che la Russia sia superiore all'Europa, o almeno che la civiltà occidentale ormai appartenga alla sua terra. Pur affrontando problemi apparentemente datati, l'opera è perennemente viva, o quanto meno sa spiegare il nostro tempo attraverso suggerimenti preziosi. Così vanno lette le pagine sull'emancipazione femminile, sul problema giudiziario; anzi, su tali argomenti, lo scrittore russo è di una sorprendente attualità: lo scopriamo favorevole al femminismo, lo vediamo intento diverse volte a commentare dei processi, tanto da riuscire a far correggere degli errori alla magistratura zarista. Né vanno dimenticate quelle parti di riflessione, sovente dedicate a problemi esistenziali, che sorprendono per la profondità delle osservazioni." (dall'introduzione di Armando Torno)
Considerato uno dei massimi capolavori della letteratura russa, questo romanzo filosofico di Dostoevskij vuole rappresentare un uomo positivamente buono", un Cristo del XIX secolo. Narra le vicende del principe Myskin, portatore di una verità che ha come unica legge la compassione e l'amore verso il prossimo. "
Questo romanzo filosofico è una delle opere più mature e articolate di Dostoevskij.
"Memorie da una casa di morti" è un romanzo di Dostoevskij scritto dopo aver scontato la pena in Siberia e pubblicato tra il 1861 e il 1862. L'opera è in parte autobiografica e in parte ispirata a situazioni che l'autore ebbe modo di osservare in prima persona. Venne scritta in forma di diario, di cui l'autore, nella prefazione, attribuisce la paternità a un recluso immaginario che avrebbe ucciso la moglie in seguito a un impeto d'odio. Dostoevskij, invece, fu arrestato per motivi politici. Le "Memorie dal sottosuolo" è un romanzo del 1864 diviso in due parti: la prima è intitolata "Il sottosuolo", la seconda "A proposito della neve bagnata". "Il sottosuolo" è un monologo di critica sociale, in cui sono posti alla berlina gli ideali ottimistici della filosofia positivista; "A proposito della neve bagnata" è un racconto in prima persona nel quale l'autore del precedente monologo confessa sordide azioni compiute nella sua vita, a dimostrazione di come persone "istruite" e "a modo" possano essere profondamente abiette. Le due opere hanno in comune l'idea del "sottosuolo" inteso sia nel senso reale che in quello spirituale, ma anche le ragioni profonde del primo Dostoevskij che si pone domande fondamentali, le medesime che poi saranno sviluppate nel più grande dei suoi romanzi, "I Fratelli Karamazov". Due romanzi diversi nella forma e uguali nelle ragioni profonde; due opere che si uniscono in tutte le prospettive di Dostoevskij. Introduzione di Armando Torno.
Con questo libro, apparso nel 1864, affiora e si disegna uno spazio innominato della letteratura e dell'anima: il sottosuolo, luogo di tutto ciò che la coscienza tenta vanamente di accantonare. Ed è come l'improvviso emergere di un continente: nessuno, dopo averlo esplorato, riuscirà più a dimenticare la voce stridula, penetrante, spudorata che parla in queste pagine e pone domande che fanno ammutolire: siamo davvero certi che l'uomo voglia il proprio bene? E siamo certi che sarebbe una buona cosa se lo volesse?
Le opere qui raccolte del grande scrittore russo sono pietre miliari e imprescindibili punti di riferimento per gli amanti della letteratura; sono dei classici: quindi, secondo la definizione di Calvino, hanno sempre qualcosa di nuovo da dire, al lettore di cento anni fa come a quello contemporaneo; a chi vi si accosta per la prima volta, a chi vuole riscoprirne la bellezza con l’ennesima lettura. Sono scorrevoli e mozzafiato come thriller, eppure raggiungono profondità filosofiche.
Alla costante ricerca di un equilibrio finale e definitivo tra il bene e il male, l’autore ci regala pagine di grande impatto emotivo, dove il passo dei protagonisti è segnato dal dolore e dal sentimento di perenne inadeguatezza sociale, culturale o esistenziale. I suoi personaggi, densi di una vita interiore quasi tangibile, si esprimono con l’urlo della rivolta all’ingiustizia, o con i racconti sussurrati degli umili, con i monologhi dell’intelligenza lucida che vuole approdare alla verità, ma si perde alla fine nel buio del dubbio, nel ritmo lento e contraddittorio, o precipitoso e violento delle azioni e del pensiero. I suoi romanzi sono costruiti dalle anime nere, i “cattivi” agiscono e tessono le trame della storia, raccontata con scrittura indagatrice, impietosa, incalzante; tutto finirebbe nel baratro della distruzione e dell’autodistruzione, se non splendesse oltre il tunnel una luce: lo sguardo luminoso del principe Myškin, o l’introspezione dolorosa di Raskòlnikov. Raggi di sole nella tempesta, consentono all’autore non rassicuranti certezze, ma almeno la possibilità di domandarsi: si può sperare?